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The Night Watch, l’interessante mostra alla Sala dei Templari di Molfetta
21 dicembre 2019

MOLFETTA – Un ritratto di gruppo: così possiamo definire l’interessante esposizione che nelle scorse settimane è stata allestita nella Sala dei Templari. Stiamo parlando della mostra d’arte contemporanea “The Night Watch”.

La collettiva, a cura di Olimpia Bera e Gaetano Centrone, ha visto 17 artisti di diversa provenienza confrontarsi ispirandosi a “La Ronda di Notte” di Rembrandt, il dipinto del 1642 che mostra il Capitano Frans Banning Cocq alla guida della Gilda degli Archibugieri di Amsterdam. Un dipinto che coglie una scena in movimento: mentre i partecipanti sono controllando le armi e dialogano tra loro, il comandante, al centro della scena, ordina di riprendere le posizioni per un giro d’ispezione.

Il dipinto del pittore olandese è stato restaurato e utilizzato per una campagna pubblicitaria del Rijkmuseum di Amsterdam; è diventato, dunque, simbolo della città e quest’anno (in cui ricorre il 350° anniversario della morte di Rembrandt) sono state realizzate diverse iniziative, puntando a una visione contemporanea, con azioni ed eventi interattivi, a partire dalla visione del processo di restauro.

Come si collega tutto questo con la mostra allestita a Molfetta, perché è stato scelto proprio questo tema? “The night watch” è un tema contemporaneo, che pone in evidenza l’attitudine attiva di ogni artista di indagare la realtà, di interrogarsi sul senso dello “stato delle cose”, sul senso del “silenzio della notte”. In altre parole, l’artista stesso diventa “la ronda di notte”.

Il senso del dipinto originale trascende il momento che Rembrandt ha colto. Stessa visione è stata scelta da parte degli artisti contemporanei. Ciascuno ha indagato, esplorato il proprio rapporto con la notte, ispirandosi agli orrori del buio, ripensando al senso del proprio gesto creativo, diventando introspettivo.

Soprattutto, l’esposizione ha rappresentato un interessante connubio tra generazioni e tra due realtà artistiche, quali la scuola dell'Università di Arte e Design di Cluj-Napoca della Romania, da cui è scaturito questo progetto, poi condiviso dall’Accademia delle Belle Arti di Bari. Agli artisti della scuola rumena, che hanno utilizzato un linguaggio pittorico completato da grafica, scultura, fotografia e ambienti multimediali, si sono aggiunti alcuni artisti del nostro territorio, definiti “alcune tra le migliori energie creative operanti nell'accademia barese”.

Quindi è stato possibile osservare i colori accesi, che esprimono tutta la vitalità, l’energia della “Manifestazione”, la lunga teoria di popolo che troviamo nel dipinto di Bro (Laszlo & Miklos Bencze) in dialogo con l’atmosfera di ispirazione fumettistica del “Notturno” di Alice Iliescu.

Il colore è stato protagonista nelle opere di Natalija Dimitriejevic (“Casa con due TV” e “Casa con due famiglie”), di Paolo Lunanova, con “Transiti”, opera giocata sui toni del nero e del giallo, o nella “Writing Series” di Michele Giangrande, che ha unito il colore alle parole.

Ha proposto, infatti, una serie di dipinti con una gradazione di colori dal bianco al blu, su cui ha scritto con una “biro scarica”, alcune delle parole immortali che ci lascia la letteratura internazionale, da “La tua luce” di Ungaretti a “The Dharma Bums” di Kerouac, da “Macchine calcolatrici e intelligenza” di Turing al “Canto quinto dell’Inferno” di Dante, da “Lirca” di Eliot a “La notte lava la mente” da Onore del vero di Luzi.

Inquietante, perché richiamava simboli ancestrali, “Cronografo” di Giuseppe Marinelli: una muta di serpente e olio su tavola. Immediato il riferimento all’urobors, il serpente che si morde la coda, figura apparentemente immobile eppure in eterno movimento, che rappresenta il tempo o il potere che divora e rigenera se stesso.

Ha recuperato il paesaggio transilvano Ioan Sbarciu con il suo “Il sole nero a Rosia Montana” (Rosia Montana è un comune della Romanica, situato nel distretto di Alba, regione storica della Transilvania, zona di miniere d’oro) mentre in “Don Chisciotte”, la figura appare sulla tela grazie a una serie di rapide pennellate, dal rosso al blu, con tocchi di nero e verdastro, cangianti a seconda della luce: un pensiero astratto che pian piano diventa realtà.

Pensieri astratti che diventano realtà anche in “Sogno bianco” di Georgeta-Olimpia Bera che ha proposto anche “La caccia”, ghepardi che corrono in un ambiente quasi onirico.

Altrettando sognante, immerso nella nebbia, il rarefatto “Paesaggio” immerso nella nebbia di Fabio Bonanni.

Rembrandt ha utilizzato la luce creando forti contrasti tra azione e zone scure. I tocchi di luce esaltano i particolari che l’artista vuole mettere in evidenza. Su questa scia si colloca Cristian Lapusan con il dipinto “6:35 AM”, in cui una figura si staglia su un fondo scuro, quasi inquietante il suo viso nascosto dall’ombra mentre un raggio di sole illumina alcuni dettagli: il sole del primo mattino che comincia ad allontanare il buio della notte.

Interessanti anche le opere di Stefan Badulescu, “Neo Geometry #3” e “Neo Geometry #5”, collage geometrici su carta d’archivio, giocati sui cromatismi del grigio, del rosso e del bianco, e di Botond Gagyi che ha proposto “Light guardian”, oltre alle due variazioni su tema per “Ritratti” di Istvan Kudor Duka.

Ha scelto un materiale povero come il cartone per evocare “Confini” Damiano Azzizia, una scelta che caratterizza il suo stile, in cui dà vita e poesia a materiali altrimenti destinati al macero.

Materiali extrapittorici sono stati scelti da Mihai Gules, il quale ha proposto “Figura geometrica in cassetta di acciaio (I), (II)”, e Giuseppe Negro per la sua “Icona”.

Il termine icona può assumere più significati. Per gli appassionati d’arte il pensiero corre a una delle tipologie di dipinto che fa un po' da ponte tra il nostro sentire e quello dell’Oriente, delle altre sponde dell’Adriatico, fa pensare a volti di Santi, di Madonne, di Cristi ieratici. Nell’ambito contemporaneo, nell’ambito del design industriale, diventa icona un oggetto senza tempo, grazie alla sua capacità di coniugare originalità e innovazione. In questo solco si inserisce Giuseppe Negro. La sua icona diventa – forse – segno dei nostri giorni, si fa cupa. Si presenta come un nero sole raggiato, composto da legno bruciato che fa da cornice a un i-pad.

Lorenzo Galuppo, infine, ha proposto “Il pegno dei figli”: l’immagine di alcuni putti, elementi di arte lapidea estrapolati dal loro contesto e ripresi con un linguaggio solo apparentemente figurativo. L’artista, infatti, sembra prediligere il linguaggio metaforico e concettuale.

Ottima e condivisibile scelta quella di portare a Molfetta una mostra con una tale molteplicità e profondità di messaggi, a partire dalla contaminazione tra le culture.

Ancora una volta si è tentato di aprire Molfetta alla grande cultura internazionale, perché la cultura non può e non deve avere confini.

UNA LETTURA CRITICA DELLA MOSTRA A CURA DI GIANNI ANTONIO PALUMBO LA POTETE TROVARE SULLA RIVISTA MENSILE "QUINDICI" IN EDICOLA IN QUESTI GIORNI

@Riproduzione riservata

Autore: Isabella de Pinto
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