Il treno dei bambini di Viola Ardone presentato al Fornari di Molfetta
Viola Ardone
MOLFETTA - Solo per il tuo bene, sempre per il tuo bene. Alzi la mano chi non ha mai pronunciato questa frase, chi, sapendo di dover ferire, ha anticipato, con questo anatema, un divieto, una imposizione, una condanna.
Amerigo ha pochi anni alla fine della Seconda Guerra mondiale, vive nei bassi di Napoli, ha una mamma che gli racconta di un padre lontano ed una povertà che impone ricerca continua di sopravvivenza. I sogni? Lui non può permetterseli. Deve pensare a trovare qualche espediente per contribuire al bilancio familiare.
Amerigo è uno dei tanti che viene fatto salire su un treno, quello che il P.C.I., per propaganda, finanzia, quello messo a disposizione di bambini meridionali in situazione di indigenza, che venivano affidati a famiglie comuniste del Nord Italia, affinché studiassero, fossero strappati alla fame, fosse restituito loro il diritto al sogno. Sua madre è di poche parole, di quelle donne che amano ma che il dolore ha fatto indossare loro la corazza dell’impenetrabilità dei sentimenti, nessun cedimento alla tenerezza e ad Amerigo è consentito salire su quel treno.
Una madre come tante, che vede al ritorno di quel figlio, un Amerigo diverso, sognatore, una madre che per troppo egoistico amore, per paura di perderlo, prova a recidere quel sogno. E perde un figlio, ritrovando lui e il suo sogno molto tempo dopo quando inizieranno a dirsi ti voglio bene, ma sempre in silenzio, senza che quella dichiarazione d’amore fuoriesca dalle loro labbra, rese serrate dall’orgoglio.
“Il treno dei bambini”, è il libro e Viola Ardone, l’appassionata tessitrice di questa storia, che nulla ha di subalterno alla storia ufficiale, che racconta di vincitori, di liberazione dal fascismo, della conquista della repubblica. Caso letterario non solo in Italia, il treno non poteva non fermarsi nella nostra stazione, complici Emanuella De Gennaro, Lilly Bellapianta e di tutte le docenti del Liceo Vito Fornari.
Metti una piattaforma informatica, un entusiasta dirigente scolastico, prof. Luigi Melpignano, decine di scalpitanti alunni, desiderosi di porre domande, curiosità, aneddoti sulla genesi della storia e un’autrice che non si risparmia, che con la sua dirompente, empatica napoletanità, si dona. Ed è subito feeling, quello di chi si riconosce dall’odore, quell’imprinting tutto meridionale che porta a tendere la mano prima di scorgere il volto, che sfocia nell’accoglienza, senza se e senza ma, ineluttabilmente. Il libro non è bello, è bellissimo, di una scrittura coinvolgente, scorrevole ma input di riflessioni profonde.
Perché solo un amore, solo uno, può portare a mettere su un treno un figlio, a privarsi del suo respiro, del suo odore, solo uno: quello di una madre che ha le spalle al muro, non ha scelta e se ne priva. Lo stesso devastante amore che porta una madre a mettere su un barcone il proprio figlio e seguirlo con lo sguardo e le preghiere affinché approdi in quel porto sicuro che è sopravvivenza. La privazione come estremo atto d’amore. L’assoluto, quello di una madre, una, tutte e centomila.
Viola Ardone ci prende per mano e ci conduce in un viaggio storico e di introspezione in cui ci si riconosce nella madre o nel figlio, alternativamente e simultaneamente, un viaggio che non finisce perché si parte, ci si ferma, si riparte. Come in una lunga storia d’amore.
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Autore: Beatrice Trogu