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Michela Murgia e il “caso Molfetta” Ricordo della scrittrice scomparsa: il senso di una perdita, una grande eredità
15 settembre 2023

C’è qualcosa di sacro e inviolabile nella fine di ogni vita, che meriterebbe solo lo sgomento del silenzio. Le braccia aperte davanti al mistero. Nessuna chiosa, nessuna morale. Nessuna ossessione per l’apprendimento. E invece sopravvivere all’assenza ci impone sempre il confronto con il ricordo. Cerchiamo il segno delle persone che ci lasciano. Il senso della perdita, una qualche eredità. Michela Murgia se n’è andata tra moltissime parole. Trovarne altre è un esercizio complesso, frenato dal pudore, dalla paura di sbagliare le virgole e in qualche modo sporcare il messaggio limpido che Michela ha scelto di scrivere da sé. Perché Michela scriveva forte e chiaro. La cultura e la politica. Due amori travolgenti che l’hanno resa protagonista impavida di un tempo minuscolo. Letteratura e impegno: le due strade che l’hanno portata in molti posti, anche a Molfetta. Non mondi separati, come spesso si vagheggia. Bisogni primari congiunti, piuttosto, almeno nella visione di Michela Murgia. Capace di disegnare mondi letterari perfetti, come in Accabadora o Chirù. E intanto tuffarsi di testa nella militanza, come quando ha fondato il movimento Sardegna Possibile, candidandosi alla presidenza della sua Regione. Correva l’anno 2013. È novembre quando Murgia decide di lanciarsi in una campagna elettorale che in Sardegna riesce a riattivare pezzi vitali di un territorio complesso. Pochi mesi prima, Molfetta aveva conosciuto la sua rivoluzione gentile in cui ero stata reclutata come portavoce e candidata sindaca. Murgia aveva seguito la nostra campagna elettorale, allertata da alcuni contatti comuni per noi molto significativi: Paola Gallo, editor e punto di riferimento della casa editrice Einaudi, che aveva curato il mio romanzo Il regno di Op, scritto nel 2012 e uscito per Einaudi pochi giorni dopo la mia elezione di giugno e Concita de Gregorio, maestra, mentore e grande amica, che mi aveva supportato nelle settimane finali della campagna elettorale, con due interventi pubblici (uno a Banchina Seminario, alla fine del primo turno, e l’altro nella indimenticabile serata di Piazza Paradiso) e che aveva raccontato l’esperienza di cittadinanza attiva di quello che dieci anni fa fu riconosciuto come “il laboratorio Molfetta”. Lo sforzo lillipuziano della nostra campagna elettorale, che ci portò a dismettere un decennio di potere conservatore consolidato, fu di ispirazione per il gruppo di lavoro di Michela Murgia in Sardegna, tanto che nel settembre 2014, quando fu invitata ai Dialoghi di Trani, scorgendomi tra il pubblico (e cogliendomi assolutamente di sorpresa) lo raccontò a una sala gremita, facendomi arrossire di orgoglio e imbarazzo. Passammo, allora, una bellissima serata sul porticciolo di Trani, insieme alla mia allora assessora all’Urbanistica Rosalba Gadaleta, che condivise con noi una serata di speranze accese e grandi progetti. Fummo piacevolmente sommerse di domande sulla nostra esperienza di governo di un territorio ostaggio per anni di una visione di sviluppo basata sul binomio espansionistico urbanistica selvaggia e grandi opere pubbliche inutili e costose. Michela era sinceramente interessata al “caso Molfetta” e soprattutto alla spinta civica che aveva portato all’insediamento della nostra amministrazione. Studiava con grande interesse il rapporto tra consenso e partecipazione e si accendeva nel sapere che in un pezzo di Mezzogiorno complicato, soffocato per anni dal clientelismo e dalla malapolitica, un movimento che aveva visto in prima linea i giovani e le donne, in armonia con le forze politiche del centrosinistra locale, era riuscito a ribaltare un destino destinato di affarismo, scrivendo una storia nuova. Quella sera a Trani, Michela ci lasciò con una frase allegra: “Invitatemi a Molfetta e io vengo”. E così facemmo. Con un’altra assessora, Betta Mongelli, immaginammo tra il 2015 e il 2016 due rassegne dedicate a teatro e letteratura. La prima coinvolse Concita De Gregorio, Fabrizio Gifuni, Isabella Ragonese e Lucilla Albano Bertolucci: un festival di teatro civile e un concorso di drammaturgia per monologhi teatrali, con un premio dedicato a Giuseppe Bertolucci, che si candidava a diventare un’esperienza simile a quella del premio Tondelli a Riccione. La seconda fu pensata come una rassegna letteraria di iniziativa pubblica. Si chiamava “Parola data” e aveva l’intenzione di portare nella Sala del Consiglio Comunale, a Piazza Municipio, nel cuore della città, i protagonisti della letteratura contemporanea. Erano i mesi in cui Michela Murgia pubblicava “Chirù”, specialissimo romanzo dedicato al rapporto tra uno studente e un’insegnante. Le porgemmo l’invito del Comune a incontrare la cittadinanza e non se lo fece ripetere:mantenne, appunto, la parola data. Arrivò a Molfetta con una curiosità autentica addosso e il rispetto assoluto non solo verso l’amministrazione, ma verso la città. Volle passeggiare lungo Corso Dante, volle dormire in Centro Antico e volle incontrare le docenti delle scuole e i giovani che animavano il mondo dell’associazionismo locale, come Gabriele Vilardi, con cui strinse un legame coltivato anche negli anni a venire (tre anni dopo, nel settembre 2019, si preoccupò moltissimo delle sue vicende e delle nostre, in occasione delle denunce legate alla nostra manifestazione di piazza “Molfetta non si lega”, in cui contestammo la presenza a Molfetta di Roberto Maroni). Per me sindaca, il 22 febbraio 2016 fu una carezza. Un grande riconoscimento, perché una delle scrittrici più importanti del Paese aveva deciso di mettere la sua faccia e la sua storia accanto alla nostra. Pochi mesi dopo sarebbe caduta l’amministrazione, con la scelta delle mie dimissioni, in nome della caratteristica che più accomunava le nostre biografie e che ha tenuto in piedi, in quegli anni, il nostro dialogo a distanza: un ostinato rapporto con la coerenza tra il dire e il fare. Non abbiamo mai dismesso il nostro legame con la politica, nonostante Sardegna Possibile e Signora Molfetta, le nostre esperienze civiche territoriali, non abbiano dato vita a alle stagioni durature di buongoverno che avevamo provato a insediare. Entrambe ci siamo avvicinate a Sinistra Italiana, io con una militanza interna al partito (partecipando alla segreteria nazionale e alla campagna per le elezioni europee del 2019), lei con un endorsment convinto al gruppo dirigente guidato da Nicola Fratoianni, soprattutto per il suo impegno legato all’accoglienza dei migranti e all’esperienza della nave umanitaria Mediterranea. Michela non aveva paura di schierarsi, riuscendo a restare integra e integralmente credibile. Una sua personalissima magia. Qualcuno vide in lei una possibile guida della sinistra in cerca d’autore dopo il fallimento del governo Renzi e il disincanto del governo Gentiloni, preludio degli anni Conte-Conte-Draghi. Tra questi, un altro comune amico e compagno di strada e di visione, Marco Damilano, che coinvolse sia me che Michela nel suo Espresso, ultimo giornalebandiera, a cui abbiamo collaborato lei con una appassionata rubrica e io con alcune inchieste sul Mezzogiorno. Fu nell’estate 2019, proprio per la Festa dell’Espresso e su invito del nostro direttore Damilano, che ci confrontammo in piazza, a Roma, in una iniziativa coordinata da Sandro Gilioli (oggi direttore di Radio Popolare), insieme a quella che Michela decise subito essere la centravanti di sfondamento della sinistra ancora da costruire, Elly Schlein. Dopo un dibattito infuocato, ci portò a cena nella sua Trastevere, tenendoci fino a tarda sera a ragionare su come organizzare davvero e fattivamente la rivoluzione culturale e politica che, per lei era chiarissimo già quattro anni fa, non poteva più attendere la nostra timidezza. È su questo tempismo che ci siamo più perse che divise. Io venivo da una campagna elettorale stremante sulle preferenze, in cui la formazione per cui mi ero spesa (La Sinistra) aveva raccolto un risultato misero, sotto il 3 percento, non superando la soglia di sbarramento utile a entrare in Parlamento Europeo. Una grande frustrazione e una certa stanchezza, dopo 7 anni in prima linea tra sindacatura e partito (anni di fatiche e di rinunce, anche per chi al tempo mi era stato a fianco nella vita privata), mi hanno convinta a lasciare la politica e riprendere la mia carriera giornalistica, prima a La7 e poi a Rai Tre. Michela, invece, ha resistito e ha insistito, sia aiutando Elly Schlein e il suo movimento a irrompere nel Partito Democratico, spalancandone porte e finestre con le ultime primarie e sia, soprattutto, promuovendo iniziative culturali all’arrembaggio, disegnando traiettorie eretiche, talvolta selvatiche e imprevedibili, sempre coraggiose e scintillanti e dando vita a un neo femminismo libertario e audace, capace di continuare a scandire una visione di mondo aperta e contaminata dalla cultura delle differenze, nemica di ogni istinto xenofobo, neofascista, oscurantista, fino a teorizzare e soprattutto praticare nuove forme di convivenza sociale e familiare. L’ho vista l’ultima volta a Milano, città in cui vivo e lavoro per qualche giorno a settimana, lo scorso 8 maggio. La mia caporedattrice mi ha portato al Teatro Carcano a vedere il suo spettacolo con un’amica geniale, scrittrice e matematica folgorante, complice di tante avventure e altra grande sponsor generosissima del “laboratorio Molfetta”: Chiara Valerio. Una serata molto intensa, con Michela e Chiara travolgenti e all’unisono sul palco, in uno spettacolo acuto ed esilarante in cui hanno commentato per oltre un’ora il libretto di istruzioni di un forno a microonde, con sagacia e altissima intelligenza e una vis comica profondissima. Michela aveva da poco rilasciato l’intervista in cui ha scelto di rendere pubblica la gravità della sua malattia. Eppure è stata una serata piena di vita e piena di poesia. Abbiamo riso molto: tantissimi ragazzi, genitori con figli, comitive di amiche che si tenevano per mano. Abbiamo applaudito forte, in piedi, per qualche minuto. E, segretamente, iniziato a immaginare l’assenza a venire. A pensare: come faremo, adesso? A festeggiare, comunque, questo passaggio così verticale di Michela sulla terra. Una rivoluzione compiuta e comunque vinta. Una musica indimenticabile. Un volo altissimo. Un dono. © Riproduzione riservata

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