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Sublime inferiore e letterarietà negli scritti di don Tonino
15 febbraio 2022

È stato più volte evidenziato come la valenza degli scritti di don Tonino non risieda esclusivamente nella pregnanza e nella forza dell’azione pastorale, ma che essi possano a giusta ragione considerarsi testi letterari di elevata dignità, non indegni di figurare tra le pagine di storie della letteratura. L’opera di don Tonino si segnala per i pregi della scrittura, che, soprattutto nei testi di argomento mariano e nelle preghiere, raggiunge vette di vero e proprio lirismo. Alcuni esempi sono noti a tutti: è il caso della preghiera della Lampara, in cui sembra rivivere, e trovare felice compimento, l’idea del varco montaliano. La luce della piccola imbarcazione per pescatori, che si accende nel “simbolo opaco” del “mare di piombo”, rappresenta un esempio limpido di lirismo, così come la poetica ebbrezza del volo del testo più celebre, L’ala di riserva. La verità è però che l’intera produzione di mons. Bello è connotata da costante tensione lirica e assurge a compiuta realizzazione del concetto di sublime inferiore, ossia la capacità di cogliere la grandezza insita nelle realtà più umili e darle risalto. Pietre di scarto si fonda proprio su questo assunto, che del resto rappresenta uno dei fattori culturalmente più rivoluzionari del cristianesimo stesso. Non a caso Erich Auerbach, in Mimesis, affermava che “fu la storia di Cristo, con la sua spregiudicata mescolanza di realtà quotidiana e d’altissima e sublime tragedia, a sopraffare le antiche leggi stilistiche”, quelle che attribuivano alla realtà quotidiana un “posto nella letteratura soltanto entro la cornice d’uno stile umile e medio”. Il sublime inferiore si coglie nella poetica valorizzazione di elementi modesti (la già citata “lampara” o l’emblema del “grembiule”) o di individui strappati ai “sotterranei della storia” per farli emergere in piena luce (“Gorbaciov vale quanto Pantaleo, che, come un ebete, se ne va in giro tutto il giorno col cane”; si pensi anche a “Said”, “prigioniero nelle sacche della miseria della nostra città”). Essa vibra però anche nel frequente avvicinamento di realtà teologiche a figure e motivi della quotidianità. Uno dei casi più significativi di tale procedimento è costituito da Maria, donna dei nostri giorni, tra i capolavori di mons. Bello. Maria è continuamente accostata, per mezzo di similitudini, a giovani donne alle prese con realtà problematiche (Antonella, Angela, Isabella, la “suora stimmatina” Rosanna). Felicissimo è poi il parallelismo proposto, seppur in forma dubitativa, tra Maria, le adolescenti di Palestina a lei coeve e le odierne ragazze innamorate. L’effetto che ne consegue è duplice: il lettore avverte la vicinanza alla Vergine, ben diversa dalle “sante occhi di vespa” di cui parlava Duby. Comprende che, pur “essendo umile e alta più che creatura”, Maria era anche e sempre creatura, donna che incedeva tra le altre donne. Questo processo, che umanizza ma non sminuisce Maria, porta, al contempo, a elevare e ascrivere a una sfera sublime anche le già citate umili figure femminili. Non si può non rilevare, poi, in don Tonino una scaltrita conoscenza delle norme dell’arte di comporre, affinata nella lettura delle Scritture e soprattutto della salmodia, ma nutrita anche di cultura di matrice profana. Mentre celebra Maria come “donna senza retorica”, don Tonino dà esempio della più pura adozione della retorica, di fatti esprimendosi su livelli stilisticamente alti. Uno stile che si giova dell’anafora salmodiante (dalla ripetizione del termine “donna”, pienamente riconducibile al latino domina, di volta in volta con varie attribuzioni, all’iterazione del “prega”), ma anche di metafore ardite (“sulle cui labbra la parola si sfarina in un turbine di suoni senza senso”) o di parallelismi sintattici, non di rado con valore antitetico (“Ci riempie la bocca, ma lascia vuoto il grembo. Ci dà l’illusione della comunione, ma non raggiunge neppure la dignità del soliloquio”). E che dire del ritmo, di innata musicalità, e delle similitudini, alcune fortemente icastiche, come quella dei “mascheroni di certe fontane che non danno più acqua e sul cui volto è rimasta soltanto la contrazione del ghigno”. Concludiamo questa brevissima, e del tutto insufficiente, disamina, con la segnalazione della cultura che innerva l’opera di don Tonino. Sarebbe forse scontato porre l’accento sulla salda conoscenza del patrimonio della letteratura cristiana, dei teologi, da san Tommaso a Ladislao Boros, da Gioacchino da Fiore a Dietrich Bonhoeffer (per fare solo alcuni nomi). In realtà gli scritti di don Tonino traboccano di esemplificazioni e numerose sono le citazioni dirette e indirette o anche gli spunti polemici (si pensi al caso dell’antropologa Ida Magli). Tra gli exempla, particolarmente suggestivo appare un passaggio di In confidenza di padre, in cui don Tonino, in un efficace gioco di specchi, cita un’esemplificazione cara a padre Romero, uno dei suoi miti, ossia il racconto del beduino ucciso mentre guidava le carovane nel deserto, per poi efficacemente evidenziare che l’assassinio dell’amato vescovo rappresentava una beffarda concretizzazione di quell’exemplum. Spesso, le sue meditazioni presentano un explicit colto (il riferimento a Cronin in Trahison des clercs o al Libro delle domande di Neruda nell’avviso ai giovani), ma possono anche sfociare, dopo un delizioso gioco citazionista (come avviene in Maria, donna innamorata) nella memoria musicale pop, con il “ritornello che si sente giungere la sera... da una rotonda sul mare: «Parlami d’amore, Mariù »”. L’accostamento tra fonti di diversa appartenenza su può cogliere anche quando don Tonino infrange un tabù spesso proprio della letteratura cristiana, dando risalto alla bellezza delle fattezze di Maria: interessante il movimento che parte dalla voce dei poeti (e qui Mons. Bello cita alla canzone alla Vergine di Petrarca), per muovere verso le canzoni degli umili (il motivo popolare Mira il tuo popolo) per poi virare verso il sublime evangelico del Kecharitomène “nel saluto dell’angelo” (“non potrebbe trovare il suo equivalente in ‘graziosissima’, con allusioni evidenti anche all’incantevole splendore del volto umano di lei?”). Ciò che è bene rilevare è che la cultura non è mai sfoggiata in maniera fine a sé stessa e, anzi, proprio l’idea di una funzione civile dell’opera degli intellettuali è dedicata la vibrante lettera Trahison des clercs; qui don Tonino ribalta la natura del tradimento evidenziato da Benda e invita gli uomini di cultura a non restare a guardare, a non essere “latitanti dell’agorà”. “Forse insieme riscatteremo la freddezza del sacerdote, chierico del sacro, e l’apatia del levita, chierico del sapere”. (Prima pubblicazione, “Luce e Vita”, 28 gennaio 2018)

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