Molfetta, successo per lo spettacolo "Viva l'Itaglia": Mimmo Amato Champagne
MOLFETTA - Irresistibile, scherza con il pubblico, entra ed esce dai personaggi con la semplicità di un attore consumato. Mimmo Amato (foto) champagne, nella riproposizione dello spettacolo «Viva l’Itaglia!», già apprezzato dalla critica a marzo 2010, arricchito con aggiunte e nuovi interpreti. Uno spaccato della nostra Italia con le sue manie, i suoi stessi tic, i suoi atteggiamenti perché, nonostante le diversità culturali e linguistiche comune è sostrato italico.
Il chiostro dell’ex convento di San Domenico si è riempito d’immagini, suoni e parole dei dialetti italiani e l’appuntamento di «Sere d’estate 2010», patrocinato dal Comune di Molfetta, ha riesumato il piacere del teatro puro.
«Viva l’Itaglia!» è un collage di vari dialetti, siciliano e napoletano, romano, bolognese e abruzzese, ligure e veneto, fino al meltin pot meneghino-pugliese, senza mai scendere nella volgarità. Un’accurata ricerca della parola dialettale, del tono, del suo intimo ritmo, per esprimere con fine immediatezza emozioni generali. Dunque, un vintage sulle orme del teatro di Gigi Proietti, ammirato sin dall’infanzia da Mimmo Amato, e Ettore Petrolini.
Una scena senza scena, il teatro con la T maiuscola, quello che tira fuori gli oggetti e le essenze, le sistema per il pubblico. Così Mimmo Amato, spalleggiato da Tania Adesso e Giulio Bufo (new entries) lascia crescere la materia sul palcoscenico: dall’idea di un gesto-parola all’oggetto, isolato nel vuoto, presente e vivo. Nessuna collocazione ambientale: non è necessario, l’ambiente si crea nella mente dello spettatore, al suono di ogni posa inaspettata, che rapisce e si libera attimo dopo attimo.
Giulio Bufo nel ruolo di un irriverente e malinconico Pulcinella e Tania Adesso, risoltasi in più voci e ruoli, hanno accentuato la materia metateatrale dello spettacolo, già gremito di giochi multilinguistici e polisemantici. Come se lo spettacolo si sia svolto sul palcoscenico all'interno dell’evento teatrale, percepito come un'azione degli attori intenti nella rappresentazione di un dramma.
Primo personaggio, un siciliano vittima di un tradimento coniugale, dopo il bizzarro e breve monologo iniziale di Tania Adesso. Il dialetto romanesco e napoletano con gli stereotipi immaginifici e superstiziosi della cultura campano-laziale, ma la vera protagonista del napoletano è la maschera di Pulcinella (Giulio Bufo): un monologo sulle sue sfortune d’amore, concluso con una preghiera per gli attori.
Seconda parte, e ancora Tania Adesso a introdurre il dialetto abruzzese: si accende la politica, ma il cartello promozionale del nuovo partito P.I.Z.Z.A. (Partito Italiano di Zappatori, Zoticoni e Alfabeti) e il comizio del suo leader dissacrano la materia. Dal toscano popolare di Cecco Angiolieri alla spilorceria ligure, per arrivare al discorso ampolloso e senza senso di Ballanzone, tipica maschera bolognese, con i suoi inappropriati cavilli e inutili sproloqui.
Non manca il veneto, che si atteggia a lingua musicale nell’interpretazione della poesia «Il lonfo» di Tania Adesso: Narcisa Vanesio la sua maschera più estrosa. Il meneghino-pugliese, miscuglio linguistico degli emigrati pugliesi in terra lombarda, ha infiammato il pubblico, nonostante l’ora tarda: gli stereotipi baresi divertono gli stessi pugliesi. La chiusa di Massimo Troisi, tagliata dallo spettacolo per ragioni temporali, ma riprodotta dalla voce di Mimmo Amato su richiesta del pubblico.
Vito Vilardi alla chitarra e Vito Mongelli alle tastiere hanno scandito le diverse fasi dello spettacolo, tra parti recitate a sezioni cantate con Giusy Andriani. Tra i brani, «Vitti ‘na crozza», «‘A città ‘e Pulcinella», «Roma Capoccia», «O mia bela Madunina». Non secondari i balletti, che spezzano il continuum scenico, coreografate da Anna Capodieci e Giusy Andriani.
Spezzata l’illusione della pièce bien fait, il pubblico è stato chiamato a intervenire e a giocare con i personaggi dello spettacolo. Nella simbiosi tra lingua e palco si è liberata una potente e feconda ispirazione, risoltasi in quello spettatore che non solo si è lasciato coinvolgere, ma ha osservato con attenzione il fieri teatrale.
Annullate le convenzioni sceniche del pubblico di Molfetta, abituato al semplice fatto raccontato in atti, requisito per quasi due ore tra un idioma locale e l’altro in un ritmo dinamico e turbinoso. Grande merito ai tre attori, ma soprattutto a Mimmo Amato, che ride, si diverte e fa divertire, non solo recita, fa innamorare del teatro.
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Autore: Marcello la Forgia