MOLFETTA - Capossela spinge il suo pianoforte a prua. Avvisa i naviganti: “sarà un viaggio lungo”, non tra le melodie più note. E le costole del Leviatano si aprono per inghiottire il pubblico, i migliaia che a Molfetta hanno seguito il capitano lungo il suo immaginario percorso catartico in compagnia di «Marinai, profeti e balene», sulla Banchina San Domenico, con il suo nuovo show nell’ambito della rassegna musicale "Luci e suoni a Levante" organizzata dalla Fondazione musicale Vincenzo Maria Valente e dal Comune di Molfetta.
Il ventre della leggendaria creatura biblica è la cassa armonica da cui partono le note che incontrano le rotte di personaggi resi immortali dalle pagine della letteratura di Melville e Conrad. Si comincia con la condanna a morte di Billy Budd, marinaio la cui unica colpa è forse stata la sua giovinezza. Di contro la debolezza di Lord Jim, il primo ufficiale che abbandona imperdonabilmente la sua nave che sta per affondare.
Poi le campane di Padre Mapple, il prete dei balenieri, ci portano sul ponte del Pequod. La mitica nave del capitano Achab e qui l'dentificazione di Caposella con il personaggio, e della ciurma con i bravissimi coristi diventa totale.
“I fuochi fatui”, sono la perfetta descrizione sonora delle scene contenute in Mody Dick e della trasposizione cinematografica data nel film con Gregory Peck. Qui proprio come nella storia Vinicio Capossela si scaglia sulla prua della nave come Achab sul dorso della balena. Poi il mare li inghiotte e le melodie sprofondano nell'abisso musicale di pinne di bolle del polpo d'amor e di Pryntin, il singolo più radiofonico dell'album realizzato con la collaborazione del trio de «Le Sorelle Marinetti» anch'esse sul palco. Il pubblico pare gradire il passaggio. E accompagna con applausi anche la battuta sulla sirena di Céline che, ricevuto il dono delle gambe, le utilizza dando scandalo "oggi diremmo a Villa Certosa".
Il tramonto delle Pleiadi mette il capitano sulle rotte di Ulisse e del suo desiderio di conoscenza capace di ubriacare il ciclope e ascoltare la voce dell'indovino Tiresia, o la dolce melodia di Calipso, la ninfa dell'incanto, prima di essere colto dal «nostos», la nostalgia del ritorno e del ricordo.
E proprio a questo punto, dopo quasi due ore di viaggio, Capossela, la cui musica abbina strumenti antichi e moderni campionatori, sospende il percorso monotematico e ripassa con il pubblico alcuni dei suoi classici. E qui che la gente non si tiene e scatta in piedi sotto il palco per i ritmi tarantolati del ballo di San Vito.
Tributi a grandi narratori ma anche a grandi della musica come Dylan o il cantautore molese Enzo del Re che Capossela, pochi mesi prima della sua recente scomparsa, ha fatto esibire sul palco del 1 maggio.
«Tutto è bene quel che non finisce mai», scandisce dal palco posando una birra sul pianoforte dopo essere stato richiamato dal pubblico sulla scena, quando sono passate le due ore e mezza di musica. Il cantautore irpino allora concede il suo ultimo capolavoro. «Le sirene, create dalla notte» il cui canto incessante assale il cantautore - l'uomo come tutti i mostri che nel viaggio ha cercato di combattere.
Capossela allora mette le mani alle orecchie e fugge, resta la musica con cui cerca di catturare la voce del mare. Ma il mare come la musica «è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare».
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