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Un fine anno con molte attese
31 dicembre 2011

Il 2011 è quasi terminato e normalmente la fine dell’anno è il momento giusto per tracciare un bilancio su quanto accaduto. Un bilancio che si presenta purtroppo con poche certezze e con molti punti interrogativi. Il nostro Paese ha vissuto una delicata fase in cui, a fronte delle prospettive ottimistiche diffuse nei primi mesi, si è passati man mano alla constatazione di una crisi che ha colpito nuovamente non solo l’Italia ma anche l’intera economia mondiale. Soprattutto gli stati più avanzati sembrano arrancare e, dal canto suo, l’Europa ha mostrato ancora una volta la propria debolezza, venendo meno a quel ruolo di protagonista che avrebbe dovuto assumere nel panorama internazionale.

La gestione problematica delle vicende che hanno interessato il nostro continente rappresenta l’esempio lampante di come prevalgano ancora gli interessi di parte dei singoli Stati, in cui i principali decisori sono Francia e Germania, con una Inghilterra che osserva in posizione defilata. Inoltre le ultime stime riportano l’Italia in una fase di recessione, con dati preoccupanti sulla disoccupazione.
Una ulteriore conferma è giunta anche dai report sui consumi nel periodo natalizio e dalle previsioni relative al capodanno. Un quadro poco rassicurante e soprattutto con scarse prospettive. In quest’ultimo periodo si è delineato il primo intervento del nuovo governo Monti, con misure pesanti volte alla messa in sicurezza dei conti. Si attendono ora le azioni volte al rilancio dell’economia e dell’occupazione. Una sfida sicuramente ardua ma necessaria poiché, con una tassazione che aumenta, le alternative sono due, il rilancio o il fallimento. A questo punto è utile agire in maniera propositiva e cercare di riprendere un cammino virtuoso, anche se al momento non ci sono programmi interessanti su cui puntare.
Se da un lato ci sono delle minacce reali, dall’altro lato è necessario impostare un pensiero più ottimistico secondo il quale le opportunità si possono creare. Questa riflessione non vuol sembrare una solita frase fatta o un invito a festeggiare comunque perché è il periodo delle vacanze di fine anno. È invece un incentivo a ritrovare la fiducia e a credere maggiormente nelle proprie potenzialità, cercando il lavoro piuttosto che attenderlo o ancora inventarlo ex-novo.
Tra gli avvenimenti che hanno segnato il 2011, nel mondo dell’imprenditoria si è registrata la grave perdita dovuta alla scomparsa di Steve Jobs (foto). Chi mai avrebbe ipotizzato che l’azienda creata da questo visionario avrebbe potuto avere oggi, in un momento di forte incertezza, una liquidità superiore a quella del governo statunitense, inventando con successo nuovi prodotti e nuovi mercati? Pertanto è doveroso non pensare in negativo anzi, dopo un condizionamento anche forte dei media, che proiettano quasi sempre catastrofi, risulta efficace una buona dose di fiducia e tanta volontà per riprendere le sorti di un paese e di un territorio che meritano ben altre idee e progetti.      
Autore: Domenico Morrone
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E' proprio la debolezza della società europea (o delle società europee) a spiegare la difficoltà che l'Europa incontra nell'agire come Stato. Le opportunità dell'Europa, cioè, dipendono dalla capacità che avranno i governanti di rispondere agli interessi e alle rivendicazioni dei suoi membri e di essere “rappresentativi”, come lo sono stati i governi democratici nei secoli scorsi. Tutto, nel metodo seguito fin qui per costruire l'Europa, ha costituito un ostacolo alla crescita democratica dello Stato Europeo. L'idea di Europa non è nata dalla volontà popolare o da un grande movimento di opinione; la Commissione è restata pressoché indipendente da un Parlamento che non era percepito da nessun paese come il centro di promulgazione delle leggi: cosa che spiega la scarsa partecipazione alle elezioni europee. Esiste, è vero, una forte corrente di opinione a favore del rafforzamento dei poteri del Parlamento e anche del suo diritto di rovesciare la Commissione. Ma questa tendenza, che ha già indotto importanti trasformazioni, è intralciata dall'allargamento dell'Europa, che dà l'impressione a tutti i paesi membri che sia sempre più difficile orientare le decisioni di Bruxelles. Il potere della Commissione è diminuito nel corso degli ultimi anni a profitto del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, man mano che l'idea di Europa si allontanava dal federalismo. La costruzione europea presenta moltissimi vantaggi e solo una piccola minoranza vi si oppone, ma è così poco esaltante da ridurre i paesi europei al rango di osservatori critici della storia mondiale. Questa assenza di motivazioni, in un mondo in cui ampi territori si modernizzano imponendosi grandi sacrifici, annuncia un declino, lento all'inizio e accettato senza difficoltà, ma che sarà più rapido in seguito e susciterà crisi interne sempre più gravi. L'Europa non è più un continente di combattenti; si sta trasformando in un continente di pensionati. Una delle cause principali della trasformazione della politica europea è che il nuovo unilateralismo praticato dagli Stati Uniti, disdegnando il sistema delle Nazioni unite da loro stessi istituito, ha privato i paesi europei di tutta la loro influenza e non ha lasciato alcun ruolo all'America latina. L'espressione “il mondo occidentale” è ormai pressoché priva di senso. Il collante che univa Europa occidentale e America del nord all'epoca della minaccia sovietica è venuto meno, e solo gli Stati Uniti si sono impegnati nella difesa mondiale del Bene contro il Male. In conclusione, l'Europa non solo è uno Stato senza nazione, ma uno stato debole che si definisce più in senso amministrativo che politico. E poiché l'Europa non è una nazione, è al mondo intellettuale, scientifico, artistico e culturale formato dall'unione di paesi, città, correnti di idee, scuole, centri di ricerca, che va chiesto di essere più creativi, più indipendenti dagli Stati Uniti e anche più cosmopolita e multiculturale.


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