Quale futuro?
Riflessioni sulle tragedie del nostro tempo
Siamo indifferenti alla possibilità di una prossima guerra nucleare? Abbiamo dimenticato quante catastrofi hanno accompagnato la storia dell’uomo tutte le volte che sono stati artefici di guerre? E che catastrofe sarebbe quella nucleare? Le precedenti possono lontanamente essere paragonabili a questa? L’’odierna perdita di memoria lascia dei vuoti, dentro i quali trova rifugio l’indifferenza per le catastrofi epocali che già viviamo a pezzi. Pensiamo alla guerra mondiale nucleare. Dimenticare una esperienza catastrofica, significa creare quei vuoti nella memoria che predispongono il cervello a sottovalutare i pericoli che si addensano nel presente. E nel futuro della umanità più di una occasione può determinare una altra catastrofe. Come la guerra. Comunque e ovunque, ogni guerra è una catastrofe. Non solo. Siamo di fronte a una gravissima crisi climatica e ad una altrettanto grave crisi idrica, in moltissimi paesi del mondo. Lo sappiamo bene ma, pur avvertendo la minaccia terribile che si accompagna a questo problema, cerchiamo di non pensarci, la rimuoviamo, come se interessasse ad altri e non a noi. Non è così, purtroppo! Beni comuni indispensabili alla vita, aria, acqua, terra, si vanno degradando o depauperando e, nella sostanza, stanno determinando non solo riflessi estremamente preoccupanti per la nostra esistenza ma fatalmente condizionano la carenza progressiva della produzione di cibo e l’estensione della povertà a immense masse umane. Guerre sono scoppiate per varie ragioni: per il danaro e il potere che esso consente, per accaparrarsi la terra nella sua estensione fisica e geografica o per quello che essa contiene, per la scarsità di risorse destinate a soddisfare i nostri bisogni come l’acqua, ad esempio. Guerra e carenza di risorse intimamente legate pongono la necessità di modificare il nostro modo di intendere le nostre esigenze e l’uso che facciamo delle risorse a nostra disposizione, partendo innanzitutto da una idea comune di condivisione. Le risorse e i bisogni vanno esaminati in un’ottica globale che comprenda in un unicum la loro gestione, la loro distribuzione, la loro proprietà. Dobbiamo cambiare l’angolo visuale con cui il capitalismo novecentesco ci ha obbligati a guardare il mondo. Perché questo possa avvenire, è necessario operare profondamente per un recupero unanime della memoria, perduta con troppa rapidità di tempo in questi nostri ultimi anni. Nessuno avrebbe dovuto misurarsi con un incubo che fino ai primi anni del nuovo secolo era solo sfiorato dalle nostre menti e subito rimosso: la minaccia della possibilità che possa scoppiare una terza guerra mondiale o un nuovo genocidio. Eppure per opera di un gruppo consistente di scienziati, filosofi e intellettuali incominciava proprio in quegli anni a crescere un forte movimento di uomini, donne, ragazzi e ragazze che avvertì la necessità di spingere i governanti del mondo ad occuparsi di acqua e di Beni Comuni. Fu la generazione che impose alle Nazioni Unite di votare e dichiarare che “l’acqua è un diritto umano fondamentale, condizione per accedere a tutti gli altri diritti”. E fu anche il movimento che, attraverso un referendum, in Italia, affermò che l’acqua è un bene comune, un bene pubblico. Si dirà: sono cose note. Certo, però sicuramente abbiamo dimenticato che questo movimento determinò tra la gente una inedita coscienza della condivisone dei beni comuni e manifestò una loro altrettanta inedita partecipazione diretta. Fu quello un non comune movimento popolare, libero, che dovrebbe ancora oggi essere analizzato dalla sinistra, per tracciare la strada da percorrere nella lotta per la difesa dei beni comuni. Strada che porta anche ad esaltare la cultura della Pace contro la corsa al riarmo, alla guerra e alla fabbricazione e commercio delle armi. Senza la Pace non è possibile tutelare il diritto di tutti a salvaguardare i beni comuni. La lotta contro la privatizzazione dell’acqua condusse la gente a riunirsi e a parlarne, a produrre documenti, a raccogliere petizioni e firme nei quartieri, nelle scuole, nelle parrocchie, in tantissimi altri luoghi di aggregazione sociale. Si può far questo anche oggi per chiedere al governo di cessare l’invio di armi e lavorare attivamente perché in Ucraina e a Gaza finiscano i massacri e si possa iniziare a parlare di pace in modo concreto? E’ possibile rompere il guscio eburneo dell’indifferenza in cui gli italiani e gli europei che amano la pace si sono chiusi? Nelle piazze, nei quartieri, nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle parrocchie, nei teatri, in ogni luogo, non si può delegare a pochi manifestanti l’impegno a lottare per la pace. Chi è disponibile poi, sugli organi di informazione, alla televisione, alle radio, a fare nomi e cognomi di Enti, ditte, persone, politici che con la guerra, attraverso il commercio delle armi prima, e della ricostruzione delle città devastate dalle guerre, si arricchiscono ogni giorno? Possiamo permetterci “soltanto” di aver paura che il mondo possa precipitare in un conflitto nucleare? Possiamo non intervenire per modificare il clima e prevenire la siccità che devasterà la produzione agricola di intere aree del pianeta con conseguenze inevitabili di fame, miseria, migrazioni di popoli interi? La mancanza di acqua rischia di trasformare la attuale “terza guerra mondiale a pezzi” in terza guerra mondiale globale. Tutti zitti, eh? mi raccomando, chiusi in una ovattata ottusa individualità, magari attenti a che ogni risorsa oggi sia solo un diritto, magari patriotticamente nazionale, affidato ad una irrazionale conoscenza, che i media controllati dal potere propinano. Riflettiamo: in Ucraina, perché si combatte? Forse anche, o soprattutto, per il dominio di una ricca regione? Per l’acqua del Dnepr, terzo bacino idrico europeo e del grano, dell’olio di girasole? E la guerra Israele Palestina? Non è forse guerra per l’acqua e per la terra rubata? Per non parlare di Kurdistan, di Siria, di Iraq, Paesi tutti legati allo scorrere del Tigri e dell’Eufrate? Cosi per il Sudan, l’Etiopia e il Nilo su cui si moltiplicano grandi dighe e sbarramenti d’acqua? Mille bambini al giorno muoiono per mancanza di acqua potabile. Ecco, ricordiamolo ancora: nel 2010 l’ONU dichiarava l’acqua un diritto umano. E oggi? L’ONU e tutti noi, assistiamo impotenti all’uso dell’acqua come arma di distruzione di massa, all’assedio Medioevale dell’esercito di Israele a Gaza. Nel 2024 l’acqua è negata per uccidere.
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