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In 10mila a Molfetta in corteo per la sicurezza sul lavoro
05 marzo 2008

MOLFETTA - Dopo il dolore, a Molfetta è il giorno della rabbia. Inizia con il raduno alle 9, tra Piazza Municipio e corso Dante, la manifestazione indetta dai sindacati riuniti, Cgil, Cisl e Uil, per protestare contro l' insicurezza sul lavoro, dopo i fatti tragici della Truck Center, con la morte di 5 operai. Oltre al presidente della Regione Vendola, c'erano gli assessori regionale Guglielmo Minervini e provinciale Antonello Zaza, il commissario prefettizio Antonella Bellomo e il sen. Antonio Azzollini. Presente anche una fiumana di studenti: come è d'uopo in queste occasioni, inizierà probabilmente il balletto dei numeri. Chiediamo una stima a Giuseppe Filannino, della Camera di Lavoro di Molfetta (che successivamente, sul palco in Piazza Paradiso, introdurrà gli interventi dei tre rappresentanti sindacali), il quale afferma che “in base ai pullman arrivati, e a quelli in arrivo, aspettiamo circa 10.000 persone, alle quali vanno aggiunti i molfettesi”. Il corteo (vedi le immagini di Michele de Sanctis jr. nella photo gallery) si snoda in silenzio lungo il percorso prestabilito, tra gli striscioni più visibili quello della Filt Ggil Foggia (Federazione Italiana Lavoratori Trasporti) e quello della Fiom, Fim, Uilm. C'era anche una folta delegazione dell'Ugl. Apre la sfilata uno striscione, poi collocato ai piedi del palco, che recita: “Un lavoro per vivere, non per morire”. Sono presenti, dietro i gonfaloni cittadini, provinciali e regionali, anche il sindaco uscente Antonio Azzollini, il Presidente della Regione Nichi Vendola e l'assessore provinciale Guglielmo Minervini, che camminano insieme. E' proprio di Nichi Vendola la prima dichiarazione, rilasciata per Quindici durante il percorso: Presidente, ieri ha parlato di morti proletarie: cosa serve per un vero cambio di coscienze, per una crescita culturale seria? “Ragionare su cosa è diventato il lavoro oggi. E' tornato ad essere merce, è tornato ad essere condizione di solitudine: il lavoratore, soprattutto quello giovane, si trova solo, di fronte a un mercato del lavoro planetario, globalizzato, la sua sola possibilità è quella di beccare un incarico a tempo determinato, diventando quindi ricattabile, permanentemente ricattato, accettando condizioni di lavoro che sono acrobatiche, che sono anche un rischio per la vita. Allora è questo che bisognerebbe cambiare. Abbattere il vincolo di omertà in cui abbiamo risucchiato la vita operaia, la vita delle persone che lavorano nelle industrie o nelle aziende”. Abbiamo raccolto i pareri anche di Sergio Betti (CISL) e di Paolo Foccillo (UIL). “Bisognerebbe rivendicare un premio a chi fa sicurezza, a chi organizza un lavoro sicuro, e non preoccuparsi di chi sceglie di essere o intenzionalmente portato a non organizzare lavoro sicuro, o disinformato, e quindi non lo organizza lo stesso. Quindi la negligenza non può essere tollerata in questo settore, si parla della vita delle persone e non si può accettare, non si può morire di lavoro”, ci dice Betti. Foccillo aggiunge che “la sanzione più grande, per una persona, è perdere la vita per il proprio lavoro. E' questa la sanzione più grande, di fronte a questa non ci sono sanzioni grandi o piccole o sanzioni sbagliate. Bisogna cambiare mentalità, soprattutto il modo con cui si affronta l'economia nel nostro Paese, troppa liberalizzazione, troppi appalti senza regole, troppa cultura del profitto, e invece poco rispetto della vita umana e del diritto al lavoro” Si arriva in piazza Paradiso, dove su una terrazza viene esposto lo striscione “Molfetta piange per voi”. Prende per primo la parola Foccillo: “proprio mentre morivano gli operai che commemoriamo, moriva un operaio a Bracciano, e un altro a Brescia. E quelli che lavorano con il loro sudore, si chiedono oggi a chi tocca. Questa è la domanda dei lavoratori italiani. Gli incidenti di questi anni autorizzano a parlare senza enfasi di strage, di vera e propria carneficina, nei cantieri, nelle fabbriche, nelle imprese di questo paese. Non esiste una sola causa che giustifichi tale mancanza giornaliera, ma un insieme di motivi giuridici, sociali ed economici. Non è un problema territoriale, come dimostra il rogo della fabbrica siderurgica di Torino, o il porto di Genova, o la manifattura napoletana. Non si distingue nemmeno l'età, giovani, adulti, pensionati. Oltre mille morti ogni anno, uno ogni 7 ore. Questo non è un Paese civile, perché solo nei paesi incivili si pagano questi tributi al lavoro. Non ci vengano a parlare dei costi di sicurezza, perché gli incidenti sul lavoro costano alla comunità 40 miliardi delle vecchie lire. Questi soldi potrebbero essere usati per la prevenzione e la formazione”. Prima di passare il microfono a Sergio Betti, Foccillo auspica più controlli, più ispezioni, la crescita di una coscienza morale nella cultura d'impresa, e il risveglio nei lavoratori della coscienza di quanto sia importante l'integrità psicofisica, anche con il contributo delle scuole, magari con un'ora didattica dedicata alla sicurezza sul lavoro. “E' una giornata triste, in cui prevalgono angoscia e rabbia”, inizia Betti, che esprime subito perplessità nei confronti di Confindustria, della quale “non si spiega l'atteggiamento di queste ore. Perché c'è timore per le sanzioni ?” Anche lui suggerisce più controlli diretti sulle imprese, “anche con l'ausilio delle forze dell'ordine, perché no” e una maggiore contrattazione, con più elementi di mediazione tra lavoratori e imprese. Conclude l'incisivo discorso di Paola Agnelli Modica (CGIL): “l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) afferma che gli infortuni sono prevedibili, quindi prevenibili. Gli imprenditori facciano pure la competizione. Ma come? Sulla pelle dei lavoratori? Noi abbiamo un'altra idea di sviluppo: uno sviluppo di qualità. La sicurezza dei lavoratori non si può considerare come un mero costo. Si parla di informazione: ma come fa ad averla un lavoratore precario, e quindi ricattabile? Non è ingenuo lui: bisogna additare i veri responsabili che devono pagare. Anche attraverso le sanzioni”. Continua a voce alta la Modica: “momenti come questo non devono restare un momento. Non dobbiamo esigere eroi, proviamo a diventare un eroe collettivo”. Chiude con un saluto “a Vincenzo, a Biagio, a Michele, a Guglielmo, a Luigi”, prima dell'atto finale, un minuto di silenzio dalla fortissima carica emotiva. Al termine abbiamo avvicinato l'assessore provinciale Minervini, al quale abbiamo chiesto se c'è il timore di strumentalizzazioni di qualsiasi tipo, nel corso della imminente campagna elettorale. “Spero proprio di no. Spero che la politica raccolga nel modo più maturo possibile la sfida, la provocazione che queste morti ci lanciano, che sono una sfida e una provocazione nei termini di assunzione di responsabilità. La politica definisce le regole, e le regole sono indispensabili per costruire intorno al lavoro quelle condizioni di sicurezza che riaffermino il primato della vita dei lavoratori. Io spero che di questo anche in campagna elettorale in modo serio e responsabile si discuta, a partire da queste morti. Non di altro”. Da segnalare l'assenza, per quanto è stato possibile constatare, di una sola bandiera di partito, o comunque politica: oggi davvero queste vite non erano in vendita, e la loro morte proprietà di nessuno. Anzi, di tutti.
Autore: Vincenzo Azzollini
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Inizio questa mia discussione, prima di tutto rinnovando ilmio profondo cordoglio per le vittime di questo tragico incidente; poi vorrei continuare perchè come è solito accadere in Italia, certi episodi vengono strumentalizzati e diventano un buon motivo per scioperare. Le mie perplessità iniziano ponendomi questa domanda: "Quanti degli operai che hanno manifestato oggi pur avendo in dotazione dei DPI (dispositivi di protezione individuale) gli utilizzano?" Lavoro da tanti anni nel settore edile ed ogni giorno mi trovo di fronte ad operai che sono i primi a lavorare con superficilaità e leggerezza e quando si parla di sicurezza vien fuori il "supermen" che è dentro ognuno di noi che recita "tanto a me non succede nulla". La verità è che non abbiamo mai sentito parlare di sicurezza e nella nostra educazione civica il concetto di sicurezza sul lavoro non è radicato. Ci troviamo a lavorare in condizioni assurde a tutti i livelli dai datori di lavoro, agli operai ai tecnici. Oggi un tecnico che deve svolgere un ruolo di coordinatore della sicurezza si presta a firmare documenti che potrebbero mandarlo in carcere per poche centinaia di euro. Il problema è grave e non è con leggi severe che si risolve il problema. Ci vuole formazione ed informazione semplice e facilmente comprensibile, controlli frequenti ed incentivi fiscali per abbattere i costi della sicurezza che rapportati alle responsabilità da assumersi sono attualmente irrisori ed inaproppriati. Noi invece ci riempiamo di leggi, decreti e quant'altro e creiamo ancora più confusione. Spero che in futuro la normativa diventi più snella e comprensibile a tutti.

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