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Molfetta: quartiere Madonna della Rosa, intolleranza verso un cane, ma sporcizia e incuria
27 luglio 2009

MOLFETTA - È stato sempre considerato un rione residenziale perbenista e tranquillo, perché lontano dai rumori e dal traffico della città: il quartiere Madonna della Rosa rappresenta nell'immaginario collettivo l'ideale di città sana, sicura e pulita, a tal punto che i suoi problemi restano misconosciuti ed irrisolti. Innanzitutto, il problema dei cani randagi, presente a macchie in tutta la città, che urge di una urgente soluzione, non di una giustizia approssimativa, quanto mai inutile e deleteria. Come accaduto per Maya, presso la Parrocchia San Filippo Neri (vedi Quindici di luglio in edicola, pag. 15), il cane di via Ungaretti, Vagabondo, un cucciolo di razza pastore tedesco, è stato accalappiato e portato nel canile di Corato, proprio mentre alcuni residenti avevano trovato un uomo pronto a prendersene cura. La colpa del cane è aver abbaiato ripetutamente contro le auto in transito, causando inquinamento acustico, e generato profonde ed irreversibili crisi di panico, ansia e turbe psichiche: «con tutto il rispetto per quanti hanno paura dei cani, ci sembra esagerato farsi giustizia in questo modo, affermando con falsità la presunta aggressività del cane», hanno ripetuto molti residenti, che nel corso di questi due anni hanno curato e coccolato il cane, per non parlare dei bambini, rattristati per aver perso «un compagno di giochi». Il clima che si respira, dopo questo accaduto, è paura ed ansia, rabbia e rancore: «Si è consumato l'ultimo atto di inciviltà», riferiscono altri, «in un quartiere in cui anche le persone, a lungo andare, saranno mal tollerate dai soliti signorotti prepotenti»; «hanno accusato il cane di sporcare, ma siamo noi esseri umani i primi ad accumulare immondizia su immondizia ai piedi di cassonetti semi-vuoti e a lasciare che i nostri cani lascino i loro escrementi dappertutto». Ma i problemi del quartiere sono molto più seri e duraturi. Questa vicenda è solo la punta di un iceberg molto più profondo: sono ben più dilaganti le negatività nel quartiere, estraniato dalla città e dalla vitalità di una zona adiacente in pieno sviluppo urbanistico e commerciale. Insomma, un «quartiere dormitorio», circoscritto da un passaggio a livello murato, un ponte rabberciato e settori di strade scarsamente illuminate e tutelate, con numerose falle dell'asfalto, pericolose soprattutto per pedoni e ciclomotori. Gli abitanti lamentano la fatiscenza di una strada maleodorante per la presenza, a distanza di pochi giorni, di rifiuti ammonticchiati ai piedi dei cassonetti, a volte per la mancata pulizia, altre per l'incuria e l'inciviltà degli stessi residenti, oltre ai rifiuti organici, puntualmente dimenticati dai padroni sbadati di cani. E dire che solo l'anno scorso l'intero quartiere aveva tratto sospiri di sollievo per l'eliminazione del traliccio della ferrovia, festeggiando un semplice spostamento di pochi metri, più che mai dannoso alla salute umana. Altre polemiche sono sorte per la tutela degli abitanti: vi sono stati nel giro di pochi anni reiterati furti in appartamenti e di automobili, nonché nell'unico supermercato della zona. Poca è stata, almeno in passato, la sorveglianza, nonostante le ripetute denunce alla polizia municipale. In ultimo, la presenza di un tombino scoperchiato ai piedi di un palo della luce pubblica all'ingresso della strada vicinale Ser Nicola. Sin dagli inizi di questo mese, forse conseguentemente a temporali, questo tombino, in cui vi sono piccoli tubi e fili elettrici, è rimasto privo di copertura. A partire dal 9 luglio, su intervento, questa volta non propriamente tempestivo, della polizia municipale, dopo rinnovate denunce scritte, una copertura è stata assegnata al tombino incriminato nella presenza di un piccolo pneumatico. Marcello la Forgia Camilla de Bernardo
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Chiamata in causa, ho finalmente la possibilità e il tempo per prender atto di quanto interessa anche me direttamente. Risponderò, pertanto, ad alcuni commenti...in modo piuttosto incuriosito...sospettoso aggiungerei. Cortese e gentile ciclista incallito, appoggio in pieno e condivido quanto è stato replicato per iscritto dal collega Marcello la Forgia. E, come giustamente ha rilevato il sig. la Forgia, anch'io nutro perplessità su quanto effettivamente sia stato recepito da lei. Questo punto non mi è chiaro: perché mai l'articolo è stato interpretato in tal modo? Come mai, di uno scritto riferentesi ad un insieme di problematiche REALI, PALESI e ALL'ORDINE DEL GIORNO, lei focalizza la sua attenzione e riduce le sue riflessioni solo sulla situazione del randagismo? Cosa c'è sotto? Come vede, i giornalisti "obiettivi" non possono far a meno di fiutare che ci sia qualcosa d'altro, celato dietro la sua chiave di lettura e di interpretazione. Lei ci invita a "guardare la realtà" in modo più "obiettivo". Rilegga meglio l'articolo, anche lei in modo più obiettivo. E rifletta maggiormente sulla realtà fotografata e descritta. Infine mi permetto di rilevare una serie di "luoghi comuni" presente sia nel suo commento, sia in quello di Molfettese di Molfetta. Lei, caro ciclista, ha reso, al solito, una univoca immagine. I cani randagi in branco DEVONO SOLO AZZANNARE, perché le CRONACHE SONO ZEPPE di queste notizie. Sono solo una minaccia latente per l'incolumità di ADULTI E, SOPRATTUTTO, BAMBINI. Mi perdoni, ma questa non è paura, è qualcosa d'altro: è mera fobia, che vincola e stritola la vita in gabbie di limiti e restrizioni. Rifletta serenamente. Potrà ricordare come la storia sia piena zeppa, più delle cronache, di luoghi comuni che hanno angustiato e penalizzato l'uomo. I Saraceni incutevano sacro terrore, si impadronivano dei luoghi santi; erano forsennati, pericolosi, demoniaci. Andavano fermati! E il Medioevo fu ricco di crociate sacre e papali! Poi fu la volta delle streghe. Donne infernali, diaboliche figlie di Satana che, con i loro incantesimi, incutevano terrore. Andavano fermate anche loro! Anche questa volta la storia ha riempito le sue pagine epocali di insensati massacri. Che si fa, dunque? Dopo la caccia agli infedeli e alle streghe, iniziamo quella ai cani randagi? Attenzione, non si faccia "di tutta erba un fascio"! Glielo scrive, di cuore, una ciclista come lei, che si è imbattuta in un branco di cani che non hanno AFFATTO nè aggredito, né azzannato! Un morso-ricordo canino, mi creda, lo annovero anch'io: mi è stato lasciato, però, dal cagnolino domestico di una mia parente, quando entrambi eravamo piccoli e, ingenuamente, avevo infastidito la sua coda giocando. A Molfettese di Molfetta mi permetto, però, di rinverdire le assicurazioni che di sicuro si sarà sentito dire più volte. ATTENZIONE ALLA SICUREZZA STRADALE!!! Anche lungo le strade di rapida percorrenza, attenzione a non eccedere. E se a tagliar la strada non fosse stato un cane, ma un bambino? Rischiare la morte è davvero grave: per favore, si guidi prudentemente. Ritengo più che giusto, infine, che il Comune investa soldi in ogni sfaccettatura del sociale, per il benessere di tutti gli esseri viventi della nostra città, con sensibilità ed attenzione massime. Quella stessa sensibilità che, a volte, le nostre fobie non ci permettono di custodire.

Gent.ssimo "Ciclista incallito", innanzitutto, l'articolo è stato scritto anche per il cane Vagabondo, ma il suo fine principale era quello di denunciare una situazione cittadina: qui, a Molfetta, siamo abituati e siamo stati abituati alle apparenze. Le cose sono buone perché appaiono tali, molti non riescono o non sanno o non vogliono analizzare con consapevolezza critica ed attenzione ciò che accade. Non scriverò, ora, ciò che va o non va in città: non solo non mi basterebbe una “pagina” di internet, ma, credo, non interesserebbe a nessuno, visto l'andazzo dell'ultimo periodo; del resto, chi si informa tramite la "sana", "libera" ed "oggettiva" stampa cittadina avrà consapevolezza e conoscenza dei problemi della città. Qui voglio brevemente risponderle per quanto letto nel suo commento. In primis, rispetto massimo per tutti coloro che hanno paura dei cani (meno per quanti li odiano, come fossero appestati): le confesserò, mi arrecano fastidio coloro che intimano o obbligano coloro che hanno paura a non avere paura. È normale avere paura: dovrebbe essere altrettanto normale, per noi uomini, il rispetto dell'altro e dei suoi sentimenti, ma allo stesso, come vogliamo il rispetto, dobbiamo offrire rispetto non solo all'identità umana, ma anche alla natura che ci circonda (anche la Bibbia lo insegna). A volte, o sempre, non facciamo né l'una né l'altra cosa. Faccio footing lungo la strada vicinale che costeggia la 16bis (in direzione della Piscina Ser Nicola e di Pozzo Rosso): proprio da quelle parti è “alloggiato” un branco di cani randagi. Più volte sono passato, correndo: tutte le volte quei cani mi hanno abbaiato, rincorso, ma non mi hanno mai toccato con una zampa o un canino. Li ho persino accarezzati. A volte, sono aggressivi i cani domestici: sono sornioni, ma pronti ad attaccare. Dice il detto, “can che abbaia non morde”: mai più giusto! Il 90% delle aggressioni di cani contro uomini sono provocate da cani domestici, mal curati dai padroni, addestrati all'attacco dai padroni, scappati dai padroni. Allora, mi potrebbe dire, di chi è la colpa?! Dell'uomo?! Dei cani?! Credo ci voglia maggiore sensibilità e senso di responsabilità: penose sono le percentuali di cani abbandonati ogni estate per strada. È giusto che chi vuole un cane, abbia la consapevolezza di crescere, curare e amare un figlio. Conosco tutta la zona industriale: so gran parte delle zone in cui ci sono i cani randagi, che si avvicinano per un pezzo di pane, anche duro e se ne stanno buoni, accucciati nel loro angolo, se non sono diturbati. Non le dirò di avvicinarsi ad accarezzarli: io l'ho fatto ad ho ricevuto un gentilissimo ringraziamento. Le ripeto: ci sarebbero randagi senza abbandono?! Credo che la quantità di cani, in questo modo, diminuirebbe. Infine, noi di “Quindici” guardiamo la realtà e la descriviamo per quella che è nei fatti: non si spiegherebbe l'autorità del nostro giornale, dal momento che un qualsiasi evento riportato su una qualsiasi stampa cittadina non ha lo stesso impatto pubblico dello stesso riportato sul “Quindici”. È troppa la stampa annacquata o poco oggettiva, che ci abitua giorno dopo giorno ad accettare le cose in modo acritico e a non cogliere la verità: questa è la stampa che “scrive solo ciò che fa comodo”. Facciamo il nostro lavoro in nome di quella verità e di quel rispetto di cui prima Le scrivevo e continueremo a farlo, nonostante tutto. Quindi, maggiore senso critico e responsabilità da parte di tutti. La ringrazio per il suo commento: ciò dimostra che c'è sempre qualcuno pronto ad intavolare una discussione dialettica. Cordiali saluti. Marcello la Forgia


La Polemica. Il peccato di essere senza vergogna. (Gianrico Carofiglio). Un sintomo del degrado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un'ideologia dominante attraverso l'occupazione della lingua. L'espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. E' un fenomeno riscontrabile nei media e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane. L'impossessamento, la manipolazione di parole come verità e libertà (e dei relativi concetti) costituisce il caso più visibile, e probabilmente più grave, di questa tendenza. Gli usi abusivi, o anche solo superficiali e sciatti, svuotano di significato le nostre parole e le rendono inidonee alla loro funzione: dare senso al reale attraverso la ricostruzione del passato, l'interpretazione del presente e soprattutto l'immaginazione del futuro. Se le nostre parole non funzionano - per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati - è compito di una autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo. Il modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo. Proviamo allora a esercitarci in questo compito di manutenzione con una parola importante e più di altre soggettata allo svuotamento (e alla distorsione) di significato di cui dicevamo. Proviamo a restituire senso alla parola vergogna. Nell'accezione che qui ci interessa la vergogna corrisponde al sentimento di colpa o di mortificazione che si prova per un atto o un comportamento sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti, riprovevoli..... La forma verbale "vergognatevi" è oggi spesso utilizzata nei confronti di giornalisti che fanno il loro lavoro raccogliendo notizie, formulando domande e informando il pubblico. Sembra che vergognoso sia vergognarsi. Vergognarsi e provare vergogna appare come qualcosa da cui tenersi il più lontano possibile. Sulla questione Blaise Pascal la pensava diversamente, attribuendo alla capacità di provare vergogna una funzione importante nell'equilibrio umano. Nei Pensieri leggiamo infatti che "non c'è vergogna se non nel non averne"............. Volendo trarre una prima conclusione, si potrebbe dunque dire che il non provare mai vergogna, cioè il non esserne capaci, è patologia caratteriale tipica di soggetti cinici, protervi, sfacciati, spuderati. Al contrario, la capacità di provare vergogna costituisce un fondamentale meccanismo di sicurezza morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica. Il dolore fisiologico è un sintomo che serve a segnalare l'esistenza di una patologia in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. La ritardata o mancata percezione del dolore fisiologico è molto pericolosa e implica l'elevato rischio di accorgersi troppo tardi di malattie gravi del corpo. Così come il dolore, la vergogna è un sintomo, e chi non è capace di provarla - siano singoli o collettività - rischia di scoprire troppo tardi di avere una grave malattia della civilizzazione. Qualsiasi professionista della salute mentale potrebbe dirci che le esperienze vergognose, quando vengono accettate, accrescono la consapevolezza e la capacità di miglioramento, e in definitiva costituyiscono fattori di crescita. ............. Come ha osservato una studiosa di questi temi - Francesca Rigotti - l'azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità.................................. . Ma è davvero interessante registrare cosa dice della vergogna Aristotele nell'Etica Nicomachea. "La vergogna non si confà a ogni età, ma alla giovinezza. Noi infatti pensiamo che i giovani devono essere pudichi per il fatto che, vivendo sotto l'influsso della passione, sbagliano, e lodiamo quelli tra i giovani che sono pudichi, ma nessuno loderebbe un vecchio perchè è incline al pudore, giacchè pensiamo che egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi." (La Repubblica,28.7.'09)





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