MOLFETTA - «Il lavoro, un diritto o un principio?», questo il quesito con cui, don Paolo Malerba (foto) ha aperto la conferenza «Tra riconoscimento sociale e flessibilità: il lavoro» organizzata dal Progetto Policoro e tenutasi nella Sala Turtur. Stando a quanto afferma l’articolo I della nostra Costituzione, l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ciò nonostante il lavoro non può e non deve essere considerato un principio, bensì un diritto che ognuno deve difendere.
Il lavoro è sempre stato al centro della vita dell’uomo, ma ha ricevuto diversi significati e definizioni nelle varie epoche della storia. Oggi, come ha ricordato don Malerba, viviamo in una nuova dimensione del lavoro, caratterizzata dal diverso significato da attribuire al capitale. «Nella società della “conoscenza”, non si parla più di capitale così come lo intendeva Marx» ha dichiarato don Malerba. Si è diffusa la consapevolezza che il capitale non è costituito dalle risorse materiali, dal denaro utile a produrre, il vero capitale è l’uomo, la nostra intelligenza e soprattutto la nostra conoscenza. «Chi manca di conoscenza, manca di capitale» ha affermato don Malerba. La conoscenza è l’unica ricchezza della società postcapitalistica, è l’unico fattore di produzione, accantonando tanto il capitale quanto il lavoro.
Purtroppo, ancora oggi il lavoro è legato al produrre, il lavoro di una madre che si occupa della casa e della cura dei suoi figli non è ancora riconosciuto perché non porta ad alcuna produzione. Nella società delle “organizzazioni” in cui viviamo il lavoro occupa un posto preminente «l’organizzazione deve essere come un’orchestra, tutto deve funzionare alla perfezione: bisogna rendere produttive le conoscenze, bisogna creare squadra, efficienza, ma questa società non ha al centro l’uomo» ha affermato don Malerba.
La Chiesa si ribella a questo tipo di società. «Il lavoro fa parte dell’esistenza umana, ma non esaurisce il senso né salva l’uomo, non lo santifica ma neppure lo condanna; Dio comanda all’uomo non solo di lavorare, ma anche di riposare il sabato» haribadito il relatore. Il lavoro secondo don Malerba è oggettivo quando fa riferimento all’insieme di attività, risorse e tecniche di cui l’uomo si serve per produrre e dominare la terra; è soggettivo quando mette al centro l’agire dell’uomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che corrispondono alla sua vocazione.
Nell’era della globalizzazione il diritto al lavoro ha subito un’evoluzione verso la flessibilità , con la conseguente nascita del lavoro interinale o temporaneo. Tutte le forma di lavoro instabile, ha precisato il relatore, non danno garanzie di continuità nel tempo, per cui non forniscono una fonte di reddito su cui fare affidamento, costringendo l’individuo a molte rinunce: il matrimonio, la nascita di un figlio, l’acquisto di un auto, la decisione di un mutuo. Il lavoro “atipico”, ha precisato don Malerba, «rischia di distruggere la capacità del lavoratore di costruire un proprio percorso coerente, non si hanno le protezioni e le garanzie sociali che hanno tutti i lavoratori a contratto indeterminato». Il lavoro atipico inoltre produce isolamento, i lavoratori con contratti di breve durata, non riescono infatti a costruire dei rapporti stabili con i colleghi. L’instabilità dell’impiego, dunque , indebolisce l’integrazione sociale.
Il vero problema della nostra società è la carenza del sistema del Welfare: «In mancanza di un sistema di protezioni sociali diffuse e garantite a tutti i cittadini, il lavoro finisce col diventare l’unico meccanismo di tutela dei rischi sociali. Il posto di lavoro, dunque, per svolgere a pieno tale funzione di “garanzia” deve essere il più fisso e garantito possibile» ha dichiarato don Malerba.
Tutti noi oggi, secondo don Malerba, dovremmo iniziare a pensare in maniera diversa il rapporto con il lavoro, ma soprattutto dovremmo capire che lo Stato non può sostituirci, «Noi siamo lo Stato!» ha tuonato don Malerba, dunque, non è più pensabile una forma di Stato “papà” che ci aiuti a trovare un’occupazione o un lavoro stabile. E’ necessario un impegno concreto da parte di noi stessi, che, invece di lamentare le carenze dello Stato, dovremmo cercare di essere più creativi e più inventivi.
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