Smartpatia ovvero bulimia da web
Ormai “scambiare due chiacchere” con i nostri cari, i nostri amici, i nostri vicini, è diventato pressoché impossibile. Camminano tutti guardando il loro smartphone (telefono intelligente?), braccio teso in avanti, magari sbattendo contro qualche palo o attraversando la strada trafficata, rigorosamente non sulle strisce pedonali, senza guardare né a destra né a sinistra. I più “completi” hanno gli auricolari e vanno parlando ad alta voce dei loro affari. Ogni tanto vedi una macchina ferma ad un incrocio, pensi ad un guasto, ti avvicini e vedi il guidatore intento a giocare al solitario col suo telefono. Se vai in qualche sala di attesa, dalla stazione al laboratorio di analisi, dal medico o al cinema, vedi tutti, giovani vecchi e bambini imbambolati a giocare col telefonino o a mandare decine di messaggi inutili a destra e a manca: magari a quelle stesse persone che incontrano per strada e a cui non concedono neanche un saluto “vocale” perché non le vedono. Nessuno legge più un giornale seduto sulla panchina di un giardino, o guarda il cielo azzurro, o scrive una lettera, ammesso che si sia capaci di scrivere con carta e penna, ma si mandano solo “tweet” (cinguettii!) con il cellulare. Una sera ero fermo con l’auto in attesa di un amico e ho visto una coppia di giovani sedersi su una panchina di un giardino. Lei ha accavallato le gambe su quelle del compagno, si sono abbracciati e hanno estratto ciascuno il proprio cellulare con la mano libera e così sono rimasti, rapiti nel loro mondo artificiale, chissà per quanto tempo, incuranti persino della pioggia che incominciava a cadere. Per non parlare di quelli che guidano telefonando o guardando il proprio cellulare poggiato sul volante anziché la strada. E’ confermato che una elevatissima percentuale degli incidenti stradali è provocata dall’uso improprio del cellulare. Credo che questo fenomeno stia diventando molto grave: persone umane e virtuali si intersecano continuamente ma non si rapportano più con nessuno. E poi ci sono i veri e propri casi patologici: da quelli che controllano compulsivamente, anche di notte, se sono arrivati nuovi messaggi, o “faccette” o “mi piace”, anziché dormire. E quelli che ricercano continuamente sui cosiddetti “social” (spesso sfogatoi per tanti frustrati), i “profili” di amici, nemici, amanti. Tutto questo è molto simile alla fotocopia del drogato a vari livelli, dal tabagista al bulimico, dall’eroinomane, al ludopatico (di cui son piene le tabaccherie), all’alcolista: in una parola “tossicodipendenza”, che non incide fortunatamente sul corpo ma sul cervello sì, fino al punto di non riuscire più a distinguere le cose importanti da quelle inutili, le persone fisiche, anche le più vicine, da quelle virtuali. Certamente il semplice utilizzatore dello strumento per telefonare, parlare, lavorare, guardare le notizie, aggiornarsi, studiare, non è da considerarsi fra le categorie suddette, poiché la moderna tecnologia ha creato uno strumento utilissimo per chiunque sappia utilizzarlo e controllarlo con intelligenza. E’ l’iperconnesso invece che utilizza male questo strumento, diventando afasico, intontito, vittima e non gestore intelligente dello “smartphone”. Dal “cogito ergo sum” siamo passati al “digito ergo sum”, con tutte le conseguenze anche sociali che questo comporta. Per fortuna, finalmente, si comincia a riflettere su questo problema: studiosi, associazioni, enti stanno dando l’allarme, che riguarda anche le conseguenze sul piano didattico (l’uso troppo pesante di tablet e smartphone nei ragazzi in età scolare pregiudica addirittura le loro capacità matematiche e quelle letterarie). Speriamo che al più presto si riscopra il calore del rapporto umano, e persino la bellezza di “far di conto” o di leggere una bella poesia, magari spegnendo il cellulare per qualche ora del giorno e della notte. © Riproduzione riservata