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Su quella lama non si doveva costruire Le case di via Fontana erano previste sul suolo dell’attuale piscina. Poi un cambio di destinazione mai chiarito
15 marzo 2003

E’ il 12 maggio 1994 quando la giunta comunale, presieduta dal sindaco Annalisa Altomare, delibera di modificare l’atto di convenzione tra il Comune e la società Ital.Co., impresa edile amministrata dal sig. Corrado Calò. Gli appartamenti che l’impresa si apprestava a costruire, sarebbero costati più del previsto: 966.204 lire al mq, piuttosto che 915.478 lire. La variazione di prezzo, pari a poco più di 50mila lire al mq, era giustificata dall’improvvisa presa d’atto, da parte dell’impresa, che “l’area interessata dall’intervento costruttivo programmato, in quanto ricadente sul fondo di una lama, parzialmente ricolmata da depositi sciolti di tipo sabbioso siltoso-argilloso, tipici dei fondi lama”, non consentiva “la normale realizzazione di fondazioni a plinti isolati”. Insomma, la realizzazione di quelle palazzine sarebbe stata più complicata, più sofisticate le tecniche di costruzione richieste, e dunque imprevedibilmente maggiori gli oneri a carico dell’impresa. Ergo, il Comune consentì all’impresa, già “beneficiaria” peraltro di un suolo comunale, di imporre prezzi più elevati ai futuri acquirenti. Si ricorda di quella delibera Matteo d’Ingeo, consigliere comunale di lì a qualche mese. “La delibera di giunta arrivò a seguito di una richiesta pervenuta dalla società Ital.Co. – racconta d’Ingeo – che avanzava istanza di revisione del prezzo di vendita degli alloggi, in previsione della creazione di fondazioni speciali”. Fondazioni “tipo pali”. Più profonde di quelle previste, che avrebbero dovuto superare gli “infidi terreni” della lama e raggiungere il più affidabile calcare, attestandosi all’interno della piattaforma calcarea per evitare così i potenziali rischi derivanti dai terreni “di tipo sabbioso siltoso-argilloso, tipici dei fondi lama”. La novità, l’ultima nell’intricata vicenda delle palazzine di via Aldo Fontana, non è di poco conto: la relazione geologica allegata a quella delibera di giunta del 1994, parla chiaramente della presenza di una lama sotto i due stabili, oggi a rischio crollo. Ed è singolare e inquietante che in quella relazione tutte le volte che il geologo riporta in dettaglio i risultati delle indagini geotecniche effettuate su quel suolo, siano proprio le palazzine 1 e 2 ad essere oggetto di particolare attenzione. Proprio quelle che nel novembre scorso il sindaco Tommaso Minervini ordinò di sgomberare. Proprio quelle che, più delle altre, hanno dato in questi anni “segni di cedimento”. “Le prove dirette – dichiarava il geologo Michele Mezzina nel 1993 – hanno evidenziato che i sedimi delle palazzine 3-6-7 sono interessati, per intero da roccia calcarea mentre le palazzine 1 e 2 prevalentemente dalla presenza della formazione alluvionale”. E ancora: “Bisognerà distinguere due casi: quello dei sedimi delle palazzine 3-6-7… e quello delle palazzine 1-2, interessati dalla presenza di formazione alluvionale sciolta alla profondità del piano di posa”. E, per chi ancora avesse qualche dubbio, con tanto di tavole e tabelle allegate, il geologo concludeva: “Come si evince dalla tabella, la formazione alluvionale è estremamente cedevole, e può dar luogo in fase operativa a cedimenti differenziati notevoli e non compatibili con le caratteristiche del manufatto. Pertanto è consigliabile adottare, per gli edifici 1 e 2, fondazioni profonde tipo pali, che dovranno saldamente attestarsi all’interno del calcare”. Tant’è. Sappiamo, dunque, che, “sepolta” sotto le palazzine di via Aldo Fontana c’è una lama. Sappiamo che due edifici, in particolare, poggiano su terreni “cedevoli”: guarda caso, i due palazzi che destano oggi più preoccupazione. A questo punto la storia si complica. C’è da chiedersi: quelle fondazioni speciali, “tipo pali” saranno bastate a contrastare la tendenza a cedere, propria di quei terreni? E prima ancora: i consigli del geologo ad adottare accorgimenti particolari per le palazzine 1 e 2 saranno stati seguiti alla lettera nel lontano 1994? Finora nessuno ha pensato che i due fatti (“terreno cedevole” sotto le due palazzine sgombrate e vistosi fenomeni di cedimento occorsi ai due edifici in questi anni) possano essere collegati. L’ipotesi che, tra tecnici e non, pare riscuotere più successo è un’altra: che i danni subiti dagli stabili dipendano dalle “strane” caratteristiche del calcestruzzo adoperato per la costruzione dei palazzi. Calcestruzzo ad alta concentrazione di cloruri, che avrebbero determinato nel tempo l’ossidazione degli elementi in ferro presenti all’interno delle armature degli edifici. Perché ci siano dei cloruri in quel calcestruzzo, non è dato sapere. Qualcuno dice: avranno adoperato dell’acqua salata per lavorare il materiale di costruzione. Ma si tratterebbe di una pratica davvero “poco ortodossa”, abbastanza difficile persino da immaginare. Ma c’è chi non rinuncia a pensare che quella lama, nascosta, eppure sempre presente, proprio lì, sotto le due palazzine di via Aldo Fontana, possa essersi ribellata a distanza di qualche anno. “Ad oggi – prosegue Matteo d’Ingeo - non abbiamo certezze sulla possibile correlazione tra le caratteristiche di quei terreni e i cedimenti riportati dagli edifici: eppure, a giudicare dai rilievi che si leggono nella relazione geologica relativa a quel suolo, qualche dubbio pare essere più che legittimo. E accertamenti in tal senso sembrano, a questo punto, più che doverosi”. Cedimenti provocati dalla presenza di una lama: ad insinuare questo sospetto, del resto, non è solo la relazione geologica che nel 1994 legittimò la richiesta di maggiorazione del prezzo degli appartamenti avanzata dall’impresa Ital.Co. Sui possibili “effetti collaterali” derivanti dall’edificazione su un terreno alluvionale (“tipo lama”), qualche esempio potrebbe già essersi verificato altrove. Esempi da ricordare, a futura memoria. E’ il caso di via Salvo D’Acquisto, ultimo avamposto della zona 167 di Molfetta. Lungo quella strada, a partire dalla Ss. 16 bis passa una lama. Il solito “terreno cedevole”. Ebbene, alcuni dei palazzi costruiti su quell’area accusano da tempo strani “cedimenti”: qualche crepa di troppo che in qualche caso ha indotto i proprietari ad avviare azioni legali. Non è certo una prova sufficiente a dimostrare che nel caso di via Aldo Fontana la vera responsabile dei danni subiti dalle palazzine sia la lama. Ma si tratta sicuramente di un indizio importante che rafforza il sospetto di alcuni. E siccome in tutti i “gialli” che si rispettino il bandolo della matassa tarda sempre a venire, c’è ancora un interrogativo che adombra il caso di via Aldo Fontana. “Quando nel 1995 il consiglio comunale diede il via alle opere di urbanizzazione di quell’area – ricorda Matteo d’Ingeo – sollevai una questione: se quelle palazzine dovessero essere costruite in quella zona oppure, secondo quanto era previsto in un primo momento, la destinazione di quegli edifici dovesse essere contrada della Spina, il suolo poi scelto per edificare le piscine comunali”. Un cambio di destinazione da chiarire, insomma. E una delusione, forse, per gli acquirenti di quegli appartamenti, che si attendevano la “vista mare” e che, invece, furono sbattuti in estrema periferia. Con tanto di ferrovia e ponte (di ponente) a un tiro di schioppo dalle proprie case. Massimiliano Piscitelli Tiziana Ragno
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