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Suicidi e nuove povertà nel mare dell'indifferenza. Viaggio nella Caritas diocesana
15 marzo 2014

Il vero male è l’indifferenza. Il copyright di questa massima è di una grande donna e religiosa, madre Teresa di Calcutta, una massima di strettissima attualità, purtroppo. Con regolare cadenza i media propongono inchieste sulla povertà, ma spesso non ci si sofferma sulla gravità del contenuto, quasi che il suono delle parole emesso dall’elettrodomestico funga da leitmotiv ai nostri gesti quotidiani, lasciandoci indifferenti a drammi sempre più frequenti le cui vittime sono “gli altri” i poveri. Ma chi sono costoro e quanti sono nella nostra diocesi e a Molfetta? Abbiamo incontrato il direttore della Caritas Diocesana don Francesco De Lucia ed il responsabile della Casa di accoglienza della Caritas cittadina Mimmo Pisani presso la loro sede di via Carlo Pisacane. Corre l’obbligo di ricordare che ogni città della Diocesi ha una propria sede Caritas, ma ‘unica struttura aperta anche di notte tra Foggia e Bari è proprio quella di Molfetta, che appare, conseguentemente, quella più idonea a fotografare l’escalation delle nuove povertà. CARITAS PASTI TRIPLICATI IN 22 ANNI Dalla sua nascita, nell’ormai lontano 1992, la sede molfettese, voluta fortemente dal compianto Vescovo Don Tonino Bello, ha registrato una metamorfosi dell’utenza. Inizialmente accedevano ai servizi della casa di accoglienza, immigrati, soprattutto di nazionalità albanese, giunti a Molfetta e paesi limitrofi per essere impiegati in agricoltura. Successivamente l’utenza ha visto immigrati dell’Africa subsahariana, scappati da guerre, approdati in Italia con mezzi di fortuna e grazie a mercanti di uomini senza scrupoli. Attualmente la maggioranza degli ospiti è costituita da cittadini molfettesi, pochi gli immigrati stranieri. La Casa ha visto quasi triplicare il numero dei pasti serviti in tre anni. Si è passati dai 2826 dell’anno 2011 ai 7978 del 2013. L’aumento esponenziale, è stato causato da molteplici fattori: alla perdita di lavoro e dipendenze (ultima delle quali la ludopatia), si sono aggiunte separazioni di nuclei familiari, motivo per il quale il capofamiglia, per poter pagare gli alimenti a moglie e figli, si vede costretto a rivolgersi alla Caritas. Oltre ad un aiuto immediato ma che deve rimanere provvisorio, la Caritas avvia un progetto. L’ospite deve volere cambiare vita e verificatene le intenzioni, viene ammesso a fruire dei servizi offerti per un massimo di sei mesi entro i quali cercherà di trovare un lavoro regolare e retribuito, non “in nero” in quanto i termini carità e giustizia non sono disgiunti, hanno la stessa coniugazione, e un lavoro reinserisce l’ospite nella società e negli affetti. IL VOLONTARIATO NON BASTA PIU’ Il recente decreto cosiddetto “svuota carceri” sembra aver aggravato una situazione già drammatica. Infatti molti ex detenuti e minori a rischio vengono affidati alla Caritas, “in prova“. Don Francesco De Lucia manifesta tutta la sua preoccupazione per una situazione che la Caritas Diocesana non può gestire da sola. Occorrerebbe essere supportati da psicologi, assistenti sociali, medici, tutte figure specializzate pronte ad intervenire in situazioni che il meritevole volontariato, nonostante tenacia e abnegazione, spesso non riesce a gestire. Inoltre le erogazioni annuali provenienti dalle donazioni dell’otto per mille a favore della Chiesa Cattolica, giungono quasi al termine già nei primissimi mesi dell’anno. Occorrono interventi istituzionali. La povertà, non solo materiale, è endemica. La Chiesa non può farcela da sola. Don Francesco inoltre, trasmettendo il messaggio di Papa Francesco di non dimenticare lo spirito di povertà della Chiesa, auspica feste religiose più sobrie a beneficio delle attività di carità (ricordiamo la campagna di “Quindici” per una festa patronale più sobria, disattesa per l’insensibilità del Comitato organizzatore, ndr). Nella nostra città le parrocchie forniscono viveri ed assistenza agli indigenti e la parrocchia di San Domenico garantisce anche la fruizione di un pasto caldo a pranzo. GLI INTERVENTI DELLA PARROCCHIA S. DOMENICO Don Franco Sancilio, parroco di San Domenico, conferma l’allarmante aumento degli utenti della mensa parrocchiale. Inaugurata nel 2005, aperta tutti i giorni, compresi festivi ed estate, è gestita da volontarie parrocchiane, che si alternano per garantire un pasto caldo ad ospiti di varia nazionalità e fede. Agli iniziali 18 utenti, questa la capienza massima prevista, si è arrivati a punte di 27 ospiti, la stragrande maggioranza dei quali nostri concittadini, i nuovi poveri, tra i quali molti giovani che hanno lasciato la famiglia, spesso costretti da genitori che non meriterebbero di essere considerati tali, perché privi di lavoro, e anziani con pensione minima che riescono a stento a pagare il canone d’affitto. C’è sempre un pasto caldo, una parola, un cambio pulito per gli ospiti. Egregia l’attività di volontariato specie in un quartiere che non è stato mai ricco ma sul quale ricade maggiormente la crisi, attività coordinata da un uomo di Chiesa che tesse le fila di rapporti finiti, riunisce le famiglie e placa i rancori ed è punto di riferimento non solo del quartiere. Ma non bastano i nostri sacerdoti, apostoli di un antico Vangelo che chiede azioni moderne e non solo pura osservanza di pratiche religiose. Non si può rimanere insensibili di fronte alla muta richiesta dei nuovi poveri. Non possiamo trincerarci dietro un pensiero “tanto non toccherà mai a me”. Niente di più sbagliato! Sarebbe salutare trascorrere anche solo un’ora della propria esistenza con un ospite delle case di accoglienza per capire che la nostra vita patinata, sicura potrebbe sgretolarsi in un istante e farci precipitare in un tunnel senza uscita. Scalpore e incredulità hanno accompagnato le notizie dei nostri concittadini suicidi. La mancanza di lavoro, la disperazione, la solitudine di affetti sono le sole compagne di vita del nostro vicino, del passante, del padre dell’amico di nostro figlio, dell’anziano che chiede un po’ di compagnia, nessuno dei quali manifesta il proprio disagio. Allora siamo anche noi malati di indifferenza ed abbiamo anche noi bisogno di cure, di una in particolare il cui nome tanto abusato, rimane ancora sconosciuto: solidarietà.

Autore: Beatrice Trogu
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