“Politica e Potere. 2000 anni di intrighi e corruzioni” all'Università Popolare di Molfetta
Relatore l'avv. Scardigno: “Il collegamento con l'epoca romana sorge spontaneo qualora, per l'epoca moderna, si parli di corruzione. Perché pur essendo figli alla lontana di quel popolo, nulla è cambiato”, questo l'esordio di Scardigno all'incontro tenutosi nella sede molfettese dell'università
MOLFETTA - L’ultimo incontro tenutosi presso l’Università Popolare di Molfetta ha visto la presenza dell’avvocato Giuseppe Scardigno in qualità di conferenziere su: “Politica e Potere. 2000 anni di intrighi e corruzioni. La corruzione nell’antica Roma e ai nostri giorni”.
Dopo il caloroso saluto profferto al numeroso pubblico in sala da parte della professoressa Ottavia Sgherza Altomare, presidente dell’università molfettese, e dopo una breve presentazione effettuata dal vicepresidente in carica, Antonio Panunzio, sulla personalità del relatore, di cui son state tratteggiate le linee essenziali di un corposo curriculum vitae, l’uditorio è stato immediatamente addentrato nel vivo dell’argomento.
Scardigno ha subito informato il pubblico della metodologia “a tappe” che avrebbe seguito nel descrivere i punti salienti in più di duemila anni di storia, scusandosi preventivamente sulle eventuali e inevitabili omissioni che l’ampiezza dell’argomento gli imponeva di realizzare.
“Il collegamento con l’epoca romana sorge spontaneo qualora, per l’epoca moderna, si parli di corruzione. Perché pur essendo figli alla lontana di quel popolo, nulla è cambiato”. Così ha esordito il relatore, mostrando chiaramente, sin dalle sue prime parole, l’intento polemico e provocatorio al tempo stesso di affiancare due realtà tra loro così lontane e così diverse per tanti aspetti, persino per quanto concerne il versante degli “intrighi e corruzioni”, tanto copiosamente testimoniato dagli autori antichi.
Alla fine del VI sec a.C., Roma conosce la sua prima svolta istituzionale, passando dal regime monarchico, che aveva caratterizzato la prima fase della sua esistenza, al regime repubblicano. Roma “res publica”, Roma che, come ricordava lo storico greco Polibio, aveva la migliore forma costituzionale che un popolo potesse darsi perché costituzione mista. Al suo interno, le tre forme istituzionali di monarchia, aristocrazia e democrazia erano ugualmente rappresentate e in equilibrio tra loro a garantire il corretto funzionamento dell’apparato statale. Eppure Roma conosceva la corruzione e la condannava. O meglio, l’avvocato Scardigno ha precisato che: “ciò che a Roma veniva condannato non era il fenomeno della corruzione in sé quanto piuttosto il suo uso improprio”. La condanna giungeva dunque nei confronti di coloro che avessero messo a rischio, con il loro spregiudicato uso della corruzione, l’equilibrio politico; un equilibrio che si reggeva proprio sul gioco di clientele e patronato e che da esso si alimentava. È il II sec a.C. a veder i primi segni di una corruzione che si potrebbe definire quasi “moderna”, sorta in seno ai forti squilibri sociali provocati dalle grandi vittorie di una Roma che si avviava a divenire “caput mundi”, in seguito alle favorevoli conclusioni delle guerre puniche.
Uno dei casi di corruzione maggiormente documentati si verificò proprio in Sicilia, la prima provincia romana ad esser stata costituita all’indomani della prima guerra combattuta contro i cartaginesi.
E il primo grande “corrotto” fu Verre, governatore della suddetta provincia, che elargì enormi quantità di denaro, pur di ottenere la vittoria alle elezioni, preoccupandosi di “acquistare voti” sia tra i suoi sostenitori che tra gli stessi antagonisti alla sua politica. Una corruzione dunque ad ampio raggio la sua. Una corruzione che a noi ricorda tanti casi famosi della “nostra Italia”.
A tale proposito. Scardigno sostiene di poter individuare, nella storia di Italia, tre fasi di corruzione: gli anni ‘50-’60, che videro il passaggio da una corruzione elitaria, quale era stata quella del’Italia post-unitaria, a una corruzione su più vasta scala.
A seguire, gli anni ’60-’80 hanno invece registrato la corruzione di banche e logge massoniche. Per gli anni ’90 e fino ai nostri giorni, nella terza ed ultima fase da lui delineata, l’avvocato parla di una vera e propria “legalizzazione della cultura della corruzione”. Da tangentopoli a calciopoli tutti gli atti illeciti sembra vengano tollerati.
E se il richiamo alla corruzione affonda le sue radici in quel mondo di Roma, di cui pur siamo figli, la corruzione dei nostri tempi è molto meno tollerabile e molto più condannabile. Questa l’inevitabile conclusione di un discorso che, sin dalle prime battute, aveva registrato il sostanziale divario tra un mondo, quello romano, in cui il governo era nelle mani di una èlite di potere che si appoggiava a una grande massa di clienti per sopravvivere nella sua stabilità e un mondo, quello moderno, in cui il popolo è sovrano e a cui si dovrebbe rimettere un potere decisionale scevro da ogni forma di condizionamento.
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