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Quelle coinvolgenti “Emozioni al muro” Gli studenti dell'Alberghiero in una rilettura della “Cavalleria rusticana”
15 febbraio 2004

Tre matrone impennacchiate, su un sottofondo che ricorda tanto le cicale della “Domenica delle salme” di Fabrizio De André, si muovono all'unisono, come automi, solenni custodi di una gretta saggezza popolare. Sono le dame del pettegolezzo (Giulia Guglielmi, Annamaria Matarrese, Rossana Spinelli): con la loro comparsa si apre “Emozioni al muro”, suggestivo spettacolo allestito dagli allievi dell'IPSSAR di Molfetta, sotto l'attenta guida delle insegnanti (Adelaide Altamura, Teresa de Leo) e della bravissima regista e coreografa Maria Spadavecchia. “Emozioni al muro” è una spettacolare rilettura in chiave moderna di “Cavalleria rusticana”, la celeberrima novella verghiana, poi riadattata per le scene dall'autore stesso e materia del libretto musicato dal grande Pietro Mascagni. Moderne sono le ambientazioni (il bar, insieme agli altri odierni punti di aggregazione dei giovani), ma i dialoghi riproducono fedelmente quelli verghiani, quasi a sottolineare la perenne attualità del linguaggio, di straordinaria immediatezza, dello scrittore catanese. Il muro, foglio bianco su cui i giovani protagonisti delle vicende sono chiamati a scrivere pagine drammatiche della propria parabola esistenziale, diviene centro di convergenza delle emozioni: quelle di Lola (Fiorenza Gadaleta), vestita di rosso come le più note ammaliatrici della tradizione (si pensi a Carmen), che vi si abbarbica disperatamente, quasi a resistere alle avances del suo amore di gioventù, Turiddu (Corrado Lioce). È il punto in cui quest'ultimo, figlio della gnà Nunzia, Salvatore (Turiddu sta per Salvaturiddu) incapace di stornare la propria catastrofe, si raggomitola su se stesso a recitare, nell'unica deroga alla verghianità dei dialoghi (insieme a quelli delle dame del pettegolezzo), le toccanti parole dello scrittore arabo Ben Jalohum. È il teatro d'un bipartito incontro d'anime, quello tra Turiddu e Santa (Loredana Altamura), che prima si concreta nell'assalto del seduttore alla saggia (ma non troppo) ragazzina del popolo (ben consapevole che le chiacchiere non affastellano sarmenti) e sfocia successivamente in un'emozionante serie di evoluzioni dei due corpi, che suggellano, in un'armonica fusione delle fisicità, un'unione quanto mai intensa e quanto mai fugace. L'effimera passione tra i due si esaurisce come il breve fiato di una candela: Santa, condotta in scena da due moderni lettighieri, vestita di nero in presagio di malaugurio, rivela ad Alfio (Raffaele Vacca), a metà tra “fighetto” (così sembrano connotarlo le dame, a causa della sua smania di ostentazione delle insegne della ricchezza) e “corvo” (per gli abiti scuri e il pallore cadaverico del volto), che la gnà Lola, in sua assenza, “gli adorna la casa”. Lo spettacolo giunge al suo momento più riuscito, lo scontro tra l'Io e il Super-io del fiero Alfio, impreziosito dall'efficacia mimica di Raffaele Vacca, dall'assoluta eleganza e dal valore tecnico dello straordinario Michele Moretti (il Super-io) e dalle notevoli doti acrobatiche di cui dà prova Luigi Guastadisegni (L'io). Il dramma della gelosia volge ormai al termine: il bacio de rituale del duello di Alfio allo sventurato Turiddu, preludio alla tremenda conclusione della “Mala Pasqua” vissuta dai protagonisti, precede il momento della morte, commentato ancora una volta con tecniche da teatro danza (impegnati Moretti e Guastadisegni). Quando le donne del pettegolezzo, morbose osservatrici degli sviluppi di questa “cavalleria rusticana”, annunciano, con tragica freddezza, che Turiddu è stato ucciso, lo spettatore ha l'impressione che l'unica, logica, conclusione della vicenda non potesse essere che quella e che le emozioni dell'uomo, anche le più profonde, persino l'amore, non siano, accanto ai sogni, che tragiche chimere destinate a schiantarsi contro un ruvido muro. Gianni Antonio Palumbo
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