Silvie mi disse che quella notte di Natale l’avrebbe trascorsa con la sua famiglia e mi consigliò di vedere come i cattolici vivono la notte di Natale a Nôtre Dame, alla messa di mezzanotte. Prima dobbiamo passare però dal Quartiere Latino per mangiare il panino greco con le patate fritte di fronte alla Basilica di Nôtre Dame sui gradini della libreria Shakespeare. Entriamo nella libreria e al primo piano distesa su un divano ad angolo una giovane, che esprimeva la bellezza del mondo, ascoltava una che di passaggio suonava il piano. I riccioli biondi, sorrideva, ascoltava la musica e sorrideva. Fuori, all’altro angolo, un ragazzo aveva trasportato il suo piano con un carrello, non quello elettrico, un piano vero e anche lui suonava. Ancora più in là verso l’Opera cominciavano le vetrine eleganti della città con migliaia e migliaia di luci blu. Le vetrine del Lafayette catturavano tutta la gente che passava, quell’anno avevano inventato le marionette, mentre un rasta aggiustava le coperte del suo materasso sotto una vetrina del Boulevard Haussmann. La notte di Natale facemmo una fila di circa mezz’ora per entrare nella Basilica. Sul frontale anteriore un megaschermo e cordoni della polizia sorvegliavano la situazione, sul ponte, forse il Pont Neuf un mendicante con due cagnolini che uscivano dal cappotto chiedeva l’elemosina. All’interno la migliore borghesia della città era pronta per la celebrazione del rito e della riaffermazione della propria identità. Officianti e coro gospel avevano i mantelli celesti, mentre l’arcivescovo vestiva il manto bianco e dorato per accogliere Cristo che ancora una volta era fra noi. Ma noi siamo i figli di un dio minore, un dio che è morto perché il mondo non ci ha mai sorriso. Il giorno di Natale era quasi tutto chiuso e avevo comprato un papillon per la passeggiata nelle Thuileries ad augurare Buon Natale à tout le monde. Fummo invitati alla casa albergo di Manuela per il pranzo di Natale. L’ambiente era elegante, pulito, profumato. Gli ospiti mi pare che pagano circa tremila euro al mese e sono curati con ogni cautela. Hanno a disposizione una équipe medica, tanti camerieri e collaboratrici. Mia figlia cura la parte artistica della giornata, quella dedicata alla pittura, alla musica e al cinema. Il principio è che gli anziani non devono solo vegetare, ma vivere. Nei quattro piani dell’albergo c’è una sezione per i malati di alzheimer e lo staff pranza con loro una volta la settimana. Devo parlarne con qualcuno, magari con Vendola, per inserire una cosa del genere nel prossimo programma elettorale. Il pranzo era molto raffinato con un piatto di entrata come dicono loro e un canard condito con salsa dolce, una specie di pollo alla cacciatore, dolce, frutta e caffè. Dopo il pranzo verso le quindici arrivò un complesso gospel di quattro persone, uno al piano e tre cantanti di colore che eseguirono i canti di Natale. Passavano fra il pubblico per coinvolgere i residenti della maison che anche durante l’anno svolgono attività che forse nella vita precedente non hanno avuto la possibilità di curare. Il giorno dopo il direttore della maison, che voleva conoscerci, ci fece notare che l’arco della vita di una persona deve essere rispettato in tutte le sue fasi e le persone che hanno superato i settant’anni non devono essere considerate roba da rottamare, ma hanno diritto a una esistenza felice come ogni essere umano. Nelle famiglie del Sud del nostro paese spesso sono considerate un peso per i figli e il mercato delle badanti deve essere sostituito dalla creazione di atéliers sociali gestiti dalla Lega delfilo d’oro. Anche questo devo dire a Vendola che recentemente s’è messo a dialogare con don Verzé. Fu quella mattina che nello studio del direttore dietro la sua poltrona mi apparve di nuovo il mitico triangolo: sulla mappa del mondo Parigi era il vertice superiore di un triangolo costituito da Cuba, le isole Maldive e Parigi. Cuba, i sogni e gli ideali della mia giovinezza, Parigi, il mio presente e le Maldive, uno viaggio che dovrò fare non per seguire la moda, ma per completare il triangolo, l’occhio di dio, l’origine del mondo, il quadro di Courbet. Ma il vero problema sono i giovani, l’ho sostenuto tutta la vita e in queste giornate parigine sta tornando come una ossessione. Il direttore mi disse che considerava una buona chance aver introdotto Manuela nello staff della maison anche se l’aveva sottratta per un anno all’arte perchè le persone agées, cioè avanti negli anni, non ci sanno fare molto con gli anziani e propongono cose scontate. Le cose scontate fanno parte della coazione a ripetere che è una delle dinamiche del biopotere. In questo contesto la governance è controllo generalizzato della vita dei soggetti; bisogna controllare le persone in tutte le parti del mondo e in tutto l’arco della giornata, bisogna controllarle a casa, al lavoro, nelle scuole, negli stadi, sulle spiagge, davanti al televisore, anche di domenica, bisogna controllare se l’amore che fanno è protetto e monogamico, se ogni tanto fanno uno spinello. La complessità di queste dinamiche non può essere recepita dagli accordi dei burocrati di partito, quelli che ragionano ormai in termini di percentuali di voti. La complessità e la ricchezza della vita deve diventare l’argomento di riflessione dei miei prossimi giorni di vita. In presenza di una accentuata polarizzazione del tessuto sociale costituito da un minoranza sempre più ricca e opulenta e da una maggioranza che non riesce ad arrivare con lo stipendio a fine mese, mi sembra opportuno aprire un dibattito serio sulle condizioni della società italiana in cui un reclutamento significativo di giovani energie intellettuali non avviene da anni, abbiamo una università in cui il tasso di senescenza è arrivato a livelli insostenibili, mentre alcune realtà sono infette dalla squallida pratica delle parentele e dei concorsi truccati. La gerarchia del corpo docente ormai costituita da quattro fasce (Ordinari, Associati, Aggregati, Ricercatori) conferma l’assetto piramidale della struttura con le congiunte pratiche di controllo che nei fatti induce. I finanziamenti alla ricerca diventano sempre più magri, si va delineando un progressiva liceizzazione degli studi universitari, mentre lo stesso allineamento ai paesi anglosassoni con l’introduzione generalizzata dei semestri e i due mesi di pausa per gli esami (Gennaio e Febbraio) limita il confronto continuo fra docenti e studenti. Nelle università del Sud vi sono ancora professori residenti al Nord o a Roma che riescono a far lezione solo quando non sono in corso scioperi di treni o aerei, mentre i giovani ricercatori delle università meridionali sono costretti a preparare ciclostilati in attesa che queste vestali del pensiero arrivino in tempo in aeroporto. Il paradigma dell’università azienda ha spinto qualcuno a puntare sulla costituzione di centri di eccellenza in grado di competere con le più grandi università del mondo, laddove alcune circolari emesse dal ministero individuavano discutibili parametri in grado di definire i livelli di eccellenza. Negli ultimi anni è venuto a mancare una narrazione, una narrazione forte in grado di caratterizzare l’università come luogo dei saperi, la narrazione come luogo del racconto, della domanda sul sapere per chi, per che cosa, per quale tipo di società, per quale trasformazione. Per questo è utile confrontarsi con il tema conoscenza in una società libera, non libera dalle filosofie della schiavitù umana, il marxismo e lo storicismo, come sostiene Popper e sulla sua scia Buttiglione, ma libera dalle contraddizioni del capitalismo, dalla ideologia intrinseca agli stessi modi di produzione del sapere. La scienza in una società libera è il titolo di uno dei testi più significativi di Paul Feyerabend che precedentemente aveva affidato le sue riflessioni a I problemi dell’empirismo e Contro il metodo. Nella proposta di Feyerabend il carattere conoscitivo della scienza risulta estremamente attenuato perché il rango di questa dimensione dello spirito umano viene assimilato ad altre come l’arte, la cultura, i costumi. Spesso Feyerabend ha dichiarato di voler considerare la scienza sotto un profilo antropologico, piuttosto che metodologico; a suo parere la cultura contemporanea riserva alla scienza un ruolo prioritario, emarginando altre dimensioni dello spirito. A questo proposito egli usa le graziose immagini delle ‘tigre’ e della ‘gattina maliziosa’ per indicare le due interpretazioni rivali diffuse nel mondo contemporaneo. Vi sono alcuni che interpretano la scienza come l’unica seria componente del sapere umano e subordinano ad essa tutte le altre espressioni ( costoro vedono la scienza come una tigre); vi sono altri che, invece, collocano la scienza al giusto posto rispetto alle altre dimensioni e costoro la vedono come una gattina maliziosa. Negli anni trascorsi a Berkeley il filosofo anarchico diventò un punto di riferimento per i giovani che aderirono al movimento studentesco; nei periodi di occupazione dell’università teneva seminari con gli studenti in qualche casale di campagna destando l’ostilità del corpo accademico. Anche in Italia Kuhn e Feyerabend furono letti e seguiti da un gruppo di docenti che si occuparono del problema della neutralità della scienza e in quel contesto fu pubblicato il volume L’ape e l’architetto da Marcello Cini e alcuni giovani fisici romani. Il problema all’ordine del giorno era la definizione del classismo del conoscere, cioè se la conoscenza ha un carattere neutrale o una connotazione di classe, se la produzione della scienza e dei saperi ha lo stesso aspetto in una società capitalistica, in una società servile, in una società libera. Un elemento deve essere ribadito con forza: il positivismo logico o neo-positivismo è la modalità di pensiero che si coniuga, si è coniugata nel secolo scorso, con l’organizzazione tayloristica del lavoro in fabbrica. Lo scimmione ammaestrato (A. Gramsci) viene trasferito dalle catene di montaggio ai centri di ricerca e addestrato a costruire linguaggi o ordigni atomici sempre più efficienti, più devastanti, più perfetti senza inutili domande sul senso e sulla destinazione della sua ricerca, una ricerca che si interroga sul proprio senso viene considerata fallimentare. Tutta la generazione di scienziati che dal ’27 (Definizione del quadro teorico della Meccanica quantistica) attraverso la tragedia di Hiroshima del ’45 per pervenire agli inventori del napalm e dei defolianti durante la guerra del Vietnam ha vissuto la fase più alta della scienza come fattore produttivo, ma ha anche vissuto il lacerante problema di non aver nessun potere sulle scelte politiche, sulla destinazione, sulla finalità della propria ricerca. Il ricercare è diventato un operare contestuale al proprio perimetro, le ricerche si svolgono all’interno di un contesto linguaggio intrascendibile (the context language problem); l’uso di categorie totali viene rigorosamente rimosso perchè gli scienziati devono solo fare ricerca, mentre il problema delle scelte è riservato ai politici. Un ricercatore che si attarda a porre il problema dell’uso delle proprie ricerche, viene considerato un perdente, un fallito; si moltiplicano le parole sarcastiche contro la Continental philosophy, la filosofia dei perditempo, quelli che scrivono di marxismo e di storicismo, perfino quelli che si occupano di strutturalismo. Dalla sua cattedra alla London School of Economics Karl Popper iniziò la sua battaglia contro la filosofia continentale, contro la miseria dello storicismo ( Miseria dello storicismo), quella filosofia che nella variante marxista (basta pensare a Gramsci) aveva caratterizzato il protagonismo delle masse nella prima metà del secolo. Non è certo un caso che il positivismo logico nella prima metà del Novecento si è diffuso nelle zone più forti del neocapitalismo (Gran Bretagna e Stati Uniti), mentre in Italia è stato utilizzato nella battaglia contro l’invadenza del crocianesimo e come fattore di modernizzazione nel contesto della cultura. Gli eredi di questo pensiero seriale, di questo pensiero servile, di questo pensiero da catena di montaggio sono stati in Italia Francesco Barone, il suo fedele discepolo Marcello Pera, alcuni epigoni come Rocco Bottiglione; in alcuni casi questo pensiero ha contaminato anche l’investigazione di alcuni teorici marxisti come Lucio Colletti, Giulio Giorello, Marco Mondatori, i neo-contrattualisti determinando la loro rinuncia all’uso di categorie totali (classe, lotta di classe, composizione organica del capitale) e la conseguente adesione a teorie a loro parere più aggiornate. Il concetto di libertà a cui si ispirano è quello ottocentesco dell’odierno partito del Popolo della libertà secondo il quale un individuo deve essere libero di operare secondo le proprie possibilità, con la propria ricchezza non importa se conseguita con mezzi leciti o illeciti; a loro parere la società non è costituita da una costante rapporto di definizione fra le classi, ma è il campo di battaglia di singoli individui isolati, la legge del più forte, la guerra di tutti contro tutti che già nel Settecento era stata scalfita dal riformismo illuminato delle monarchie costituzionali. Intellettuali servili, pronti a saltare sul carro del vincitore di turno, a denigrare chi anche all’interno delle università difende la causa dei non garantiti, degli studenti che partendo dalla Calabria, dalle regioni del Sud sono andati a Roma per studiare in una università laica, moderna, europea.