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Salvemini, don Tonino Bello e l’amore per gli ultimi
15 dicembre 2018

Salvemini nacque a Molfetta l’8 settembre 1873, nel giorno della Madonna dei Martiri, compatrona di Molfetta. Morì a Sorrento il 6 settembre 1957, a 83 anni inoltrati. In quello stesso anno, l’8 dicembre don Tonino Bello fu ordinato sacerdote. Come episcopista Salvemini frequentò il ginnasio e il liceo del Seminario Vescovile. A 17 anni prese gli ordini minori, ma a 18 cessò di essere cattolico. Non smise tuttavia di credere negli insegnamenti morali del Vangelo. A 20 anni, nel 1893, aderì al Partito socialista dei lavoratori italiani, per uscirne nel 1911. Rifiutando l’astrattismo delle elucubrazioni teoriche su socialismo, marxismo, democrazia, anarchia e liberalismo, Gaetano Salvemini nel 1947, nell’urgenza dei problemi concreti della ricostruzione in Italia, aveva scritto nel suo diario: «ormai credo solo in Critone di Platone e nel Discorso della Montagna. Questo è il mio socialismo, e me lo tengo inespresso nel mio pensiero, perché a esprimerlo mi pare di profanarlo. Cerco di esprimerlo meglio che posso nelle opere». Il Critone lo invitava a vivere secondo giustizia, il Discorso della Montagna lo spingeva a praticare i valori cristiani al di fuori della gabbia confessionale. Era l’eterna suggestione dell’etica cristiana, la traccia indelebile della sua formazione morale di seminarista adolescente, che lo portò «a quella religione stoica, che non ha nessun dogma e nessuna speranza di vita futura, ma ha comune col cristianesimo il rispetto della libertà, il bisogno della giustizia, l’istinto della carità umana», come precisava in una lettera del 1919 al deputato democratico cristiano Marco Ciriani. Tale duratura impronta condusse Salvemini a quello che, in un articolo sul cattolico Giuseppe Donati e sull’anarchico Camillo Berneri del ’52, egli stesso definì «il socialismo degli ultimi». C’è dunque un punto di tangenza, di fertile contatto tra questo singolare socialismo salveminiano e la «Chiesa degli ultimi» profetizzata da don Tonino Bello, nato sei decenni dopo lo storico ad Alessano il 18 marzo 1935. Si tratta insomma della famosa «Chiesa del grembiule », cioè del servizio reso agli ultimi, agli emarginati e ai poveri, immagine attinta dal Vangelo di Giovanni, con Gesù che depone la veste di maestro, si cinge i fianchi con un asciugatoio e umilmente lava e asciuga i piedi ai suoi discepoli. Un esempio che la Chiesa itinerante deve riprendere e portare avanti con fermezza, secondo don Tonino. Ma c’è dell’altro. Mons. Bello, guardando al grande maestro laico, finiva per lodare l’anticlericalismo di Salvemini, perché non era antireligioso, ma estremamente rispettoso dei credenti e profondamente intriso di spirito cristiano. Spiritualmente don Tonino si sentiva imparentato almeno alla lontana con Salvemini per la costante riconduzione della vita morale di lui alle norme del Vangelo. A questo proposito don Tonino ricordava un passo del discorso tenuto da Salvemini nel riprendere l’insegnamento di storia moderna all’Università di Firenze nel novembre del ’49, dietro invito di Piero Calamandrei. Il passo dice: «i salmi, le lamentazioni, le profezie, il Vangelo, con la loro potenza morale e bellezza poetica dettero al mio pensiero un grande graffio che rimase». Per Quel graffio che non ha mai smesso di sanguinare e per quella moralità ispirata al Vangelo don Tonino Bello, in un articolo apparso su «Luce e Vita» nel 1988, definì Salvemini «profeta laico del Regno del Signore». Come si sa, dal novembre dell’85 don Tonino Bello era presidente nazionale di Pax Christi, il movimento cattolico internazionale per la pace. Lo fu con straordinario impegno fino all’ultimo giorno (20 aprile 1993). Nonostante le sue gravi condizioni di salute, dal 7 al 13 dicembre 1992 don Tonino con mons. Luigi Bettazzi guidò la marcia della pace dei 500 coraggiosi che da Ancona raggiunsero Sarajevo assediata e bombardata. Don Tonino Bello amò generosamente tutte le persone con cui venne in contatto, stimolò l’azione del laicato, incentivò lo spirito di comunione voluto dal Concilio Vaticano II e interpretò profeticamente il Vangelo come amoroso afflato di pace, giustizia e rispetto del creato, senza compromessi e soprattutto ponendosi umilmente dalla parte degli ultimi. Una lezione di vita che combacia straordinariamente col «socialismo degli ultimi» del laico Salvemini. Don Tonino Bello Don Tonino pensoso

Autore: Marco Ignazio de Santis
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