Il capitale più importante è quello umano
È difficile condividere l'esistenza di un bene considerato comune. Si ritiene che in una società multiculturale non si possano individuare valori sociali condivisi e che parlare di bene comune significhi riferirsi ad un bene astorico: con la corruzione nel mondo finanziario e la recessione economica questa nozione ha assunto un nuovo valore etico-sociale. Durante il dibattito “Per il bene comune: un'etica economia o una economia etica?”, il prof. Rocco D'Ambrosio (docente di filosofia politica presso la Pontifica Università Gregoriana di Roma e presso la Facoltà teologica Pugliese) ha citato la definizione presente nella “Gaudium et spes” (1965): «Il bene comune è l'insieme delle condizioni della vita sociale, che permettono ai singoli come ai gruppi di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente. […] Occorre che siano rese accessibili all'uomo tutte quelle cose necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a scegliere liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all'educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso». Insomma, un agire positivo, attivo, che responsabilizza tutti e riguarda l'intera vita della persona e tutte le dimensioni della comunità. Propedeutici per la sua realizzazione sono, ad esempio, la destinazione universale dei beni, la condanna del profitto come fine del capitalismo, il recupero della dignità del lavoro, l'umanesimo plenario, ma anche la democrazia, che implica dialogo e confronto, la prudenza, che relaziona libertà di azione e responsabilità, la speranza intesa come metodo, condivisione e senso dell'impegno, il discernimento ed il sacrificio, vissuti come la fatica di comprendere e scegliere le vie opportune (“Populum progressio”, 1967). L'economia può essere «sorgente di fraternità, posta al servizio dell'uomo, perché occasione di scambi concreti, di diritti riconosciuti, di servizi resi, di dignità affermata nel lavoro» (“Octogesima adveniens”, 1971): ma «rischia di assorbire, se eccede, le forze e le libertà», ragion per cui «si palesa necessario il passaggio dall'economia alla politica», perché lo Stato deve correggere e regolamentare il sistema economico- finanziario. Siamo di fronte alla finanzializzazione dell'econo mia (prof. Luigi Palombella, ndr) che sposta l'attenzione dal mondo della produzione a quello della finanza: il sistema economico non favorisce lo sviluppo ed il corretto funzionamento del mercato, ma «e bolle speculative e l'innalzamento dei rischi». Si colgono, da un lato, le motivazioni per cui la crisi ha colpito gli investitori più deboli e non i potenti o “cattivi samaritani” (Chang, ndr), ovvero gli occidentali che impongono al resto del mondo l'applicazione di misure neoliberiste e monetariste controproducenti. Dall'altro, la massimizzazione dell'individuo nelle relazioni interindividuali (la logica utilitaristica e la solidarietà a costo zero) ed il mito dell'efficienza, valore paradigmatico nella convivenza umana (assenza del rispetto per i bisogni fondamentali dell'uomo) e nella concezione del progresso. Preoccupante è la subordinazione della politica alla finanza deregolamentata, che, nata negli Stati Uniti, è uno dei principali motivi della crisi economica: i problemi di compatibilità tra democrazia politica e potere arbitrale della finanza hanno, infatti, provocato il rifiuto della forma “Corporate social responsibility”, che obbligava le aziende a realizzare azioni socialmente responsabili. Di conseguenza, la degenerazione dello stato sociale ha trasformato i bisogni umani in servizi e l'economia si è disgiunta dalla persona e dalla sua coscienza morale. In una pagina del Wall Street Journal si ammette che «con la diffusione del commercio, degli investimenti esteri e della tecnologia, il divario economico tra abbienti e meno abbienti si è generalmente esteso »: non sorprenderà, quindi, sapere che tra gennaio e febbraio 2009 si è registrato un aumento del 46% del numero di lavoratori che hanno presentato all'Inps domanda di indennità di disoccupazione o sapere che nel quarto trimestre 2008 il Pil ha registrato una flessione del 2,9%, la più negativa dopo il 1980. È necessario operare un'economia per l'uomo, lontana dall'irresponsabile cultura del dominio, che sappia coniugare il legittimo profitto con il rispetto della natura. Papa Benedetto XVI si è riferito alla referenza morale valoriale quale fondamento per un'economia che sia «far bene le cose» (corretta distribuzione dei beni prodotti e crescita positiva dell'uomo, che è fine e non mezzo) e «fare le cose buone» (offrire qualità e tipicità per la vita e la salute delle persone e dell'ambiente). Un'economia comincia a decadere quando i rapporti umani sono ridotti alla situazione di dipendenza donatore-beneficiario e la persona è posta al servizio delle leggi di mercato, e non viceversa. L'anormalità del sistema finanziario degli ultimi 15 anni ha trasformato il mercato nel luogo dell'indifferenza e della disgregazione sociale, i cui originari codici etici sono divenuti mero fatto esornativo: «l'atto economico non sarà più tale se nella sua attuazione sarà inficiato da azioni di natura immorale, quali lo sfruttamento della mano d'opera, la cattiva esecuzione dell'opera, l'abuso delle risorse materiali e del denaro» (“Economia e morale”, don Luigi Sturzo). Più che le parole, occorrono i fatti. Occorre non solo comunicare la cooperazione globalizzata in un mondo individualista e concorrenziale, in cui esiste solo l'Io-aziendale, ma anche capire che il capitale più importante è quello umano nelle sue qualità intellettive e morali. La società civile manifesta il bisogno di trasparenza, equità e reciprocità, giacché il consumatore, durante l'acquisto, considera le azioni e le reazioni del prodotto e pretende garanzie di produzione e di qualità e rassicurazioni sull'eticità del produttore e del distributore. L'economia deve essere riscoperta come strumento di produzione di beni e servizi, finalizzati a soddisfare i bisogni di molti, non al profitto fine a se stesso per pochi.
Autore: Marcello la Forgia