Di seguito la seconda e ultima parte del saggio sui vampiri iniziato nel numero precedente. Se doveste averlo perso peggio per voi. So già che il numero scorso di “Quindici” si vende al mercato nero per una cifra sbalorditiva, in euro naturalmente, ma esiste il bagarinaggio anche in questo campo.
D. A.
Ma perché i Vampiri escono di notte e temono la luce del giorno? Oggi la questione ci pare sin troppo ovvia, siamo stati così indottrinati dalle caratteristiche del Vampiro cinematografico che diamo quasi tutto per scontato. Ma provate a riflettere. Perché la notte? E perché la luce era per loro morte? Sulla notte la ragione pare ovvia, la notte è il buio, il buio è il massimo della paura, il buio che si identifica nella 'non conoscenza', e il Vampiro succhia il sangue-conoscenza che faticosamente l'essere umano acquisisce di giorno. Ciascuno di noi ha paura di ciò che non sa, e ciò che non sa è buio, e buio è la notte. E il Vampiro è la notte. Ma i non-morti possono far molta paura anche di giorno, basti rammentare il film 'La notte dei morti viventi' . Il primo assalto a un vivo da parte di un resuscitato, alquanto affamato, avviene di giorno. Ma l'effetto-paura è lo stesso.
Secondo alcuni medici moderni, la paura della luce e il fatto di bere il sangue nasce da una malattia che nel medioevo ha colpito molte persone. A causa dei frequenti incroci tra consanguinei, spesso si scatenavano malattie genetiche. Una di queste, che colpiva in prevalenza i bambini, era la 'protoporfiria eritropoietica' (e già il nome spaventa). Chi ne veniva colpito aveva una produzione eccessiva di porfirina, sostanza fondamentale per la produzione di globuli rossi. L'aspetto dei 'malati' era tutt'altro che... da malati, l'individuo era rubicondo, con la pelle rosseggiante (si rammenti che i succhiasangue vengono trovati nella tomba rosei e ricchi di sangue), ma avevano anche rossi gli occhi e addirittura i denti. Avveniva poi un fenomeno particolare. Le gengive e il labbro superiore si ritiravano mettendo in mostra maggiormente i denti. E naturalmente quelli che spiccavano di più erano i canini (anche se il vero revenant aveva tutti i denti appuntiti e in grado di mordere). Ma il guaio maggiore era per la pelle che, se esposta ai raggi del sole, tendeva facilmente a spaccarsi e a sanguinare. Per cui i medici di allora non potevano far altro che consigliare di tenere i malati lontani dalla luce, di farli muovere solo di notte. E di alimentarli con sangue per compensare quello che perdevano dalle ferite. E così il Vampiro è servito.
Ogni paese ha il proprio Vampiro:
- il Navalli, vampiro di cultura precolombiana messicano;
- il Nosferat, vampiro-bambino nato morto da genitori illegittimi, una credenza molto diffusa in Romania;
- il Kiang-si, terribile vampiro cinese;
- il Sa-bdag, il mostro-vampiro della religione autoctona Bo del Tibet;
- il Blood-sucker, vampiro medioevale inglese;
- il Nschzehrer, vampiro-masticatore di sudari, diffuso in Germania e Francia;
- il Vieszcy, vampiro del romanticismo tedesco;
e in Serbia c'è persino il
- Dhampiro, figlio non vampiro di una zingara e di un vampiro.
Quest'ultimo è molto particolare, in quanto dedica la sua vita a scoprire (li riesce a distinguere) i Vampiri e a ucciderli usando, mezzo insolito, il fucile o alcune formule magiche, ma il suo destino è segnato in quanto dopo la sua morte tornerà in vita proprio come Vampiro. E la Jugoslavia - come quasi tutti i paesi dell'est - è famosa per i suoi Vampiri. Basti solo rammentare la storia di Giure Grando.
Giure Grando era originario della cittadina di Coridigo. Ad un certo punto muore e viene sepolto. Ma la sera stessa della sua tumulazione si presenta davanti alla porta della sua casa e supplica la moglie Ivana di farlo entrare, ma questa, spaventatissima, non lo fa entrare. Allora il non-morto comincia a tentare altri parenti e amici. E all'improvviso nella cittadina comincia una serie di decessi inspiegabili. L'incubo dura addirittura sedici anni, e il paese viene ridotto a un unico camposanto nel quale i pochi sopravvissuti si aggirano terrorizzati e incapaci di reagire. Fu il Valvassore locale che pose fine alla vicenda. Prima incuriosito e poi preoccupato delle strane voci che circolano nella zona, fa interrogare i sopravvissuti e alla fine si decide di riesumare Grando. La sorpresa è davvero grande quando si scopre la bara e si ritrova il corpo dell'uomo roseo e ben in carne, come semplicemente addormentato. Eppure era sepolto da sedici anni! Non ci si perse in chiacchiere, si infilò un paletto di rosa selvatica nel suo cuore, lo si decapitò e si bruciò il tutto. E le disgrazie per Coridigo cessarono.
Secondo alcuni studiosi, - primo fra tutti P. W. Schmidt in 'Origine e storia delle religioni' - il culto dei morti ha avuto origine proprio per impedire a essi un indesiderato ritorno. Ciò ci spinge a credere che la cultura e la civiltà, la cui nascita si associa proprio al culto dei morti, abbia avuto origine nella preistoria per la semplice paura, e questo ci rammenta che un uomo in pace e tranquillo non ha mai fatto neanche un passettino avanti nel progresso. Una buona scarica di adrenalina e l'umanità fa un altro passo in avanti.
Come già accennato i bambini morti sono considerati probabili 'rinvenienti', per cui in alcuni paesi si prendono particolari precauzioni, come a Coggiola di Vercelli dove c'era l'usanza di mettere tra le labbra di un bambino morto un fiore rosso (meglio una rosa). Al giorno d'oggi spesso si mette tra le mani del bambino nella bara un rosario che ha due significati, il primo quello della croce che impedirebbe in ogni caso al revenant di tornare come Vampiro, il secondo riguarda i grani del rosario che rappresentano le spine della rosa che un tempo venivano infisse nel cuore e nella testa del morto per neutralizzare il potenziale Vampiro in lui.
Alcuni popoli, come gli Sciti, più sbrigativamente, i potenziali revenant se li mangiavano non per acquisire - ragione prevalente nel cannibalismo - la forza e l'intelligenza del morto, ma per avere la certezza di non trovarseli davanti assetati di sangue umano.
Un altro aspetto concomitante è in genere l'uso di un fiore: la rosa. Una rosa rossa si metteva tra le labbra dei bambini morti, con le spine di rosa si trapassavano il cuore e la testa dei morti, i cadaveri sospetti venivano cosparsi di rami spinosi di rosa selvatica, e più d'ogni altra cosa, era preferibile realizzare il paletto da infiggere nel petto del Vampiro in buon legno di rosa selvatica. E non a caso la rosa è essenzialmente un simbolo di finalità, di perfezione, il fatto che sia selvatica forse può esser interpretato nel senso che soltanto con la natura alla stato spontaneo si può combattere e vincere il non-naturale.
Stoker non fu il primo a scrivere del Vampiro, la letteratura gotica ne è stata ricca, un nome su tutti: Polidori, che scriveva Il Vampiro nel 1816 (ispirando tutt'oggi numerosi film). Leonard Wolf scriveva nel sui 'Appunti su Dracula' che Polidori ha dato alla letteratura universale il prototipo del Vampiro moderno, il classico nobiluomo solitario, brillante, gelido, ammaliatore, sin troppo distante dalla tradizione popolare che vedeva il revenant più come un mostro assetato di sangue che un annoiato e piatto e banale Vampiro-gentiluomo. Certo, pensate un po' a quella che dovrebbe essere la vita di un vampiro. Tutto il giorno in una bara, non sempre comoda, spesso con, per materasso, terra della sua terra, senza il piacere della visione di un tramonto, di una splendida giornata di sole o di una tremenda tempesta, e poi svegliarsi ogni volta a mezzanotte in punto, senza poter sgarrare, magari avendo voglia di poltrire qualche ora in più, e ancora alla ricerca di nettare, con tutti che non ti possono vedere, che ti danno appresso, con i cani che abbaiano e ti mordono, con il fatto che devi sempre muoverti in silenzio nelle zone impervie - non sarebbe immaginabile un vampiro che entri in casa dalla porta principale suonando e chiedendo della tale signorina -. E poi il vitto.... sempre lo stesso, mai nulla di solido nello stomaco, neanche una bistecca per una volta ben cotta e non al sangue.
Quello che poi mi sono spesso chiesto è che, se ai Vampiri crescono molto unghie e capelli, crescerà anche la barba, ma come diavolo possono radersi se gli specchi non rimandano la loro immagine? Forse per tutte queste ragioni sono sempre così tristi e poco socievoli.
Poi sul simbolo della croce per fermare i Vampiri ci sarebbe da riflettere.
Nell'antichità i suicidi venivano sepolti non in terra consacrata di un cimitero, ma fuori, all'incrocio di due strade, e sopra la loro tomba veniva infissa una gigantesca croce per impedire loro di tornare, poiché anche i suicidi erano aspiranti Vampiri. Sicché con la croce gli si impediva il ritorno. Mi viene in mente il film comico sui Vampiri di Roman Polanski 'Per favore... non mordermi sul collo', del 1967 in cui uno dei Vampiri era ebreo e a lui la croce non faceva alcun effetto.
Ma è tempo di concludere. Forse è tutta una sciocchezza, la storia dei Vampiri, forse c'è un fondamento di verità scientifica o semplicemente ci si vuol credere perché nel Vampiro si concretizzano le paure ancestrali e il male e il desiderio di vita eterna. Ma la vita eterna è davvero un sogno? E' davvero la meta a cui tutti agogniamo?
Il regista Herzog che forse per primo ha visto il Vampiro come un personaggio drammatico il cui dramma è proprio quello di essere eterno, afferma che: "(...) La morte non è il peggiore dei mali; ci sono cose ben più terribili. Il tempo è un abisso, profondo come mille notti. I secoli vanno e vengono. Non poter invecchiare è terribile. Puoi immaginare che si possa durare per secoli, e che si rivivranno tutti i giorni le stesse futilità?"
Forse è questo dramma che lega il Vampiro a noi, che ce lo fa odiare e amare, che ci fa gioire quando viene sconfitto... per noi... per lui.
Ma che lascia in tutti noi la certezza e il timore di un eterno ritorno.
Donato Altomare
Bibliografia.
- M. Introvigne LA STIRPE DI DRACULA, ed.Arnoldo Mondadori, Milano, 1997
- J. E. Cirlot, DIZIONARIO DEI SIMBOLI, Ed. CDE, Milano 1986
- AA.VV. DIMENSIONE X, ed. EDIPEM, Novara, 1982
- AA.VV. NEL MONDO DELL'INCREDIBILE, ed. Selezione dal Reader's Digest, Milano, 1980