Satyricon di Petronio al Teatro Don Bosco
Presso il Teatro don Bosco il collettivo teatrale “freedom”, per il Liceo Scientifico di Stato “A. Einstein” di Molfetta, ha presentato “Satyricon” da Petronio (regia di Tonino Ragno). “Ci siamo avvicinati al Satyricon – dice il regista - col deliberato proposito di “attraversarlo” e trasformarlo nell'occasione di un discorso che, proponendosi spregiudicatamente i termini del rapporto coi prodotti di una società lontana, contenesse – nello stesso tempo – un presagio del nostro futuro, anzi del nostro presente, mescolando passato presente e futuro, nell' impasto di una avventura fantastica. Dal rapporto col testo d' origine, con la “romanità” in genere, proiettata nell'ambiguità del mondo d'oggi, è emersa la deliberata volontà di attualizzare il testo allo scopo non di stupire con trovate ad effetto ma di penetrare, in forma più immediata, un' inimitabile galleria di personaggi, anche per le implicazioni socio-culturali che ne fanno opera inquietante del nostro oggi. Una favola, un favolone, un incubo, una maratona dodecafonica, una sorta di gran carnevale, allegoria di un oggi percorso da brividi apocalittici, fino alla parodia, al grottesco. E in fondo a questo carnevale c' è disperazione, vigliaccheria ma anche nuovo desiderio di un cuore .
Abbiamo scelto e posto in libera successione alcuni episodi estrapolati dall'opera petroniana, in un collage di momenti che insistono su particolari temi dominanti, come la sessualità, l'avidità di denaro, la satira dell'accademismo, l'infedeltà delle donne. La natura non consequenziale degli episodi determina una evidente destrutturazione della drammaturgia, che riprende il carattere frammentario del testo originale, senza comprometterne la complessa resa narrativa.
E' la storia di tre giovani “vitelloni” della Roma da regime: Encolpio, passionale e ombroso; Ascilto, giovinastro smargiasso e fragile; Gitone, il ragazzo di vita affascinante e conteso, sempre pronto a menzogne e voltafaccia. E poi Eumolpo, il poeta-filosofo complesso e contraddittorio, una sorta di Rimbaud. E poi ancora Trimalchione e Fortunata, quelli che un tempo si chiamavano “pescecani”, nuovi ricchi, giganti dell'impresa privata, che prostituiscono ogni dignità per violentare il prossimo, per esaltare la loro miseria culturale, per creare sempre nuovi servi, per essere attorniati da gaglioffi adulatori e ruffiani.
Trimalchione, con i suoi eccessi linguistico-erotico-gastronomici, coglie ogni occasione per recitare lo spettacolo della sua vita, per curare la sua immagine pubblica, per offrire e ammirare lo spettacolo di se stesso.
E in questa Roma-Italia vischiosa, sull'angoscia sociale e sulle nevrosi di una umanità ridotta al suo grado zero, Petronio (e noi attraverso lui) ha il coraggio di sollevare lo sguardo sul disfacimento di un'intera civiltà.
Si respira un'aria di catastrofe. Senza sconti per nessuno”.