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“Se avete fame, mangiate idealità”
15 gennaio 2017

All’alba del 24 aprile del 1924, Molfetta si appresta a vivere una giornata indimenticabile, di portata storica. Il Comune e il locale Fascio di Combattimento hanno già preparato le masse con la pubblicazione di due “vibranti” manifesti. Per tutta la città serpeggia un clima di ansia trepida e insieme festosa. Alle 16.30 si forma il corteo: preceduto dalla banda e dal suono di inni fascisti si avvia alla Stazione dove Lui è atteso. Imponente, poderosa, la schiera delle autorità: il Commissario Regio del Comune, il Segretario Politico, il Direttore del Credito Italiano, il Capitano del Porto, un Capitano di vascello, un noto Industriale, il Pretore, il Ricevitore di Dogana, il Ricevitore del Registro, Presidi, Direttori Didattici, un Ispettore senza Ispezione. Ad un tratto, giunge la notizia che da Barletta, Trani e Bisceglie, autorità e fascisti sono saliti sul Suo treno per accompagnarlo fino a Molfetta. Viene anche segnalata la presenza di un solitario Sottoprefetto. L’attesa viene infine premiata: il treno, lentamente, si ferma alla Stazione. Lui scende. È un tripudio: cento gagliardetti si ergono, mille bambini inneggiano, gonfaloni, applausi, canti. Visibilmente commosso e letteralmente coperto di fiori, Lui saluta romanamente, ringrazia e sorride. Ha inizio il corteo. Non c’è balcone senza bandiera, non c’è finestra senza lancio di fiori, non c’è incrocio che non sia gremito di popolo: tutti vogliono mandargli un bacio. Finalmente si giunge in piazza Municipio, ora intitolata a Benito. Chiamato a gran voce dalla folla in delirio, Lui si concede al balcone. Ma prima, alcune delle Autorità di cui sopra porgono il deferente benvenuto. Una in particolare, sedicente sindacalista, formula un auspicio di inaudita, scultorea pregnanza: afferma, infatti, che è tempo che «in nome del Fascismo si ritorni al lavoro fecondo e generatore di ricchezza». Evidentemente, prima dell’ arrivo di Lui, a Molfetta nessuno lavorava. Ma adesso tutti attendono le Sue parole: e Lui parla. Purtroppo saremo costretti a riportare soltanto pochi stralci di una Orazione degna di essere scolpita a caratteri cubitali su di una lastra di puro marmo patrio. «Il fatto del 6 aprile è irrevocabile…Voi oppositori non siete, con i vostri farisaici ed inconcludenti appelli alla libertà ed alla legalità, che i compositori di meschine e fastidiose variazioni musicali, mentre noi siamo i compositori di una grande sinfonia … Non la rivoluzione russa, ma la Rivoluzione Italiana domina e dominerà la storia contemporanea … Gli avversari sono stati sconfitti dalla Rivoluzione Italiana nel maggio 1915, a Caporetto, a Vittorio Veneto, il 6 aprile … Il Mezzogiorno ha bisogno di uomini e di caratteri, assai più che di beni … Molfetta, anche in tempi di bolscevismo, non ha mai rinunziato e rinnegato l’Adriatico e le idealità nazionali» . L’Orazione è finita e Lui si allontana fra il tripudio di una folla osannante, dopo aver salutato il Prefetto di Bari De Vita, accorso ad ossequiarlo. Ma c’è l’immancabile ciliegina. Il Signor Colonnello Commissario Regio del Comune invia un telegramma da Molfetta a Benito, riferendo sulla vibrante e granitica testimonianza di fascistica fedeltà, «a dispetto delle opposizioni che ringhiano». Vediamo ora di decodificare il significato reale e il bieco avvertimento che soggiace al grottesco di questa radiosa giornata. A Molfetta, prima del 6 aprile, tutti erano bolscevichi, passavano il tempo sulle panchine dellavilla comunale, sognando fesserie quali la libertà e la legalità, invece di armarsi e conquistare la Croazia, forti della grande vittoria di Caporetto. È tempo che si rassegnino e non perdano il loro tempo a cercare dei beni per sopravvivere, perché a mezzogiorno sulla tavola troveranno degli ottimi caratteri per primo, e succulente idealità per secondo. Infine, un tocco di buongusto, perdiana! La smettano di ringhiare come delle bestie. È tempo, ora, di svelare il nome di Colui che è giunto: si tratta del neo onorevole deputato Sergio Panunzio. Nato a Molfetta il 20 luglio 1886 da Vito e Giuseppina Poli, frequentò il locale Liceo e si laureò a Napoli in Giurisprudenza e poi in Filosofia. Aderì, in un primo tempo, al sindacalismo rivoluzionario, fu poi attivo interventista, conobbe Mussolini e ne divenne amico. Nel 1923 si iscrisse al Partito Nazionale Fascista. Nel 1924 fu eletto Deputato e nel 1926 Sottosegretario alle Comunicazioni. Ebbe poi numerosi incarichi accademici di alto prestigio. È considerato uno dei principali teorici della statolatria fascista. Sottoposto a processo di epurazione, nel luglio del 1944, fu sospeso dall’insegnamento e da ogni altro incarico. Morì a Roma l’8 ottobre dello stesso anno. Un passo indietro. Il 25 gennaio 1926 un decreto reale sciolse la Camera e convocò le elezioni politiche generali per il 6 aprile. Mussolini annunciò la costituzione di una lista nazionale governativa, dove sarebbero potuti entrare, a titolo personale, uomini di tutti i partiti, esclusi quelli della sinistra socialista, previamente selezionati dal Gran Consiglio del Fascismo. Era il famigerato “Listone”. Repubblicani, liberali, popolari spintonarono indecorosamente per essere ammessi nel pantano. Fu l’ennesima vergogna del liberalismo italiano. Il signor Salandra fu il capo naturale di quella accozzaglia. La circoscrizione di Bari è dominata dai fascisti ed insieme a Panunzio figurano, tra gli altri, valentuomini come Starace, Di Crollalanza, Caradonna. Innumerevoli le violenze contro i democratici, repubblicani di sinistra e socialisti commesse durante e dopo la campagna elettorale con l’acquiescenza, se non con la connivenza, delle Loro Eccellenze i Prefetti, a cominciare da quello di Bari, Sua Eccellenza Generale Cavaliere Signor De Vita, Raffaele, lo stesso che viene a Molfetta ad ossequiare Panunzio. Ad Andria tutti gli uffici dei notai furono invasi e le schede distrutte; sempre ad Andria il candidato Pasculli fu bastonato a sangue; a Bari, ai candidati socialisti e democratici, fu fisicamente impedito di accedere ai seggi; numerosi dirigenti comunisti furono arrestati e costretti ad allontanarsi dalla Puglia. Il connubio di violenze e viltà consentì a Mussolini di vincere le ultime elezioni formalmente libere: pochi mesi dopo, le leggi eccezionali completarono l’opera. L’ Italia sprofondava per vent’anni nella dittatura, nelle guerre di aggressione e poi in quella civile. In Puglia dilagavano, intanto, disoccupazione, fame, emigrazione. Come abbiamo visto, il 24 aprile, reduce vincitore di cotanta nobile impresa, tornava trionfalmente a Molfetta l’onorevole Sergio Panunzio. Si potrebbero fare diverse considerazioni su quanto accadde a Molfetta in quella giornata: ma non è questo il luogo. Sulla “nobiltà d’animo” e sulla coerenza della piccola borghesia meridionale ha scritto parole definitive Gaetano Salvemini. Del resto, mutatis mutandis, sono spettacoli indecenti cui tuttora assistiamo anche nella nostra Molfetta. Ricordo quando il mio grande amico Guglielmo Minervini, con un sorriso di bonaria ironia, elencava gli strabilianti cambi di casacca di alcuni sedicenti politici nostrani, a volte talmente inopinati da sorprendere anche lui, che ne aveva visti e subiti di tutti i generi. Concludo con una frase di Tacito, tratta dagli Annali: «Mihi, quanto plura recentium seu veterum revolvo, tanto magis ludibria rerum mortalium cunctis in negotiis obversantur» (Quanto a me, più io considero nel mio spirito i fatti antichi e recenti, più vedo in tutte le nostre cose la burla che governa la nostra vita).

Autore: Ignazio Pansini
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