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L'ex sindaco Azzollini salvato dalla Casta in un triste inciucio: anche il Pd al Senato dice no all'uso delle intercettazioni
15 ottobre 2014

Puzza tanto di inciucio tra centrodestra e centrosinistra la decisione della giunta delle autorizzazione del Senato di non concedere alla Procura della Repubblica di Trani, l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni telefoniche del sen. Antonio Azzollini (Ncd) indagato con altre 60 persone per associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali per una presunta truffa da 150 milioni di euro per i lavori del porto. Il Pd, ha isolato relatore del suo partito il sen. Felice Casson e ha votato col centrodestra e con la Lega (i senatori di Forza Italia non si sono presentati) per salvare Azzollini. Ora il caso passa all’aula, che potrebbe anche ribaltare la decisione. Contro hanno votato solo Casson e il Movimento 5 Stelle. Coerente con la propria proposta bocciata dai suoi stessi colleghi di partito, Casson si è dimesso e si è anche sospeso dal gruppo. Ora il presidente della giunta Dario Stefano (Sel), dovrà nominare un nuovo relatore, per l’Aula, tra quelli che hanno detto “no” alla proposta del relatore. Un’altra pagina nera del Pd che, con questa decisione di votare col centrodestra conferma l’inciucio, come avvenuto per il voto alla provincia di Taranto e perde ancora punti, privilegiando gli interessi di casta che difende se stessa contro l’accertamento della verità. Inutile anche l’appello del segretario locale del Pd, Giulio Calvani, ai parlamentari del suo partito. Lo stesso segretario ha poi reagito con sdegno a questa scelta. Del resto anche allo stesso appalto del porto l’unica società che ha partecipato, la Cmc di Ravenna è della Lega delle Cooperative, vicina al Pd. Tra l’altro, secondo la Procura di Trani, ci sarebbe il sospetto di 7 milioni di euro di immotivato sovrapprezzo sul porto di Molfetta. Su questa storia, probabilmente – come ha scritto il quotidiano “La Repubblica” il 9 ottobre scorso – non si saprà mai la verità. Perché tra le intercettazioni ritenute rilevanti da Procura e gip c’è anche una che riguarda questa vicenda. E così, ancora una volta il sen. Azzollini fugge dalle proprie responsabilità e invece di dimostrare la propria estraneità allo scandalo, come aveva dichiarato in varie interviste, si rifugia sotto l’ombrello dell’immunità parlamentare: una conferma del motivo per cui non ha mai voluto rinunciare al doppio incarico. Lo stesso Azzollini commentando la vicenda, pur nella sua qualità di avvocato, ha sostenuto che il contenuto delle intercettazioni era noto da tempo ed era stato anche pubblicato dai giornali, pertanto alcun intralcio era possibile nel procedimento penale che lo riguarda relativo alle accuse di presunta frode da 150 milioni di euro, abuso di ufficio, associazione per delinquere, reati ambientali, truffa e falso. Prendendo ancora in giro la gente e dando a tutti dell’ignorante Azzollini non spiega, però, che il fatto che le intercettazioni fossero note, non significa che possano essere utilizzate nel processo. Perché allora, non vuole consentire ai giudici di utilizzarle? Delusa anche la sindaca di Molfetta, Paola Natalicchio che ha dichiarato: «comunque io sto facendo il sindaco a mani nude e senza immunità parlamentare. E penso che un parlamentare, se non ha nulla da nascondere, le proprie intercettazioni le porterebbe da solo in Procura. A dire: “Leggetele, radiografatele, volantinatele: tanto non c’è niente”. Da domani, scusate, non accetto più lezioni di trasparenza da nessuno». La Costituzione dice chiaramente che la valutazione della giunta deve riguardare solo l’esistenza di un fumus persecutionis nei confronti del parlamentare indagato. E il fatto che la decisione del Pd non sia stata motivata da alcuna dichiarazione di voto, né dal capogruppo Giuseppe Cucca né da altri, contribuisce ad alimentare i sospetti. “Avrete sicuramente motivazioni precise e documentate e ci piacerebbe conoscerle”, scrive Pippo Civati chiedendo conto al partito del voto nel suo blog, “perché nessuna dichiarazione di voto è stata fatta alla fine della discussione durata nove mesi, e per non dare adito alle voci che circolano con sempre maggiore insistenza, secondo le quali non si poteva dare l’autorizzazione il giorno prima della fiducia a un alleato così pesante”. Dunque, conclude il deputato del Pd spesso critico verso la linea di Renzi, “per fugare ogni dubbio siamo in attesa di saperne di più. E credo che meritino di soddisfare la loro legittima curiosità soprattutto i cittadini di Molfetta”. Ilfattoquotidiano.it ha contatto alcuni degli otto membri Pd della giunta del Senato: nessuno di loro ha voluto esporsi apertamente sui motivi della decisione. E così ancora una volta Molfetta arriva con un’immagine negativa alla ribalta nazionale. Si attribuisce alla casta la sua autoconservazione e la palese violazione del principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, come ha sottolineato lo stesso relatore Casson del Pd, il quale di fronte al voto del suo partito contrario all’autorizzazione, ha mantenuto la schiena dritta e la sua dirittura morale e si è autosospeso dal gruppo Pd. Uno schiaffo morale al partito che lascia il segno e condanna l’atteggiamento dei senatori democratici che hanno votato col Nuovo centrodestra e con la Lega, tutti debitori di Azzollini. Secondo alcuni, la sospensione della seduta della giunta chiesta dai senatori Pd, serviva per interpellare lo stesso premier Renzi, che oltre al patto con Berlusconi ha anche interesse ad evitare contraccolpi sulla maggioranza di governo alla vigilia del voto di fiducia sul Jobs Act e in vista dell’imminente legge di stabilità che dovrà passare proprio per la commissione bilancio presieduta da Azzollini. Ma il capogruppo del Pd Cucca (anch’egli indagato secondo “Il fatto quotidiano”: è nell’elenco degli onorevoli coinvolti nella maxi inchiesta sui fondi regionali in Sardegna con l’accusa per lui e altri di peculato: avrebbe utilizzato i soldi destinati all’attività istituzionale per spese e fini diversi, personali) risponde: Non c’è stata alcuna pressione politica, le intercettazioni dovevano essere autorizzate anche se indirette. Ma c’è chi racconta di una telefonata da Palazzo Chigi, dove c’era preoccupazione per i contraccolpi nella maggioranza. Vendola è lapidario: “Sconce intese”. Ma non è solo Civati a restare perplesso. “Anche se non ci stupiamo più di nulla, siamo rimasti molto sorpresi”, spiega il senatore M5S Vito Crimi, anche lui membro della giunta per le autorizzazioni del Senato. “Quando si sono appartati”, spiega, “abbiamo capito che la decisione non sarebbe più stata basata sui fatti, ma su motivi politici, dato che il voto su questi temi dovrebbe essere individuale e non su indicazione del gruppo”. Del “casino di Molfetta”, di cui Azzollini era sindaco, parla anche l’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, da poco scarcerato dopo l’arresto per corruzione in relazione ai lavori di Expo2015, in una conversazione intercettata dagli investigatori milanesi: “Me la ricordo bene quella gara lì, cioè una roba… Avevano chiesto in fase di prequalifica una macchina, una draga, la disponibilità, perciò anche in affitto, che c’è ne una solo una in tutto il bacino del Mediterraneo e del Medioriente… Quelle cose esagerate, cioè scrivere “nome, cognome, indirizzo”… Cioè sono robe fatte… “dato che ho stravinto, no? allora ci metto anche la spada come Brenno”. Lì è esagerato”. L’assessore regionale pugliese, già sindaco di Molfetta, Guglielmo Minervini ha definito pubblicamente la vicenda, senza mezzi termini, “una melmosa storia di corruzione”. Sulla vicenda che ha riempito le pagine nazionali dei giornali è intervenuto anche Peter Gomez, direttore de “Il fatto quotidiano” on line: «Il senatore Azzollini, un presunto truffatore salvato dalle sconce intese». «Ci sono scelte che segnano una vita – scrive Gomez -. Quelle prese dai quei senatori del Pd che, martedì 7 ottobre, hanno detto no all’utilizzo processuale delle intercettazioni contro il loro collega Ncd Antonio Azzollini segnano invece la storia di un Paese. Senza nemmeno avere il coraggio di spiegare pubblicamente in aula le ragioni della loro decisione, i magnifici sette componenti della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama hanno votato contro la relazione di Felice Casson, esponente del loro stesso partito. Compatti hanno barattato buon senso e il buon gusto con la volontà di fare un favore ad Azzollini, un potente indagato per associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali. Il politico di Molfetta, protagonista dello sperpero di 150 milioni di euro destinati alla costruzione di un porto inutile e mai terminato, è infatti una figura chiave della maggioranza: controlla in parlamento molti voti e soprattutto è presidente della Commissione bilancio, quella che tra qualche giorno dovrà esaminare la legge di stabilità. Casson ha detto che il re è nudo (“Si continua a difendere la Casta”), i sette a mezza bocca, spesso chiedendo di non essere citati (per la vergogna?), hanno poi abbozzato una spiegazione: le intercettazioni di Azzollini vanno buttate perché non casuali. Se si mettono sotto inchiesta imprese e funzionari di un comune, sostengono i senatori Pd, i magistrati sanno benissimo che finiranno per intercettare il sindaco. E visto che a Molfetta il sindaco era il povero Azzollini è chiaro, secondo loro, che il presidente della commissione bilancio del Senato è stato incastrato. Il fumus persecutionis dunque c’è. Ed è pure molto spesso. Questi pavidi luminari del diritto però non hanno fatto i conti con la matematica e gli atti processuali. Le telefonate di Azzollini intercettate – ovviamente non sulle sue utenze – sono state solo dieci nel giro di un anno e mezzo. Con il responsabile tecnico del progetto, per esempio, il senatore ha parlato due volte nel corso di due mesi, con un altro indagato tre volte nel giro di otto. Impossibile sostenere, pure a posteriori, che il presidente della Commissione bilancio avesse relazioni abituali con i protagonisti dello sporco affare del porto. Ma tant’è. Azzollini doveva essere salvato, costi quel che costi. Doveva restare presidente (anzi presidente azzoppato, visto che ora la parola definitiva sul suo destino spetta all’Aula) per tentare di far passare senza strappi la fiducia sul jobs act e una manovra di bilancio piena di incertezze e buchi. Intanto in Parlamento quasi nessuno si turba se alla testa di una commissione fondamentale per controllare le leggi di spesa siede un signore celebre per aver fatto auto-assegnare alla città di cui era primo cittadino prima 70 milioni di euro (grazie a una legge sul volontariato), poi saliti di anno in anno fino a 150, per la costruzione di un’opera faraonica e dannosa per l’ambiente. Un appalto talmente inquinato da venir definito persino dagli imprenditori protagonisti dello scandalo Expo “una roba esagerata”. Perché Azzollini è l’uomo giusto al posto giusto. Soprattutto in un Paese che ha scelto di truccare ancora una volta conti e decenza. La svolta c’è. Ma non è buona. Dimostra a tutta Europa che qui di nuovo qui ci sono solo le parole, che per il resto si va avanti come prima. Con larghe intese politiche e d’affari talmente forti da consigliare a qualsiasi investitore estero di girare al largo dai confini nazionali. Sì, perché di fumus persecutionis martedì sera, nella giunta del Senato, se ne è respirato molto. Ma non ai danni dell’uomo di Molfetta. La vittima era l’Italia. O quel che ancora ne resta».

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