Il fantasma dell'opera d'arte
Una delusione “L'incognita dell'altro”: grandi annunci, poca sostanza
Politicizzare l'arte è un abbaglio: non è di destra o di sinistra, è Arte.
Un quadro, una foto, un disegno non acquistano maggiore qualità facendo parte di un'esposizione patrocinata da un'amministrazione di destra o sinistra.
Interpretare e valutare l'arte è operazione personalissima oltre che difficile: si è discusso sull'abilità e sui “modi” di un Caravaggio, e da allora tutto è in ballo.
Questo discorso vale e si rafforza nel caso del Novecento, che ha creato forme nuove per esprimere spesso messaggi di rottura, descrivendo un secolo carico, ahinoi, di tanta morte e disperazione.
Queste righe si rivolgono a tutti coloro che vogliono far schierare l'arte o renderla strumento di mediazione di pubblico consenso, caricando di eccessiva enfasi ogni avvenimento.
Parliamo comunque della mostra “L'incognita dell'altro”, allestita presso la Sala dei Templari del 25 maggio al 20 giugno 2002. Non si tratta di un fenomeno senza precedenti, né di un incontro dei più grandi del Novecento, perché non è così, e “così” rischiamo di fuorviare il pubblico.
Più corretto sarebbe affermare che tredici artisti del Novecento, tra cui solo alcune personalità di vero rilievo, si sono incontrati nello splendido (questo sì) scenario della rinnovata Sala dei Templari, tra luci suggestive e antichi resti del suo glorioso passato.
Preciso che promuovere una mostra è sempre qualcosa di positivo, in questo caso per confrontarsi con nuovi modi d'espressione contemporanea e porsi delle domande sul nostro stare al mondo, e il nostro vivere in relazione all'Altro.
Ma facciamo un passo indietro.
Era un pomeriggio d'inizio maggio, il sole accarezzava la città coi suoi primi respiri estivi. Il mio sguardo veniva attratto da un tabellone pubblicitario all'altezza dell'incrocio di Via Terlizzi: un'opera di Man Ray (Nero e Bianco) che annunciava un'esposizione d'arte internazionale a Molfetta.
Quasi sbalordito decidevo di saperne di più e qualche giorno dopo entravo in possesso di una delibera della nostra giunta che patrocinava la mostra “L'incognita dell'altro”, organizzata dall'Associazione Culturale “Artistica”.
Patrocinio condito da 8.000 euro, come recitano le carte della giunta. Ad ogni modo l'iniziativa appariva lodevole, dato che era molto tempo che Molfetta non si ergeva a sede di una mostra.
Da appassionato e soprattutto studente universitario di storia dell'arte, ero in fibrillazione in previsione dell'apertura fissata per il 25 maggio, invogliato dai tabelloni sparsi per la città che illustravano le opere ospitate alla Sala dei Templari.
Povero il forestiero che non troverà mai la suddetta “Sala”, non segnalata adeguatamente e nascosta in Piazza Municipio…
Superato l'inconveniente finalmente potevo entrare a godermi lo spettacolo!
S'era detto grande mostra d'arte contemporanea, pubblicizzata in città e sui giornali (vedi l'inserto “Bari” di Repubblica e “La Gazzetta del Mezzogiorno), ma in realtà, tutto ciò pare eccessivo.L'arte non ha bisogno di apripista. L'opera e il fruitore devono essere in unione cerebrale e interrogarsi.
La cosa per cui essere turbati è però un'altra: dove sono finite le opere mostrate sui tabelloni di Via Terlizzi (la già citata “Nero e Bianco” di Man Ray) e dell'ospedale (”Pinealissima” di Ontani)?
Alla sala dei Templari non ci sono. Questo fenomeno mi ha inquietato, è davvero misterioso il motivo di questa scelta singolare. “E' un bluff?”, mi sono chiesto.
Del tanto annunciato Man Ray restano solo due fotografie con nudi femminili, specialità nella quale il grande rappresentante dell'avanguardia parigina degli anni Venti si è cimentato con risultati stimolanti e accezioni surrealiste.
I due ritratti di Warhol sono da segnalare ma globalmente la mostra non pare essere di quelle indimenticabili, poca sostanza e molto contorno, pur considerando che l'opinione tecnica è discrezionale e molto personale. Ma la coppia di nudi che dovrebbe in qualche modo (confronto? ironia? polemica?) ricordarci la “Pietà” di Michelangelo…
Infine una curiosità senza vena polemica: gli ottomila euro di contributo comunale paiono una cifra un po' misera, possibile siano stati sufficienti per l'agenzia, i tabelloni pubblicitari, per far arrivare tutte le opere e coprire ogni spesa ordinaria e straordinaria? Se è così speriamo che le mostre a Molfetta diventino una piacevole abitudine.
Una richiesta: perché non aprire la mostra in intervalli orari maggiori, per una migliore fruizione e al fine di spingere la città verso una dimensione maggiormente turistica?
Misteri, o forse “Incognite”…
La speranza è che si prosegua nella promozione dell'arte nella nostra città, assetata di progetti culturali realizzati in modo serio.
L'arte si promuove da sé, non ha bisogno di campagne elettorali.
Michele Bruno