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Il quinto numero di Report
15 febbraio 2010

È uscito il numero 5 di “Report”, la Rivista dei Licei dell’ Istituto “Vito Fornari” di Molfetta. Il periodico, coordinato dal prof. Marco Ignazio de Santis, si avvale di un Comitato di Redazione composto dai professori Maria Giovanna Calamita, Massimo Marino Memola, Maria Luigia Petronelli e Rosanna Salvemini. Dirige l’Istituto il prof. Rodolfo Nicola Azzollini. Seguo ormai da anni questa pubblicazione che si distingue per la varietà degli argomenti, per la serietà della documentazione prodotta, e per l’approccio critico adottato. Direi che è proprio quest’ultima caratteristica a qualificare questo lavoro, frutto dello sforzo comune di docenti ed alunni. Auguriamoci che possa continuare e che il professor de Santis possa esserne ancora coordinatore, diversamente da quanto annunciato nel “commiato”. La rivista si articola in cinque sezioni: I giovani e la legalità, Ricerche, Esperienze, Progetto Lettura, L’angolo creativo, Attività varie; all’interno di ognuna i giovani delle varie classi, singolarmente o in gruppo, e con l’assistenza del docente di riferimento, hanno sviluppato un tema più specifico. Bella la copertina di Pasquale Modugno e densa di significati: i lucchetti infatti, possono chiudere una prigione, ma anche custodire un tesoro. Penso che la Rivista si possa prestare a due chiavi di lettura: la prima, schiettamente tecnico – didattica, si manifesta in alcune opzioni di fondo, quali ad esempio, la scelta di informare la collettività dei genitori (ma non solo, direi tutta la città), del lavoro svolto presso i vari Licei, la collaborazione fra docenti ed alunni in vista di una reciproca crescita formativa, insomma l’attenzione a tutto quanto attiene ad una Scuola che voglia aprirsi alla società, coglierne i fermenti più significativi, e per così dire, “riconsegnarli” alla comunità come testimonianza di impegno, non solo scolastico, ma anche civile. La seconda è di tipo schiettamente politico, intendendo naturalmente il termine nella sua accezione più alta. Intendo dire, e confesso che la cosa mi ha colpito, che dovunque emerge con evidenza una situazione di disagio e di sfiducia nei confronti delle tenuta democratica della nostra Repubblica. Riporto alcuni esempi, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo. A proposito del terremoto dell’Aquila: “Tante parole. I politici sbandierano comprensione e solidarietà, ma cosa accadrà domani? Domani ci sarà il silenzio, perché è così che è sempre stato”. A proposito delle violenza sulle donne, si citano le parole, inaudite, del signor Berlusconi: “Anche in uno stato, il più militarizzato, una cosa del genere può sempre capitare. Dovremmo avere tanti soldati, quante sono le belle donne”. Sul mondo del lavoro, e sulle sue vittime: “La legge n. 30, detta Biagi, ha una grande responsabilità nelle “morti bianche”, poiché un precario è un candidato naturale a morire sul lavoro… Questa è la nuova via del capitalismo italiano, assistito dallo Stato e supportato dai sindacati”. Sul ruolo nefasto della televisione nel diffondere false notizie, e nel distorcere quelle vere: “Cuociamo a fuoco lento in una società che va rendendo elitario il poter esprimere un parere… In un mondo dove le nostre menti vengono manipolate da coloro che reggono i fili della informazione televisiva, non ci resta che una scelta: rassegnarci ad un futuro di falsa libertà di pensiero, o ribellarci e guardarci intorno con attenzione”. Infine, lapidarie, le parole di Tiziana Palazzo, vedova di Sergio Cosmai, Direttore del Carcere di Cosenza, ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1985: “Lo stato così com’è, non mi piace”. Ognuno tragga da quanto precede, le conclusioni che crede, e non è certamente questo il luogo per discutere su un malessere che i giovani, con la loro consueta spontaneità, hanno così bene espresso. Vorrei solo aggiungere una mia breve considerazione. A proposito del “mitico” ’68, i professori Marco Ignazio de Santis e Rita Finzi, intervistati dai ragazzi, hanno ben delineato le differenze tra quel movimento di protesta giovanile, e quello provocato recentemente dai provvedimenti della ineffabile signora Gelmini. Direi che un’altra differenza, e non da poco, consiste nella concezione di quella entità, per convenzione chiamata Stato, egualmente contestata, allora come adesso. Ebbene, ora i giovani ritengono che lo Stato, per quanto malato, possa essere comunque curato: allora si teorizzava che esso “in quanto tale” era incurabile e andava abbattuto. Ritengo entrambe le posizioni meritevoli di discussione, anche se sulla seconda sembra essere caduto un velo d’oblio, anzi una totalitaria “damnatio memoriae”. Purtroppo per lui, chi si affanna a scoprire gli scheletri negli armadi degli altri, non riesce ad occultare i propri sterminati cimiteri.

Autore: Ignazio Pansini
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