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Tavole di San Giuseppe e logica di comunità secondo don Tonino Bello
Francesco Lenoci e il pane di Giurdignano
04 aprile 2018

Come qualcuno di voi sa, ero qui, presso il Palazzo Baronale di Giurdignano, ieri sera. Ho visto la meravigliosa tavola di San Giuseppe allestita da Giuseppe Mauro e Claudia Lupo, ho scritto un pensiero nel registro, ho ricevuto un dono prezioso da Giuseppe Mauro: la poesia in dialetto, la preghiera in dialetto che la famiglia Mauro recita in segno di devozione a San Giuseppe.

LE TAVOLE DI GIURDIGNANO 

Oh cce giubilo, oh cce ricchezza!

A casa noscia siti invitati

cu facimu na cortesia

allu sposu te Maria.

 

Quandu simu moribondi

tutti quiddhri della Terra

ne abbandonerannu ma

c’è Lui, lu Santu Protettore,

ca ne vene ad aiutà.

 

È patrunu te quista casa,

la devozione la conserverai,

ogni periculu ci tu hai

San Giuseppe chiamerai.

 

San Giuseppe se parte e bene

te tae confortu te quiddhru ca oi.

San Giuseppe sai cce bole?

Lu veru affettu e lu veru core.

 

Uscito da qui, sono andato a cena a Otranto.

Più tardi, salutandomi presso l’Hotel Profumo di Mare situato sul lungomare di Otranto, Tiziana Protopapa ha detto “Puoi dormire fino alle 11,00”.

Vi starete tutti chiedendo se ho dormito fino alle 11,00, vero?

La risposta è no!

Vi starete tutti chiedendo “perché”, vero?

La risposta è che, prima delle 6,00, sono stato svegliato dal rumore del mare, dal rumore del vento che piegava le palme.

 

La mia mente, il mio cuore e la mia anima sono immediatamente andate a una delle più belle preghiere di sempre, fatte da un essere umano di fronte a questo mare: a sud di qui, a Tricase.

 La preghiera si intitola “Preghiera sul molo” ed è di don Tonino Bello.

LA PREGHIERA SUL MOLO DI DON TONINO BELLO

Leggerò alcuni brani.

 

Questa sera voglio pregarti, Signore, per questa terraferma tenace,

dove fluttuano ancora le mie vele e i mie sogni.

Non ti annoierò con le mie richieste, Signore.

Ti chiedo solo tre cose.

 

Dai a questi miei amici e fratelli

la forza di osare di più,

la capacità di inventarsi,

la gioia di prendere il largo,

il fremito di speranze nuove.

Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati a un mondo vecchio.

Dai ad essi, Signore, la volontà decisa

di rompere gli ormeggi,

per liberarsi da soggezioni antiche e nuove.

Stimola in tutti, nei giovani in particolare,

una creatività più fresca, una fantasia più liberante

e la gioia turbinosa dell’iniziativa

che li ponga al riparo da ogni prostituzione.

 

Una seconda cosa ti chiedo, Signore.

Fa’ provare a questa gente, che lascio,

l’ebbrezza di camminare insieme.

Donale una solidarietà nuova, una comunione profonda,

una cospirazione tenace.

Falle sentire che per crescere insieme

non basta tirar fuori dall’armadio del passato

i ricordi splendidi e fastosi di un tempo,

ma occorre spalancare la finestra del futuro,

progettando insieme, osando insieme, sacrificandosi insieme.

Concedi a questo popolo, Signore, la letizia della domenica,

il senso della festa, la gioia dell’incontro.

Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale,

dalla stanchezza delle ripetizioni.

 

Un’ultima implorazione, Signore.

È per i poveri, per i malati, per i vecchi, per gli esclusi.

Per chi ha fame e non ha pane.

Ma anche per chi ha pane e non ha fame.

Per chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore.

Per chi si vede sorpassare da tutti.

Per gli sfrattati, per gli alcoolizzati, per le prostitute.

Per chi ha ammainato le vele.

Per chi è solo. Per chi è stanco.

Per chi aspetta un figlio. Per chi aspetta una figlia.

Concedi, Signore, a questo popolo che cammina

l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada

e di essere pronto a dargli una mano

per rimetterlo in viaggio.

 

Adesso, basta, Signore: non ti voglio stancare,

è già scesa la notte.

Ma laggiù, sul mare,

ancora senza vele e ancora senza sogni,

si è accesa una lampara.

 

Vi starete chiedendo tutti come ho fatto dopo, vero?

Ho ascoltato il discorso che Papa Francesco ha fatto a Pietrelcina, prima di recarsi a pregare sulla tomba di Padre Pio a San Giovanni Rotondo.

IL DISCORSO A PIETRELCINA  DI PAPA FRANCESCO

Solo con lo spirito di comunità si edifica e si costruisce.

Se un paesino litiga, litiga, litiga sarà capace di crescere?.... No!

 

Solo la pace, lo spirito di comunità all’interno di un Paesino, consente al Paesino di crescere.

I vecchi sono un tesoro: per favore non emarginate i vecchi: hanno la saggezza. Che siano protagonisti della crescita di una comunità!

 

Sul registro collocato all’ingresso della sala del Palazzo Baronale che ospita la tavola di San Giuseppe ieri sera ho scritto: “Tradizione e Devozione: quando la cultura fa crescere gli esseri umani”.

 

La prima parola chiave: Tradizione.

 

TRADIZIONE

Tradizione non è culto delle ceneri, Tradizione è custodia del fuoco. (Cfr. Gustav Mahler).

 

Tradizione: il pane.

I miei genitori mi hanno sempre vietato di mettere il pane a pancia in giù. La parte convessa andava in alto, perché rappresentava il volto di Cristo.

Il secondo divieto era di non buttare mai il pane: significava sputare in faccia alla miseria.

Il pane non doveva essere sprecato in assoluto, né maltrattato (mi dicevano, ovviamente in dialetto, “na s gioc pu pen”).

Occorreva portare il pane alla bocca non con la mano sinistra, che è quella del demonio, bensì con la destra, quella dell’angelo.

Se per caso cadeva per terra una fetta di pane dalla tavola, doveva essere recuperata e, prima di essere portata alla bocca, baciata in segno di devozione.

Come ingrediente della zuppa di latte, il pane dovevamo sminuzzarlo, ma solo con le mani, mai con il coltello, poiché tale violenza sarebbe ricaduta sugli animali che avevano prodotto quel latte, in particolare con la rottura dei capezzoli.

Tutte queste attenzioni riservate al pane dichiaravano una volontà di forte simbiosi, non solo per ricavarne tutto il nutrimento possibile – tanto più in tempi di tavole molto meno imbandite di quelle cui siamo abituati oggi – ma anche per assicurarsi una sorta di protezione soprannaturale, direttamente connessa con la misericordia divina… “Padre nostro, che sei nei cieli, dacci oggi il nostro pane . . . . quotidiano”.

 

Pane, una cosa buona per definizione, che qui a Giurdignano diventa anche bella, con quella forma particolare, con quelle incisioni straordinarie.

 

Don Tonino Bello ricorre al pane per spiegare addirittura la pace.

 

Pace non è la semplice distruzione delle armi.

E non è neppure l’equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra.

Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli.

Di qui il nostro compito: dire alle nostre comunità, alle nostre città, in cui serpeggiano dissidi, di saper stare insieme a tavola.

Non basta mangiare, bisogna mangiare insieme!

Non basta avere un pane e ognuno se lo mangia dove vuole: bisogna poterlo mangiare insieme!

Di qui la nostra missione: sedere all’unica tavola, far sedere all’unica tavola i differenti commensali senza schedarli, senza pianificarli, senza omologarli, senza uniformarli.

Questa è la pace: convivialità delle differenze.

 

Per don Tonino Bello il cibo, il pane,  è strumento di pace e di espressione culturale.

L’accesso al cibo, al pane, rappresenta un requisito fondamentale di una convivenza pacifica dei popoli.

Il cibo, il pane, e le modalità del suo consumo sono il principale strumento di incontro, dialogo, conoscenza e integrazione tra i popoli.

 

Passo alla seconda parola chiave: devozione.

DEVOZIONE

Per spiegarla ricorro ancora una volta a don Tonino Bello, un prossimo Santo, che è stato capace di “far parlare” un Santo la cui esistenza è contraddistinta dal silenzio: San Giuseppe.

 

Sto pensando alla meravigliosa “Lettera a San Giuseppe” di don Tonino Bello. Ne leggerò alcune parti.

 

Ma ora Giuseppe cambiamo discorso. Sta arrivando una donna dal forno. Ecco, ti ha portato del pane, e la bottega si è subito riempita di fragranza. Caro Giuseppe, dammi di quel pane.

No, non tutto! Spezzamelo Giuseppe! Condividilo con me!

 

Il pane, più che per nutrire, è nato per essere condiviso: con gli amici, con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio!

Spezzato sulla tavola, cementa la comunione dei commensali.

Deposto nel fondo di una bisaccia riconcilia il viandante con la vita. Offerto in elemosina al mendico, gli regala un’esperienza, sia pure fugace di fraternità.

Donato a chi bussa di notte nel bisogno, oltre a quella dello stomaco, placa anche la fame dello spirito, che è fame di solidarietà.

Raccolto nelle sporte, dopo un pasto miracolo sull’erba verde, sta ad indicare che a chi sa fare la divisione, gli riesce bene anche la moltiplicazione!

 

È proprio vero, Giuseppe. Il pane è il sacramento più giusto del tuo vincolo con Maria.

Lei morde ogni giorno quello di frumento, procuratole da te col sudore della fronte.

Tu mordi il pane del tuo destino che l’ha resa Madre del Figlio di Dio.

 

È per questo che tu per noi, o falegname di Nazareth, sei provocatore di condivisioni, generose e assurde, appassionate e temerarie, al centro della sapienza e al limite della follia.

 

Una notte hai preso il coraggio a due mani e sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei Cantici.

Alzati amica mia, mia bella e vieni, perché ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato, e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati amica mia, mia bella e vieni!

 

O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro.

 

E la tua amica, la tua bella si è alzata davvero, è venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto.

 

Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvè. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell’universo e più alto del firmamento che vi sovrastava.

 

Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio e di dimenticarla per sempre.

Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando: “Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te”.

 

Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente.

 

Io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore.

Lei ha puntato tutto sull’onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto in te e in lei.

 

Concludo.

Ho declinato la tradizione e la devozione insita nelle tavole di Giurdignano, coinvolgendo:

un Santo – San Giuseppe;

un prossimo Santo – don Tonino Bello;

il Papa che il 20 aprile 2018 andrà a pregare sulla tomba di don Tonino Bello – Papa Francesco.

 

Francesco Lenoci

Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

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