Senato, l'ancien regime: sindaco-senatore compatibili. Azzollini salvato dalla Lega Nord
L’Italia è la “repubblica delle banane”. Dopo 6 sedute di “chiacchiere”, la gattopardesca Giunta per le elezioni del Senato si è espressa: le cariche di senatore e sindaco non sono incompatibili, nonostante la sentenza n.277 della Corte Costituzionale del 21 ottobre e il provvedimento assunto dalla Giunta per le Elezioni della Camera, che lo scorso 14 dicembre aveva dichiarato l’incompatibilità tra la carica di deputato e quella di sindaco di Comuni con oltre 20mila abitanti. Antonio Azzollini (Pdl), sindaco di Molfetta e presidente della V Commissione Bilancio, e Vincenzo Nespoli (Pdl), sindaco di Afragola, i casi discussi. In Giunta Pdl e Lega Nord hanno votato contro la decisione della Corte Costituzionale: Azzollini e Nespoli possono continuare a ricoprire le cariche di sindaco e senatore perché la sentenza della Corte Costituzionale è additiva e irretroattiva (non può intervenire sui rapporti in essere, ma solo su vicende successive o non ancora valutate dalla Giunta). Idv e Pd hanno abbandonato i lavori per protesta, compreso il presidente della Giunta, Marco Follini, che ha indetto il voto prima di uscire. Del resto, si è creato anche un caso di assurda disparità politica tra deputati e senatori. La casta inattaccabile difende se stessa fino al paradosso di spaccare in due il Parlamento: i senatori si appellano all’art.66 della Costituzione, secondo cui «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità». Insegnano così l’arte politica di come arrampicarsi sugli specchi. In realtà, esigenze di trasparenza, correttezza e funzionalità imponevano alla Giunta per le Elezioni del Senato di ribadire quanto sancito dalla Corte Costituzionale: roba da “ancien regime” in cui la lotta ai vantaggi della classe politica e il rifiuto dell’indennità di sindaco sono solo mezzucci di demagogia politica. Quando sarà possibile discutere delle ripercussioni negative sul governo cittadino determinate dal doppio mandato? O del possibile conflitto d’interessi tra le due cariche? O della violazione del principio di ragionevolezza (un soggetto non può assumere durante il proprio mandato uffici o cariche che precludano l’eleggibilità rispetto a quello ricoperto per primo) e del diritto di elettorato passivo e attivo? O, infine, del metus publicae potestatis, la cosiddetta captatio benevolentiae, quando l’elettore al momento del voto è consapevole che uno dei due candidati sarà eletto anche senatore, mettendo in discussione il corretto svolgimento della competizione elettorale nella “parità delle armi”? Insomma, con estrema pervicacia Pdl e Lega Nord hanno salvato le poltrone di Azzollini e Afragola, rigettando una sentenza del massimo organo giurisdizionale, il cosiddetto “giudice delle leggi” in grado di accertare l’illegittimità delle scelte operate dal legislatore ordinario. L’ennesimo rogo alla politica, non più l’arte del governare la società per il bene di tutti, bensì l’aspirazione al potere, al monopolio e all’uso legittimo della forza, all’interesse personale al di sopra degli interessi della comunità. Senza i voti della Lega Nord Azzollini non si sarebbe salvato. È evidente che il sindaco senatore presidente ha esatto dai bossiani il favore delle quote latte della Finanziaria 2010 (emendamento approvato in Commissione Bilancio con un voto di scarto), senza dimenticare gli altri elargiti in questi anni (come l’antenna di Radio Padania installata nell’agro di Molfetta). Questa è la coerenza dei politici italiani. La Lega conduce ormai un mortificante doppio gioco: opposizione dura e pura pro popolo padano e maggioranza pro casta, quando giocano poltrone o favori per sé o per gli alleati di ieri e di domani. Azzollini resta dov’è, sindaco a Molfetta e senatore presidente a Roma. “Abusivismo politico” sanato da una politica abituatasi negli ultimi 17 anni a considerare legittimo l’illegittimo e legale l’illegale. Il Governo non governa, ma è impegnato a risolvere i problemi del leader. Il Parlamento è ridotto nelle funzioni e nelle potenzialità legislative. La Magistratura ed i giudici costantemente denigrati. I cittadini sono stanchi. Il trinomio sesso-potere-denaro ha segnato il degrado della politica, soprattutto negli ultimi 5-6 anni. Questi alcuni effetti del berlusconismo, che dal 1994 ha cambiato il volto dell’Italia. In negativo. Allo stesso modo, l’azzollinismo dell’ultimo decennio (non solo durante il mandato di sindaco di Azzollini) ha stravolto la città di Molfetta, in peggio: non sono i palliativi di piazze e chiese, contributi sociali e sanatorie varie, finanziamenti portati da Roma a qualificare come sana un’azione amministrativa. Molfetta è diventata un feudo di valvassori e valvassini: si è abusato dell’ambiente (basti pensare agli ultimi scandali urbanistici), il privato è maturato a svantaggio del cittadino, il consiglio comunale ha cessato di essere la palestra della politica lasciando il posto alla tavola degli yes man, la politica è stata accentrata nelle mani del feudatario del weekend che insegue sogni di onnipotenza e potere. Azzollini lascerà il trono molfettese nel 2013, ma questo non segnerà la fine dell’azzollinismo. Così come le dimissioni di Silvio Berlusconi non hanno segnato la fine definitiva del berlusconismo. Basterà una petizione cittadina a cacciare il padre padrone feudatario? Si riparte da zero, sul punto di annegare nel qualunquismo e nel moderno populismo di destra.
Autore: Marcello la Forgia