La civiltà giuridica, vanto e orgoglio dell'Italia, è costantemente congestionata e vilipesa dal ricorso alla carcerazione preventiva, che assimila il nostro Paese ai regimi totalitari. Mentre si assiste alla perdita della certezza del diritto e a ripetuti tentativi di indire amnistie e indulti per salvaguardare quanti, abusando del loro potere, hanno gestito la cosa pubblica corrompendo e lasciandosi corrompere, le carceri si affollano d’imputati in attesa di giudizio, molti solo presunti colpevoli di reati la cui sanzione è sproporzionata rispetto al danno effettivo arrecato alla collettività. Ad esempio, fumare uno spinello è più pericoloso che falsificare un bilancio per milioni di euro.
La degenerazione del sistema politico-giudiziario in Italia è così profonda e quasi irrimediabile che è più facile entrare in carcere da presunto colpevole per un’infinità di micro-reati, che permanervi da condannato definitivo per concussione, corruzione e per tutti quei reati connessi all’esercizio di una pubblica funzione.
Tra l’altro, chi ruba dalla collettività milioni di euro per poi espatriarli in Svizzera (unica nazione non visitata dal Presidente del Consiglio, nonostante la Grecia abbia stipulato accordi con lo Stato svizzero per il recupero dell’evasione sui capitali evasi dai cittadini greci depositati nelle banche elvetiche), ha la possibilità di assoldare squadre di consulenti avvezzi alle svariate “anomale consuetudini”, tra cui l’approccio amicale con l’inquirente di turno a “garanzia” del proprio assistito, prim’ancora dello studio della difesa.
Da quando è stato creato (1948) dall’Assemblea Costituente, il sistema giudiziario pare non essere mai stato avviato completamente nel rispetto dei principi costituzionali, ad iniziare dall’art.3: la legge è uguale per tutti, non la sua applicazione pratica. Dalle cronache giudiziarie emerge la sproporzione tra la repressione dei reati commessi dai potenti e dai politici e quelli compiuti dalla povera gente, anche per fame (lo stesso DDL anticorruzione nasconde tra le righe questo assunto).
L’aggressione allo stato di diritto è stata spalmata negli ultimi 40 anni con una sistematica azione di sabotaggio del meccanismo giudiziario da parte del potere legislativo e governativo. Migliaia di leggi fatte con il volontario o involontario obiettivo di sommergere i meccanismi giudiziari con milioni di micro-procedimenti caratterizzati da maniacali contorsioni di lunghissima gestione, poco orientati a colpire i potenti di turno se colpevoli di reato.
La stessa giustizia, più che mai resa forma d’ingiustizia (le cause civili e penali si trascinano a oltranza) sembra non offrire segni di innovazione. La garanzia vera ed effettiva del diritto e della giustizia oggi non esiste.
È stata, così, rafforzata nel tempo la politica del «garantismo», quasi a riproporre la città di «Acchiappa-citrulli», dove fu incarcerato il povero Pinocchio. Garantismo non per il cittadino innocente e/o presunto colpevole, ma garantismo taroccato, garanzia d'impunità del potere stesso, soprattutto se corrotto.
Quanti ministri della Giustizia si sono succeduti cooperando in questo lavorio continuo? Quanto la stratificazione della burocrazia normativa, tra Corte Costituzionale, Consiglio superiore della Magistratura e Corte di Cassazione, oltre alle “incestuose” mediazioni tra politica e diritto, ha semplificato e velocizzato i vari procedimenti giudiziari? Il sistema è stato, invece, ingolfato.
Per di più, si è tonificata la sola Giustizia del cavillo, anche contraria alla libera informazione, da sempre nel mirino degli “spaccatori del capello” per i quali la giustizia non è un fine, ma un mezzo per cucire la bocca della legittima protesta, della denuncia al sistema e della libertà di stampa e opinione.
Esiste una sana giustizia in Italia, ma purtroppo emerge agli altari sacrificali della cronaca solo un’inzuppata brodaglia d’inconcludenza. Le Procure sembrano puntare solo ai titoloni: solo dopo parecchi anni si scopre che i risultati di quei sequestri, di quegli arresti, di quei caratteri cubitali sono inesistenti.
Ad oggi, nulla sembra essere mutato con questa classe politica e tecnocratica al vertice. Il DDL anticorruzione potrebbe essere solo un abbaglio: le metastasi sono numerose e diffuse in tutti gli apparati dello Stato, a partire dal Parlamento che avrebbe dovuto produrre gli “anticorpi” contro le sue «quote marron» (100 deputati e senatori inquisiti e condannati a pene definitive).
A tutti i componenti uscenti, nessuno escluso, andrebbe inibita la rielezione: invece, secondo il testo del DDL anticorruzione, solo a 6 tra i 945 parlamentari italiani, sarebbe inibita la rielezione. L’ennesima beffa del sistema.
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