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La “Maxim” spara a Molfetta
15 dicembre 2021

Nel corso della Grande Guerra la popolazione civile ebbe a soffrire duramente a causa degli eventi bellici, anche se in maniera infinitamente minore rispetto alla guerra fascista. Basti pensare, per quanto ci riguarda, a tutta la zona nord-orientale, soprattutto dopo lo sfondamento di Caporetto e l’occupazione austro-ungarica e tedesca del Veneto. Anche il lungo litorale adriatico fu coinvolto in eventi bellici: cannoneggiamenti dal mare e bombardamenti aerei delle zone litoranee considerate di interesse strategico, come agglomerati industriali, porti, reti di comunicazione. A questi obiettivi si aggiungevano quelli di tipo psicologico, volti a terrorizzare e demoralizzare le popolazioni rivierasche che per la prima volta sperimentavano il pericolo e la morte provenienti dal cielo e dal mare. Per far fronte a questa offensiva, il Comando Supremo Italiano predispose lungo l’Adriatico una rete di presidi militari territoriali che, in collaborazione con la Marina, approntassero una difesa armata articolata grosso modo in questi settori: pattugliamento della costa con natanti leggeri e dell’alto mare con cacciatorpedinieri, posizionamento di postazioni antiaeree sui fabbricati più alti delle città, coordinamento dei movimenti dei treni armati costieri, collocazione di batterie di medio calibro nelle campagne a ridosso degli agglomerati urbani, con funzioni antiaeree e antinave. Si operò anche un rafforzamento degli organici di Pubblica Sicurezza, per assicurare l’ordine pubblico e il consenso di una popolazione che, dopo i primi due anni di guerra, a causa della fame e dello spaventoso numero di caduti, cominciava a dar segni di ostilità al prosieguo della guerra. Ormai, dopo i “radiosi giorni” del Maggio 1915, il delirio patriottardo dei locali interventisti di destra si consumava soltanto nei loro lugubri circoli, mentre i salveminiani si aggiravano per le vie cittadine, con i loro dubbi tardivi e le spalle raggelate dalle maledizioni degli innumerevoli agonizzanti. La città ebbe i suoi lutti e i suoi danni. L’evento più grave si verificò intorno alle 7.30 del 27 luglio 1916, quando una formazione aerea nemica sganciò alcune bombe che esplosero nelle vie Ame-deo e Rattazzi. Si contarono 7 civili morti e numerosi feriti. I funerali ebbero luogo il 29. A proposito di questi ultimi, vale la pena ricordare che in alcuni stampati è stata pubblicata una foto, scattata probabilmente dal primo piano del palazzo in Piazza Garibaldi, dove è ora una tabaccheria, erroneamente riferita a quelle esequie. Innanzitutto, i feretri sono soltanto due: quello in primo piano è sormontato da una divisa di soldato e non può essere di un civile, mentre sul secondo è posata una spada e quindi è sicuramente di un ufficiale. In secondo luogo, ai lati dei feretri, sono visibili alcuni figuri patibolari in camicia nera: siamo, perciò, nel dopoguerra. La foto autentica dei funerali è stata da me pubblicata a pag. 7 del numero 3 di “Quindici Giorni” del 15 gennaio 1995. L’intento di queste note è quello di pubblicare parte di un corpus fotografico inedito relativo alle postazioni antiaeree, dislocate nel centro urbano e nella campagna di Molfetta. Le immagini documentano la progressiva militarizzazione della vita civile, mentre il timore del malcontento sociale è testimoniato, tra l’altro, dalla ossessiva ripetizione nelle corrispondenze giornalistiche di frasi come “non grida, non proteste, ma un dignitoso raccoglimento”; “ordine, perfetta calma”; “questo popolo che sa soffrire serenamente”. Insomma, un mare di retorica per nascondere la verità. A partire dal 15 luglio 1915 fu acquartierato a Molfetta il 248° Battaglione della Milizia Territoriale, la quale, come è noto, era formata dalle classi più anziane e destinata alla difesa del territorio nazionale, nelle zone non direttamente coinvolte in conflitti campali con potenze straniere. Fu abolita dopo la Grande Guerra. Il 248° era formato dalla 1ª Compagnia Costiera (mitragliatrici), e dalla 423ª Batteria Antiaerea (cannoni da 87 B su affusto). Comandava il Capitano Gerardo Palmieri, coadiuvato da una decina di ufficiali. Completavano la forza, una quarantina di unità fra sottufficiali, graduati e soldati. Operavano sezioni tecniche, quali telefonisti, telemetristi, goniometristi, segnalatori, serventi vari. In assenza di rapporti operativi e di un piano ufficiale di posizionamento, si può arguire dalla foto che le mitragliatrici fossero piazzate sui tetti dei palazzi più alti, mentre i cannoni nella campagna immediatamente a ridosso delle città. Giova ricordare che spesso le didascalie originali sono alquanto imprecise e contraddittorie e si è preferito, a volte, tacere piuttosto che sbagliare. La Prima Compagnia Costiera aveva in dotazione 5 mitragliatrici “Maxim”, l’arma automatica più diffusa nella Grande Guerra. Nella sua versione antiaerea, era montata su un treppiede notevolmente alto. Esso aveva i tre montanti fermati a terra, e tra di loro, da un triangolo metallico; in alto i montanti erano bloccati da un anello circolare, al centro del quale era avvitato un tubo ricurvo, fissato alla parte inferiore della mitragliatrice, con facoltà di brandeggio. Sia la lunghezza del treppiede che la curvatura del tubo di raccordo consentivano all’arma di sparare con un notevole angolo di elevazione. La “Maxim” era raffreddata ad acqua, grazie a due tubi di gomma pesante collegati a terra ad un bidone dotato di pompa aspirante e premente, ed in alto ad un manicotto interno che avvolgeva la canna. Era alimentata da cartucce in tessuto intrecciato da 250 proiettili calibro7,92, con una cadenza di 500 colpi al minuto. © Riproduzione riservata 

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