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Mare all'iprite: un x-file in salsa molfettese
21 novembre 2008

MOLFETTA - Stiamo per dismettere, ormai, il calendario del 2008 per appendere quello del 2009, ma gli eventi attuali e la cronaca di questi giorni sta facendo tornare alla ribalta eventi accaduti più di mezzo secolo fa quando la nostra città era protagonista delle agogniate manovre belliche del secondo conflitto mondiale. Può sembrarci un periodo abbastanza lontano ma presumibilmente, noi e il nostro territorio, stiamo pagando ancora care le conseguenze di quanto accaduto. Facciamo un salto nel tempo per rinfrescare le idee sia ai lettori che alle autorità che tendono a sminuire un po' il tutto. Sul finire del 1943 le truppe alleate, sbarcate in Italia, stavano vivendo un periodo abbastanza delicato, poiché, nonostante i loro poderosi sforzi e gli intensi dispiegamenti bellici, avevano piegato soltanto in parte la resistenza tedesca. Gli Americani intuirono dalla strenua resistenza nazista nella battaglia di Cassino, che non sarebbe stato facile, come ci si aspettava, avanzare nella penisola italiana. Per questo fecero giungere dagli Stati Uniti un enorme quantità di bombe caricate con aggressivi chimici, quali l'iprite (nella foto pubblicata da "Quindici" già nel 1995 e che riproponiamo, bombe all'iprite su una banchina del porto di Bari) e il fosforo. Le armi chimiche furono ammassate in parte in magazzini e in parte su due navi di stanza nel porto di Bari. La nottata del 3 dicembre del 1943 segnò una delle sconfitte più amare per gli alleati dopo Pearl Harbour. Infatti, la flotta aerea tedesca, composta da circa trenta bombardieri, attaccò il porto di Bari e le navi alleate presenti sul molo. Di conseguenza furono centrati i depositi di armi chimiche e le due imbarcazioni che ne erano zeppe. Parte del materiale esplose e parte si disperse in mare. Furono migliaia le bombe recuperate sui fondali e si apprese poi, qualche tempo dopo, che non vi erano solo due navi che trasportavano armi a carica chimica, ma ve n'erano molte di più. A testimonianza dell'importante contaminazione chimica della zona di Bari, dopo il bombardamento, vi erano i corpi pieni di vesciche di circa 600 persone alcune delle quali decedute poco dopo. Le autorità alleate minimizzarono sulla questione cercando di coprire quanto accaduto, giacché si era venuti meno, con l'utilizzo di questo tipo di armi, a uno dei punti dell'accordo di Ginevra del 1923. Da quanto si è appreso da fonti storiche, subito dopo il bombardamento di Bari, tutte le bombe che venivano confezionate dagli alleati presso l'ex stabilimento Stacchini, in località Torre Gavetone a Molfetta, vennero frettolosamente scaricate in mare. Purtroppo si trattava anche in questo caso di bombe chimiche, principalmente al fosforo e all'iprite. A questa ignobile azione si aggiunse anche quella dei tedeschi che in ritirata da Foggia scaricarono nell'Adriatico e principalmente nelle zone di Molfetta, Trani, Manfredonia e Margherita di Savoia diverse tonnellate di gas chiuso in bombole. Il nostro mare divenne quindi una pattumiera bellica. Le fonti storiche, non prive di buchi neri, frutto di svariati tentativi di affossamento della verità, ci riportano al 1950, quando fu affidato ad una ditta privata il compito di bonificare un arsenale situato a Molfetta in località Gavetone, proprio l'ex stabilimento Stacchini. Secondo i regolamenti dell'epoca e secondo il contratto stipulato dalle autorità competenti con la ditta appaltatrice, gli ordigni, recuperati nell'edificio e nello specchio d'acqua circostante, dovevano essere affondati al largo. La cosa imbarazzante è che ciò non avvenne per nulla e i residuati bellici, molti dei quali caricati al fosforo e all'iprite, vennero sommersi a meno di trecento metri dalla costa ad una profondità massima di dieci metri. Quindi materiale bellico potenzialmente tossico che si andò ad aggiungere ad altro materiale bellico dalle stesse caratteristiche, creando un mix di sostanze di cui ancor oggi ignoriamo l'entità e la potenziale pericolosità per l'incolumità umana. Fatto sta che, nonostante le autorità non abbiano mai ammesso effettivamente l'esistenza di sostanze realmente pericolose nei fondali marini molfettesi, dal dopoguerra a oggi, sono stati innumerevoli gli interventi di bonifica effettuati. La cosa che, però, offre numerosi motivi di riflessione, sta nel fatto che questi interventi siano stati sempre poco documentati sia dai giornali che dagli esecutori e forse si siano svolti in maniera, presumibilmente, poco trasparente. Il dato di fatto consiste invece nel ritrovamento di oltre 37.000 residuati soltanto nell'area molfettese. Secondo uno studio approfondito, il problema dell'inquinamento da iprite non può essere debellato affatto recuperando gli ordigni e facendoli poi brillare. Occorrerebbe invece un'azione chimica se non addirittura l'incenerimento della zona esposta alla sostanza tossica. L'iprite, infatti, non si degrada e rimane all'infinito in mare, contaminando in maniera quasi irreversibile la fauna e la flora marina e arrecando effetti più o meno gravi a coloro che ne entrano in contatto. L'iprite o 'gas mostarda' è un vescicante molto potente perché penetra a fondo nella cute causando devastanti piaghe che nella peggiore delle ipotesi portano al decesso. Questo elemento chimico si presenta con un odore tipico di mostarda all'aglio, e da qui il suo appellativo. Ne sono esempio i vari casi di pescatori vittime di ustioni, irritazioni e piaghe che, nel più dei casi, hanno raccontato di essere entrati, in precedenza, in contatto con oggetti sconosciuti finiti nelle reti. Ma allora perché qualcuno continua a far orecchie da mercante e non rivela la verità in modo poter guardare in faccia una volta per tutte la questione? Perché dopo aver annunciato che il nostro mare è inquinato da materiale probabilmente chimico qualcuno si è subito tirato indietro ridimensionando le sue stesse affermazioni? Stiamo parlando di salute umana e non c'è nulla di più prezioso da preservare. Oppure no? Occorre capire perché, ormai, quando il 2009 è alle porte, la verità continua ad essere sommersa sul fondale del nostro tanto caro mare. Quindici vi rimanda ad ulteriori aggiornamenti di questa nuova inchiesta nei prossimi giorni e sul prossimo numero della rivista in edicola domani.
Autore: Francesco Tempesta
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