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Sistema politico-giudiziario in Italia, le metastasi del potere nello stato di diritto
04 novembre 2012

La civiltà giuridica, vanto e orgoglio dell'Italia, è costantemente congestionata e vilipesa dal ricorso alla carcerazione preventiva, che assimila il nostro Paese ai regimi totalitari. Mentre si assiste alla perdita della certezza del diritto e a ripetuti tentativi di indire amnistie e indulti per salvaguardare quanti, abusando del loro potere, hanno gestito la cosa pubblica corrompendo e lasciandosi corrompere, le carceri si affollano d’imputati in attesa di giudizio, molti solo presunti colpevoli di reati la cui sanzione è sproporzionata rispetto al danno effettivo arrecato alla collettività. Ad esempio, fumare uno spinello è più pericoloso che falsificare un bilancio per milioni di euro.
La degenerazione del sistema politico-giudiziario in Italia è così profonda e quasi irrimediabile che è più facile entrare in carcere da presunto colpevole per un’infinità di micro-reati, che permanervi da condannato definitivo per concussione, corruzione e per tutti quei reati connessi all’esercizio di una pubblica funzione.
Tra l’altro, chi ruba dalla collettività milioni di euro per poi espatriarli in Svizzera (unica nazione non visitata dal Presidente del Consiglio, nonostante la Grecia abbia stipulato accordi con lo Stato svizzero per il recupero dell’evasione sui capitali evasi dai cittadini greci depositati nelle banche elvetiche), ha la possibilità di assoldare squadre di consulenti avvezzi alle svariate “anomale consuetudini”, tra cui l’approccio amicale con l’inquirente di turno a “garanzia” del proprio assistito, prim’ancora dello studio della difesa.
Da quando è stato creato (1948) dall’Assemblea Costituente, il sistema giudiziario pare non essere mai stato avviato completamente nel rispetto dei principi costituzionali, ad iniziare dall’art.3: la legge è uguale per tutti, non la sua applicazione pratica. Dalle cronache giudiziarie emerge la sproporzione tra la repressione dei reati commessi dai potenti e dai politici e quelli compiuti dalla povera gente, anche per fame (lo stesso DDL anticorruzione nasconde tra le righe questo assunto). 
L’aggressione allo stato di diritto è stata spalmata negli ultimi 40 anni con una sistematica azione di sabotaggio del meccanismo giudiziario da parte del potere legislativo e governativo. Migliaia di leggi fatte con il volontario o involontario obiettivo di sommergere i meccanismi giudiziari con milioni di micro-procedimenti caratterizzati da maniacali contorsioni di lunghissima gestione, poco orientati a colpire i potenti di turno se colpevoli di reato.
La stessa giustizia, più che mai resa forma d’ingiustizia (le cause civili e penali si trascinano a oltranza) sembra non offrire segni di innovazione. La garanzia vera ed effettiva del diritto e della giustizia oggi non esiste.
È stata, così, rafforzata nel tempo la politica del «garantismo», quasi a riproporre la città di «Acchiappa-citrulli», dove fu incarcerato il povero Pinocchio. Garantismo non per il cittadino innocente e/o presunto colpevole, ma garantismo taroccato, garanzia d'impunità del potere stesso, soprattutto se corrotto.
Quanti ministri della Giustizia si sono succeduti cooperando in questo lavorio continuo? Quanto la stratificazione della burocrazia normativa, tra Corte Costituzionale, Consiglio superiore della Magistratura e Corte di Cassazione, oltre alle “incestuose” mediazioni tra politica e diritto, ha semplificato e velocizzato i vari procedimenti giudiziari? Il sistema è stato, invece, ingolfato.
Per di più, si è tonificata la sola Giustizia del cavillo, anche contraria alla libera informazione, da sempre nel mirino degli “spaccatori del capello” per i quali la giustizia non è un fine, ma un mezzo per cucire la bocca della legittima protesta, della denuncia al sistema e della libertà di stampa e opinione.
Esiste una sana giustizia in Italia, ma purtroppo emerge agli altari sacrificali della cronaca solo un’inzuppata brodaglia d’inconcludenza. Le Procure sembrano puntare solo ai titoloni: solo dopo parecchi anni si scopre che i risultati di quei sequestri, di quegli arresti, di quei caratteri cubitali sono inesistenti. 
Ad oggi, nulla sembra essere mutato con questa classe politica e tecnocratica al vertice. Il DDL anticorruzione potrebbe essere solo un abbaglio: le metastasi sono numerose e diffuse in tutti gli apparati dello Stato, a partire dal Parlamento che avrebbe dovuto produrre gli “anticorpi” contro le sue «quote marron» (100 deputati e senatori inquisiti e condannati a pene definitive).
A tutti i componenti uscenti, nessuno escluso, andrebbe inibita la rielezione: invece, secondo il testo del DDL anticorruzione, solo a 6 tra i 945 parlamentari italiani, sarebbe inibita la rielezione. L’ennesima beffa del sistema.
 
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Autore: Nicola Squeo
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…..rispetto al 1913-14 i laureati del 1918-19 aumentarono del 42%. In cinque anni, dal 1919 al 1923, le facoltà di giurisprudenza immisero sul mercato più di 11 mila neo-laureati. Come poteva essere assorbita tutta questa gente? La Pubblica Amministrazione, che era stata nel periodo precedente il più grosso datore di lavoro dei laureati in legge, non poteva certo riuscire ad adeguare le sue capacità di assorbimento al nuovo ritmo di incremento dell'offerta, cosicchè gran parte dei neo-laureati rimasero disoccupati. Non migliore fu d'altra parte la sorte di coloro che si dedicarono alla libera professione di avvocato. “In Italia, oggi, - osservava nel 1921 Piero Calamandrei – i professionisti legali sono in numero sono sempre stati superiori ai bisogni sociali; questa elefantiasi patologica degli ordini forensi, porta con sé, come naturale conseguenza, la disoccupazione e il disagio economico della grande maggioranza dei professionisti, e quindi il progressivo abbassamento intellettuale e morale della professione, del quale la pubblica opinione, pur senza intenderne esattamente le cause, si rende conto con tanta severità di giudizio. – Vanno tuttavia ricordate le osservazioni di Daniel Guèrin: “Gli elementi caratteristici di questa gioventù studentesca sono sempre stati l'impazienza e l'invidia. Il giovane medico, il giovane avvocato, il giovane artista debbono attendere lunghi anni prima di affermarsi nella carriera che hanno scelto. Contro gli anziani che sbarrano loro la strada, essi costituiscono un sindacato di scontenti. Per questo in Italia, attorno al 1910, la gioventù intellettuale e studentesca era futurista con Marinetti. Questi giovani non riuscivano a definirsi che affermando la loro giovinezza, scrivendo la parola “giovinezza” sulla loro bandiera. Conoscevano una cosa sola: l'impazienza verso l'avvenire. Il loro nemico era l'adulto, l'uomo calvo, il “passatista”. “I più vecchi di noi non hanno ancora trent'anni. Dobbiamo affrettarci a rifare tutto, bisogna andare contro corrente”, era il loro leitmotiv. Oggi? Quali tendenze politiche provocano situazioni simili?












L'articolo, come d'altronde tutti quelli elaborati dall'Estensore su questi argomenti, è assolutamente interessante. Tanto interessante e di attualità che, per cercare di esprimere la mia opinione su quanto trattato, sono stato costretto a rileggerlo varie volte (il bello di leggere qualcosa, piuttosto che ascoltarla, ad esempio in TV, è che la notizia scritta ti consente, a furia di rileggerla, di comprenderla BENE!). Prendo spunti da alcuni brani: - Il concetto dell'ingiustizia nella giustizia, dove 'l'uso di uno "spinello" diventa un reato più grave della 'falsificazione di un bilancio a sei/nove zeri'. Una verità amara, ma è così! - La sproporzione fra la pena comminata per un reato commesso da alcuni individui (criminali?) ed altri ...individui diciamo così "particolari" (a volte anche essi criminali, ma con patrocinanti d'alto bordo) che riescono dove i primi hanno fallito. - La "giustizia resa ingiustizia"! Tutti invichiamo il 'garantismo' ad oltranza, perdendo, a volte, di vista il fatto che appunto chi può, condiziona con questo concetto l'esito del procedimento, forse anche nei casi più palesi. - I ministri della Giustizia che, secondo quanto riportato, hanno nel corso degli anni, eroso profondamente lo zoccolo del DIRITTO, così come l'avevano concepito i Costituenti; io non credo che la responsabilità primaria vada ascritta al Guardasigilli del momento. Propendo - ma è una mia impressione - più per una relativa ...corresponsabilitàdi questo o quel Ministro, a seconda del suo ..."brodo di cultura" politico/intellettuale. Anche perché le leggi sono frutto del lavoro del Parlamento. Ed è appunto in quest'ultima notazione che vorrei dire che in un Parlamento, come il nostro, in cui la professione dei parlamentari più presente sembra essere quella degli Avvocati, potrebbe sembrare plausibile che certe degenerazioni possano essere più attuabili che in altri Parlamenti. Lo vediamo tutti i giorni: veri Principi del foro che tutelano e condizionano con cavilli e sentenze le più disparate, individui accusati di delitti per i quali, in altre condizioni, un altra persona sarebbe già stata condannata definitivamente. Infine il problema della rielezione invocati nell'ambito del DDL anticorruzione: è drammatico ma, nonostante tutte queste dimostrazioni degenerative, sarei portato a pensare che anche nel prossimo Parlamento si avrà il record di professionisti del Foro. Daltronde nella nostra Democrazia più che imperfetta, siamo noi che scegliamo, in qualche modo i nostri Rappresentanti.











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