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Romano: mi preoccupano quelli che restano
15 settembre 2005

Molfetta sta registrando, nell'ultimo periodo, un preoccupante fenomeno di emigrazione che interessa, a differenza che in passato, in particolare giovani laureati e qualificati che si vedono costretti a lasciare questa città alla ricerca di un lavoro soddisfacente che qui non hanno nessuna speranza di trovare. E' stato efficacemente detto che se fino a ieri si partiva con la “valigia di cartone” oggi i “nuovi emigranti” partono con il trolley e la borsa per il pc portatile. Che genere di società sarà quella della nostra città tra qualche anno se questo fenomeno non dovesse arrestarsi? Lo abbiamo chiesto a Onofrio Romano, ricercatore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali dell'Università degli Studi di Bari. “Mi figuro un orizzonte albanese o, se si preferisce, messicano: Molfetta, città incantata, ristagnante in un'opulenza consumistica al di sopra delle possibilità dei propri abitanti, foraggiati, da un lato, dalla messa in liquidazione dei vecchi capitali investiti nell'epoca dello sviluppo e, dall'altro, forse, dalle rimesse dei nuovi emigrati”. C'è quindi il rischio che Molfetta diventi una periferia-dormitorio schiacciata tra aree di sviluppo industriale e grossi centri commerciali? “Certo, ma perché lamentarsi soltanto adesso? E' quello che i nostri eletti - supportati da un consenso vasto e partecipe, quanto mai prima - hanno scientemente perseguito a partire dalla metà degli anni novanta. Nella mano sinistra tenevano i libri di Latouche e Cassano, con la destra firmavano i decreti di esproprio dell'agro molfettese e di riconversione della città a spicciativi, mirabolanti sviluppi industriali-commerciali. Chiunque osasse avanzare dubbi era subito additato come irresponsabile. E' vano attenderci ora che i 'responsabili' si assumano delle responsabilità, poiché nel frattempo sono stati promossi a più alti incarichi”. Molti di coloro che hanno proseguito gli studi dopo il diploma di scuola superiore credevano di poter mettere a frutto sul proprio territorio le competenze acquisite ma si sono poi scontrati con una realtà molto diversa e hanno dovuto prendere altre vie. Questa “emigrazione di cervelli” non è il regalo migliore che il Sud può fare alle regioni del Nord? “Francamente, non mi preoccupano i molfettesi che partono, ma quelli che restano. Il molfettese è vago per essenza; quello stanziale è un ossimoro, soggetto a rapido abbrutimento. Io non riconosco più i miei concittadini, ogni volta che rimetto piede a Molfetta. Il loro spirito evapora quando mette radici, mentre 'bisogna abbandonare lo scoglio e tornare a prendere il largo', come suggeriva qualche tempo fa il nostro immeritato vate, Enrico Panunzio. Che qualcuno abbia ricominciato a farlo mi sembra tutt'altro che una cattiva notizia, anche se all'origine vi è la stagnazione. Non mi preoccuperei nemmeno dei presunti benefici arrecati ad altri territori: nulla di quello che producono i cervelli migranti può essere requisito all'interno di uno spazio. E' pura materia orbitante”. Per ragioni storiche e culturali le regioni del Mezzogiorno hanno sempre registrato tassi di scolarizzazione mediamente più alti rispetto a quelli del Nord Italia, eppure il sistema produttivo meridionale assorbe sempre meno risorse specializzate e sempre più mano d'opera poco qualificata. Le chiedo, provocatoriamente, non sarà opportuno cominciare a consigliare ai propri figli di non proseguire gli studi per trovare più facilmente un posto di lavoro magari come commessa o cassiere nei centri commerciali? Insomma, gli ipermercati possono costituire una risposta adeguata per il parco-disoccupati della nostra città? “I centri commerciali ci avranno come estatici consumatori, non come commessi. La premessa alla domanda costituisce in sé una buona ragione per smetterla una buona volta d'inseguire il “modello Nord”. Quella che giustamente definisce una “provocazione” corrisponde in realtà alla ricetta propinata da anni da una vasta fetta dell'intellighenzia nazionale, da sinistra a destra. La riforma della scuola firmata dalla Moratti va esattamente in questa direzione. Per non parlare dei lamenti di molti rispettabili meridionalisti, i quali hanno sempre stigmatizzato l'eccesso di cultura (quella umanistica, in particolare) del Sud, caldeggiando una rivincita del saper pratico. Per carità, non ci sarebbe nulla di male a fare i commessi nei centri commerciali, ma semplicemente è una prospettiva che non ci contiene. Saremmo dei pessimi commessi. Mentre noi abbiamo bisogno di stare all'aria aperta a delirare nell'infinito”. Quali rimedi propone, dal suo punto di osservazione? “E' inutile ostinarsi a immaginare per Molfetta un futuro “produttivo”. Questo tipo di vocazione è sempre stata latitante. Non siamo fatti per il lavoro, per l'etica imprenditiva: la messa in valore terrestre non è mai stata affar nostro. Dobbiamo, invece, recuperare l'antica confidenza con quell'orbita allucinatoria in cui sguazzavano i nostri padri quando si esponevano al nulla di mare e cielo che circondava le loro imbarcazioni. I governi locali e nazionali, portandoci alla stagnazione, ci hanno involontariamente regalato la possibilità di tornare ad una dimensione di stasi orbitante. Che è quella cui siamo più affezionati. Certo, ci si obietterà, ma intanto come si campa? Comme toujours…, affinando, al bisogno, le nostre virtù di rapina, la capacità di captare i frutti che si danno in natura, senza strafare, senza arricchirsi, ma giusto per sopravvivere. Un tempo c'era il mare, oggi dobbiamo dedicarci ad altri siti d'abbondanza. Per questo è necessario abbandonare lo scoglio, riprendere l'avventura. Insomma, non possiamo consumarci ancora nell'illusione di produrre qui qualcosa di unico e competitivo da vendere altrove: siamo ormai fuori mercato, da tutti i punti di vista (antropologici, economici, sociali, commerciali, ecc.). Possiamo solo sguinzagliare in giro per il mondo le nostre abilità affabulatorie per intercettare e stornare abusivamente i flussi di risorse prodotti altrove e messi in circolazione nel globale. Le vocazioni al saccheggio dei mari e all'intreccio di relazioni con mondi sconosciuti ci verranno incontro in quest'opera. Il molfettese dà il meglio di sé quando è espatriato, è a suo agio in tutti gli ambienti, millanta abilità che non ha, gioca d'azzardo col linguaggio grazie al suo umanismo incorreggibile”. Che ruolo può giocare il sistema universitario nel quadro che disegna? “Se fossi uno dei quei tromboni che periodicamente si lamentano per la scarsa coerenza tra sistema dell'istruzione e sistema produttivo, direi che l'unica maniera seria per connettersi ad un'economia “gassosa”, come quella contemporanea, è specializzarsi nella vendita di fumo. Confezionare mestieri e professioni è un'impresa vana. L'Università deve essere palestra di cazzeggio, di manipolazione dei simboli, di slanci immaginari velleitari e senza finalizzazione produttiva. Occorre recidere ogni cordone con la realtà. La prosperità (se è quello l'obiettivo) si acquisisce oggi producendo abbagli, sogni, visioni, distruzioni di utilità: è questa “in-competenza” che i nostri studenti devono apprendere”. Giu. Calv. Onofrio Romano è ricercatore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali dell'Università degli Studi di Bari. Laureato in Scienze Politiche, ha conseguito il dottorato di ricerca in Sociologia presso l'Università degli Studi di Milano, sotto la direzione del prof. Franco Cassano. Si è specializzato in sociologia dello sviluppo presso l'IEDES di Parigi (Université Pathéon-Sorbonne, Paris I) sotto la direzione del prof. Serge Latouche e ha partecipato al gruppo di ricerca del CEAQ diretto da Michel Maffesoli. E' stato consulente per la comunicazione, la formazione e lo sviluppo locale della società Sviluppo Italia. Insegna, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bari, Sociologia dei processi culturali e comunicativi. E' componente del collegio dei docenti del dottorato in Filosofie e teorie sociali contemporanee nella stessa Università e socio-fondatore dell'Associazione antiutilitarista di critica sociale. Da anni svolge ricerche sulle culture del dopo-moderno in Occidente e nelle società del basso Adriatico.
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