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Qualcosa da perdere romanzo di Davide Potente sulla generazione “mille euro”
15 settembre 2015

Ironia pungente e l’amaro sapore della gioventù di oggi racchiusa nel libro dal sapore “agrodolce” Qualcosa da perdere, raccontato nel personalissimo stile dell’autore molfettese Davide Potente. Quindici ha incontrato l’autore che ci ha rivelato qualche retroscena del libro che sta avendo successo in tutta Italia, dalla segnalazione del Premio Calvino, alla presentazione al Salone del Libro di Torino e un editor importante, e tante tappe nel calendario per la presentazione di un’opera che affronta la dura realtà dei giovani trentenni di oggi in un’alternarsi tra ironia e problemi di precarietà. Il tuo libro “Qualcosa da perdere” è stato segnalato dal Premio Calvino, hai partecipato al Salone del Libro di Torino ed hai in programma molte presentazioni, come ci si sente? Ti aspettavi questi riconoscimenti? «C’era la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro con questo romanzo, ma le risposte degli editori stentavano ad arrivare. Iniziavo pensare che il libro fosse meno buono di quanto pensassi inizialmente, poi invece è arrivata la segnalazione del Premio Calvino. A quel punto qualcuno ha capito che almeno una lettura al manoscritto, forse, valeva la pena darla». L’editore del libro è Luciana Bianciardi, figlia del noto scrittore Luciano, ci racconti come è avvenuto l’incontro con l’editore? «Luciana Bianciardi mi ha contattato poche settimane dopo l’invio del manoscritto, dicendomi che l’aveva letto e voleva incontrarmi. Ci siamo visti nella redazione della casa editrice, a Milano. Una delle prime cose che mi ha detto nel corso di quell’incontro – e che mi ha fatto sorridere – è che ExCogita riceve una media di tre manoscritti al giorno, “quattro dei quali sono da buttare”. Evidentemente il mio era il quinto». “Qualcosa da perdere” ha un modo di raccontare sicuramente innovativo, simile ad una sceneggiatura di un film, ogni capitolo sembra una scena. Il 7° capitolo è una telefonata con soli dialoghi, a eccezione di un rumore. Come è nata l’idea di questa narrazione? «Più che un’idea di narrazione, penso sia il mio modo di scrivere. Ho studiato Cinema e mi occupo anche di sceneggiatura, quindi penso di aver semplicemente fatto mio quello stile asciutto e visivo che si deve alla scrittura cinematografica. Con il tempo, questa è diventata una ricerca personale che provo a portare avanti: rendere la scrittura – e quindi la lettura – il più possibile vicina all’esperienza della visione ». Il libro racconta la precarietà della generazione che qualcuno ha denominato “mille euro”, sembra quasi una fotografia dei giovani d’oggi. Qual è il messaggio finale? E a chi si rivolge? «Si dice che la nostra sia la prima generazione a stare peggio di quella precedente. Forse, dal momento che non esiste una strada certa, vale la pena provare a realizzare ciò che davvero si desidera per la propria vita. È un po’ quello che tentano di fare i protagonisti di questa storia, mettendosi nelle condizioni di decidere del proprio futuro, senza che siano gli altri a stabilirlo per loro». Quanto c’è della tua personale esperienza da giovane trentenne in questo racconto? Ti senti uno di questi giovani che racconti? «Mi sono laureato nel periodo peggiore, cioè quando la crisi era appena cominciata, quindi direi che rientro nella categoria. Mi interessava raccontare questa situazione da dentro, perché spesso a parlarne è gente molto lontana dal mondo reale. Volevo un romanzo non serioso, privo di autocommiserazione, ironico, ma non – come ha scritto qualcuno – cinico. Proprio l’ironia, per quanto mi riguarda, è una compagna preziosa per affrontare la realtà delle cose». Cosa bolle ancora in pentola? E cosa ti aspetti da questo percorso come scrittore? «Mi aspetto quello che ci si aspetterebbe da qualsiasi percorso: un passo avanti. Per me questo significa scrivere un libro migliore del precedente e pubblicarlo a condizioni migliori. Una cosa – quest’ultima – non secondaria. Basta affacciarsi al mondo dell’editoria per capire che vale sempre la pena scrivere un rigo, ma non sempre vale la pena pubblicare un romanzo. In pentola c’è principalmente un progetto di serie, giunto a un livello di sviluppo piuttosto avanzato e che potrebbe diventare traccia di un nuovo romanzo. Intanto vi ringrazio per l’intervista e invito i lettori di Quindici a leggere il libro (disponibile a Molfetta presso la Libreria Il Ghigno) e diventare fan della pagina Facebook Qualcosa da perdere».

Autore: Rebecca Amato
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