All’inizio del XIX secolo, la letteratura mariana è fatta soprattutto di riedizioni. La pubblicazione più significativa è il Trattato sulla vera devozione a Maria, che ebbe la prima edizione nel 1843. Si tratta di un volumetto, che ha formato intere generazioni di cristiani e, ancora di recente, è stato più volte menzionato da Giovanni Paolo II. L’800 e il ‘900 sono secoli mariani: numerose sono le congregazioni religiose che hanno preso il nome da Maria, i pellegrinaggi ai luoghi di apparizioni, il moltiplicarsi di devozioni popolari, gli atti dei magisteri (si pensi alla bolla di Pio IX, Ineffabilis Deus, dell’8 dicembre 1854 sulla definizione dell’Immacolata Concezione), le conversioni (celebre quella dell’ebreo Alfonso Ratisbonne, 20 gennaio 1842, nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte a Roma), i congressi, gli studi teologici. A questo ammirabile impegno di pietà, fa riscontro l’indigenza dell’arte cristiana che, per la prima volta, non si trova più ad operare in una civiltà credente. Dopo la rivoluzione francese e le sue ripercussioni in Europa, bisognava tutto ricreare; di fronte a questo vuoto, l’arte si volge verso il passato. Nasce così, proprio a Roma, nel 1810 il gruppo formato quasi tutto da giovani pittori tedeschi convertiti al Cattolicesimo, che prende il nome di “Nazareni”. Johann Friedrich Overbeck (1789-1869) fu l’animatore e, da romantico, pose la sua attenzione al “divino Raffaello”, come dimostra il Trionfo della religione nelle arti,1831-1840 (Francoforte, Städelsches Kunstinstitut Museum). Il dipinto replica la Disputa del Sacramento (1500- 1510) del Vaticano, lì dove la Vergine prende il posto del Salvatore, e nella parte inferiore, attinge dalla Scuola di Atene (1509-1511); il convenzionale raffaellismo produce un’opera, tecnicamente valida ma fredda e priva di ogni emozione. Più toccante è l’affresco del Miracolo delle rose, che, da giovane, dipinge alla Porziuncola di Assisi. I Nazareni pensano ad una grande arte, ispirata e sapiente. La Madonna del Rosario (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna; Mostra Roma 1988, scheda n. 135, p. 177), eseguita nel 1840 dall’italiano Tommaso Minardi (1787-1871) è un evidente tentativo di creare una nuova iconografia, avendo per modello insuperato di perfezione il pittore urbinate. Nella tela, l’artista elabora un’immagine che risulta una contaminazione tra la Madonna del Rosario e la Divina Pastora, la cui devozione era sorta alla fine del XVIII secolo a Siviglia in ambiente cappuccino. Un frate aveva ricevuto l’apparizione della Vergine presentatasi sotto le sembianze di pastorella. L’apparizione, tradotta in immagine, si diffonde particolarmente nella Spagna andalusa, nell’Italia meridionale, la terra dei Borbone, come pure nei Vicereami di Spagna. Repertoriata da Réau (II.II, 1957, pp. 123-124), l’immagine è una versione al femminile del Buon Pastore (Gv 10,1- 16), a somiglianza di quanto accade per la Virgen Peregrina, anch’essa di origine spagnola (sec. XVIII, seconda metà), che costituisce un pendant al Buon Pellegrino, con cappello e bordone. Il pittore Gennaro Maldarelli (1795- 1858) dipinge una Divina Pastorella (Napoli, Appartamento Storico del Palazzo Reale, sala VII) per la personale devozione di Ferdinando II: la Vergine è situata in un roseto, indossa la veste di pastora, porta un cappello di paglia verista e apre il manto, con evidente allusione alla Madonna della Misericordia, per accogliere le pecorelle (Mostra Roma 1988, scheda n. 137, p. 178). La rappresentazione della Vergine, in atteggiamento iconico, viene quasi sempre ambientata all’aperto, in un giardino, come dichiara la Madonna col Bambino “quasi oliva speciosa in campis” (Genova-Sampierdarena, chiesa di Santa Maria della Cella; Mostra Roma 1988, scheda n. 139, p. 179) di Nicoló Barabino (1832-1891), databile intorno al 1888: la presenza dei rami d’ulivo, attributo iconografico per eccellenza, preannuncia, coi fiori di campo in primo piano, gli esiti di tanto florealismo fin-de-siècle (fig. 25). La Madonna della Primavera o Flora Mystica, altra opera devozionale di Barabino, rappresenta un’ulteriore documentazione sul rapporto aulico e parimenti sentimentale, che si stabilisce tra Maria, i fiori e i fedeli. L’esperienza romana dei Nazareni porta in Inghilterra a fondare un rinnovamento Preraffaellita. I giovani pittori che lo costituiscono respingono l’eredità di Raffaello, accusato di accademismo ufficiale, e guardano all’arte romanica e fiamminga. Contano su una visione surreale di questo mondo, per suggerire la celeste. In tale direzione vanno l’Ecce Ancilla Domini (1850) di Gabriele Rossetti (1828- 1882) della Tate Gallery e la Bottega di Nazareth di John Everett Millais (1829- 1896), anch’essa alla Tate Gallery, eseguita nell’Anno Santo 1850. In Germania, l’Abbazia di Beuron inaugura, con lo scultore, pittore e architetto Desiderius Lenz (1832-1928), una Scuola Artistica di affreschi, pregna di spirito liturgico. Le immagini sono di contemplazione: evitano gli episodi (fa eccezione una Vita di Maria,1883, nell’Abbazia di Emmaus a Praga) e offrono raffigurazioni ieratiche e in maestà di tipo bizantino; la decorazione è improntata all’Egitto dei faraoni (Montecassino, 1874-1878; 1900-1913). Insieme ad altri monaci il Lenz crea un movimento di tipo purista, intento a rivalutare la religiosità dell’arte indentificandola nelle opere del Beato Angelico, divenuto ideale riferimento etico-estetico. L’Europa si copre di mosaici e affreschi caratterizzati dalla monumentalità della costruzione e dalla ieraticità delle immagini; si costruiscono chiese neoromaniche o neogotiche; si ricorre a un repertorio figurativo compassato, mancante di emozioni. L’arte di qualità vive di individualismi, lontana dalle correnti retoriche sull’arte sacra. Per la chiesa di Saint Denisdu- Saint-Sacrement a Parigi, Ferdinand Victor Eugène Delacroix (1798-1863) esegue, nel 1844, una Pietà, possente e patetica, la cui bellezza plastica è una vigorosa affermazione del senso religioso. A Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780- 1867), che non amava i soggetti religiosi, viene chiesto di realizzare il Voto di Luigi XIII. Il pittore risponde con una Vergine col Bambino, di necessitata ispirazione raffaellesca; nella Vergine con l’Eucaristia, del Louvre, opera formalmente impeccabile ma priva di spiritualità, aggiunge alla poetica dell’Urbinate la novità del soggetto. L’Impressionismo, a motivo delle incomprensioni sul linguaggio delle arti, non dà quasi nulla alla civiltà figurativa cristiana. Prenderà sempre più importanza il fenomeno della cosiddetta Arte di San Sulpizio (1850-1930), che curerà l’iconografia cristiana e svolgerà il compito di “rendere moderno” il tradizionale. Risulterà un’operazione di figurine, che si spiega con il laicismo generalizzato e la mancanza di fiducia nelle nuove espressioni d’arte. Tutto il secolo XX è sulla scia del secolo precedente: continuano le apparizioni, i pellegrinaggi, i congressi, le direttive e il magistero. Pio XII consacra il genere umano al Cuore Immacolato di Maria (1942) e proclama il dogma dell’Assunzione di Maria Vergine (1950); Paolo VI dichiara Maria Madre della Chiesa; Giovanni Paolo II celebra, nel 1988, un Anno Mariano. I grandi artisti, se sono appellati da una saggia committenza, lasciano stupende opere. È il caso di Henri Matisse (1869-1954), che, chiamato dalle domenicane di Vence a dipingere la loro cappella, rimane fedele ai canoni d’arte espressi nel 1904: «Ciò che sogno – aveva scritto – è un’arte di equilibrio, di purezza, di tranquillità, senza soggetto inquietante o preoccupante» (Luxe, calme et volupté). La cappella del Rosario di Vence è un inno alla semplicità e all’immediatezza. I poetici motivi floreali traducono spontanei rimandi alla Madonna del Rosario e costituiscono una delicata e sottile esigenza di aneliti e di spiritualità: «Vorrei che il mio lavoro fosse come un fiore. Vorrei che fosse la mia opera maestra ». Della Vergine col Bambino, i Musei Vaticani conservano il disegno preliminare (inv. MV 23756), del 1949 (fig. 26) per la parete destra della cappella, un carboncino inchiostro su carta intelata di grandi dimensioni; inoltre, la bellissima serie di litografie, composta da nove unità, della Santa Vergine (inv. MV 23387- 23395, figg.27-28). Raúl Soldi (1905-1994), pittore argentino, ha lasciato nella cappella di Sant’Anna a Glew (Buenos Aires, 1957) uno straordinario ciclo mariano. L’artista non conosce un committente religioso; libero, si affida alla creatività dettata da una deliziosa innocenza, che illumina e trasfigura gli episodi. Dipinge per naturale religiosità e per esigenza interiore, con il risultato che negli affreschi tutto è aereo, spirituale, luminoso, fragrante. Di fronte a questa sequenza di immagini si rimane avvinti. Ricordo l’incontro con esse. Mi pareva di stare davanti a un mondo di fiabe e di meraviglie; mi rievocava il gotico internazionale di Gentile da Fabriano, non per la sfarzosità dell’Adorazione dei Magi, ma per la poetica umile e semplice del disegno e dei luminosi cromatismi. L’attenzione, che doveva essere tutta verso sant’Anna, la titolare di questa chiesa di campagna presso la quale Soldi aveva la casa estiva, è rivolta alla Vergine Maria, musica del suo animo devoto. Aveva dipinto, mentre il parroco polacco suonava l’armonium. L’atmosfera di un cielo sempre limpido, esaltato dalla luce solare, la vasta gamma dei colori dominati dall’azzurro e dalle brillantezze dei gialli e dalla paletta cromatica dei fiori di campo, i profumi e la musica gli avevano creato il clima emotivo per una invenzione fantastica del fiabesco ciclo, invero molto verista e interessato ai dettagli, formato dai seguenti episodi: la Nascita di Maria, l’Infanzia della Vergine, Sant’Anna dei Cardi, la Presentazione al Tempio, il Matrimonio di Maria e Giuseppe, la Visita di Maria a santa Elisabetta, l’Adorazione dei Magi, la Glorificazione di Sant’Anna Meterza. Di questa lirica creazione d’arte, le collezioni vaticane conservano un olio su tela, La Virgen y santa Ana, inv. MV 23581(fig. 29), del 1972, che si riferisce alla Sant’Anna dei Cardi, la cui scena coglie la istruzione della Vergine adolescente en-plein-air, all’aria aperta nei campi, dove la natura seduce e insegna. Il nostro secolo, come dimostrano i dipinti in esposizione, produce prevalentemente un’iconografia mariana particolarmente sensibile a due temi sofferti e avvertiti: la Madonna col Bambino, che si traduce in una madre che regge teneramente il figlio, e la Pietà, che manifesta il dolore della tragedia umana. I cicli e gli episodi isolati sono rari. L’Annunciazione del Bardi è un’immagine che si affida al ritratto interiore. Un peculiare rinnovamento d’arte viene dalle terre di missioni, dove l’iconografia si pone lirica e poetica per le novità delle espressioni e della comunicazione dei messaggi attinti dalla cultura materiale del territorio. Nell’Africa francese, il pittore nigeriafig no Paul Woelfel presenta l’Annunciazione (1950) con un angelo, che consegna devotamente una lettera alla Vergine (fig. 30); la Fuga in Egitto la raffigura con Maria che avanza a piedi, avendo un fiore in mano e portando sulle spalle il Divino Infante ed è seguita da un asinello privo di soma e, a chiudere, lo sposo Giuseppe, che porta sul capo un cesto (Mostra Lisboa 1952). In Tanzania gli episodi biblici, come la Sacra Famiglia, la Natività e la Fuga in Egitto, sono dagli artigiani del legno trasformati in sculture la cui narrativa innovatrice si avvale della forza del pensiero e dell’attrazione di una bellezza inedita, per semplicità ed efficacia, nell’Europa contemporanea. L’episodio della Fuga in Egitto rivela tutto il carico della sofferenza dell’emigrazione, espressa con linguaggio legato alla vita e alla poetica religiosa. In Cina il contemporaneo Lucas Hua presenta l’Annunciazione e la Natività collocate nell’ambiente e nella cultura propria di quella nazione, secondo gli orientamenti dati dal Cardinale Celso Costantini (1876-1958), che era stato Delegato apostolico. Il pittore Lu Hung Nien (1919-1989) affronta un tema più umano con la scena di vita quotidiana del Ritorno dal lavoro di San Giuseppe (fig. 31): la Vergine Madre Maria sostiene il Bambino tra le braccia ed è in attesa sull’uscio della casa, per accogliere Giuseppe. La rappresentazione è pervasa da un clima familiare dove, attraverso la gestualità, si avverte il valore del vincolo dell’amore: Gesù guarda la Madre, che a sua volta indica al Piccolo l’arrivo di Giuseppe. Come in uno scatto fotografico, la Sacra Famiglia è colta in un momento di particolare comunione: lontano, Giuseppe accelera il passo per raggiungere la Sposa e il Figlio; nel bel mezzo, un’incantevole natura invernale gioca il ruolo di allargare gli orizzonti e di dare forma al linguaggio cosmico della vita e dell’amore (Mostra Lisboa 1952). Papa Giovanni Paolo II pone nel suo stemma una croce sotto la quale giganteggia la M di Maria e il suo affidamento a Lei: Totus Tuus. Nella piazza di San Pietro, dove mancava un’immagine mariana, fa porre sul luogo di una finestra chiusa del Palazzo Apostolico, perché tutti la possano notare, un mosaico con la Vergine che presenta il Bambino; la raffigurazione è presa da un’immagine della basilica di San Pietro. Durante l’anno giubilare, la Basilica di San Giovanni in Laterano, si è arricchita di una nuova porta santa (fig. 32), scultura in bronzo di Floriano Bodini (1933-2005): ai piedi del Crocifisso, presentato nel suo estremo dolore di morte, c’è la Vergine col Bambino. Così inizia il nuovo millennio, con la riflessione sulla sofferenza e sull’amore, l’una e l’altra accolte nel faticoso cammino dell’arte religiosa.