Ricordo di Orazio Panunzio
La notizia della sua morte mi ha raggiunto a letto, dove mi trovavo per una noiosa indisposizione. Dopo la scomparsa del tipografo-editore Angelo Alfonso Mezzina, è un altro pezzo importante della storia e della cultura di Molfetta che viene meno. Io lo ricordo in conversazioni amabili, dotte e ironiche, stranamente un po' intimidito dalla mia presenza, benché più giovane di lui. Conoscendo alcuni miei lavori, forse attribuiva troppa severità al mio rigoroso abito mentale, che pure non raffrenava la mia cordialità. Perciò fui molto dispiaciuto due anni fa quando, per le sue precarie condizioni di salute, non poté venire a ritirare di persona il Premio “Duomo d'argento” per la letteratura assegnatogli dalla giuria della Pro Loco cittadina. Molfetta vanta parecchi poeti e narratori contemporanei di valore, ma lo scrittore più radicato nelle memorie locali del primo Novecento e più legato alle tradizioni popolari cittadine è senza dubbio Orazio Panunzio, che si affermò anche come saggista, conferenziere e poligrafo, dando vita a numerosi contributi, studi ed articoli sui più svariati argomenti, dalla agiografia molfettese (San Corrado) alla storia dell'emigrazione meridionale. Nato nel 1923 e laureato in giurisprudenza a Bari nel 1945 con la tesi Oggetto giuridico del reato discussa con Aldo Moro, lavorò dal 1953 al 1968 a Milano come redattore della Nuova Enciclopedia Sonzogno. Oltre al saggio storiografico Una storia per Molfetta (1971) e a diverse poesie sparse, compose le opere teatrali Giobbe '70, pubblicata nel 1975; Il bando di tutti i bandi, rappresentata nel 1976; Tutti al circo! Molfetta è di scena, allestita nel 1978; Addolorata, redatta in italiano e in vernacolo molfettese (1985), e C'era una volta a Molfetta, messa in scena nel 1987. Qui mi piace ricordarlo soprattutto come scaltrito ed efficace narratore di lungo corso. Orazio Panunzio, infatti, fu impegnato per oltre un cinquantennio in un esercizio di scrittura elegante e raffinata, sovente sostanziata di tradizioni locali e di ricordi autobiografici rievocati con perizia e ironia, con acuto senso di nostalgia e con tenace sentimento di religiosità. Oltre al romanzo Il frutto e la stagione (Bologna, Edizioni SIA, 1954), pubblicò per i tipi di Angelo Alfonso Mezzina i capitoli di prosa Molfetta attraverso le costellazioni (1976); le conferenze Cinque prolusioni e una lettera dall'aldilà (1989); il romanzo biografico Il Pierrot giallo (2000); la descrizione della ritualità del Venerdì Santo Gesù schiavo d'amore (2002) e i racconti Dieci perle rare (2002). A questi vanno aggiunti altri sette racconti presenti nel volume Saluti da Molfetta, realizzato col cartofilo Corrado Minervini e col grafico Pasquale Modugno e da me prefazionato, nonché la narrazione prosopopeica L'importanza di chiamarsi Orazio (2006). Un modo fortemente autoironico per chiudere la sua parabola esistenziale.
Autore: Marco I. de Santis