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Guglielmo Minervini e la primavera pugliese
15 ottobre 2015

Sul numero di agosto 2015 de “Lo Straniero”, rivista mensile diretta da Goffredo Fofi, Guglielmo Minervini ha concesso una lunga intervista al giornalista e scrittore Alessandro Leogrande, intitolata “Puglia e Italia, i nodi della politica”. Il testo ripercorre la sua esperienza di assessore regionale, prima alle Infrastrutture e Trasporti e poi alle Politiche giovanili, Trasparenza e Legalità. Ma, aldilà dei suoi ruoli istituzionali, Minervini traccia una breve ma densa storia della vita economicopolitica e sociale della nostra regione nell’ultimo quindicennio, ancor prima di quelle primarie del 2005, che videro l’inattesa vittoria di Nichi Vendola. Alcuni fattori avevano, comunque, predisposto la società civile a cambiar pagina: il crollo del comunismo sovietico e di obsoleti steccati ideologici, le prime avvisaglie di quella che sarà la tragedia epocale delle migrazioni, l’episcopato di don Tonino Bello, breve ma straordinariamente profetico; infine l’inettitudine delle ultime amministrazioni di centro-destra. C’era bisogno di cambiamento, la Puglia voleva il cambiamento; sulla coesistenza dialettica di queste due situazioni, una soggettiva, l’altra “nelle cose”, si articola tutta l’analisi di Minervini. I primi cinque anni di governo assistettero alla realizzazione di importanti riforme in campo economico, amministrativo, urbanistico e sociale. In piena palude berlusconiana, la nostra regione agiva in controtendenza, divenendo un laboratorio esemplare per il resto del Paese. Guglielmo non manca di accennare anche a quelli che, a suo parere, furono degli errori, a cominciare dal grande buco nero della sanità. Non si volle “osare” e si preferì riconsegnare una parte cospicua della gestione ai vecchi sistemi di potere. La mediazione si avvicinò al punto di rottura rispetto alle aspettative di riforme. Resta da vedere se la giunta avrebbe “tenuto” politicamente a fronte di svolte radicali negli apparati apicali del personale e nelle dislocazioni delle risorse finanziarie. Il Nostro ritiene, ed è un punto nodale del suo ragionamento, che i numerosi e virtuosi processi di cambiamento innescati dal nuovo governo, sembrarono, ad un tratto, correre più velocemente di quanto una parte dell’amministrazione fosse disposta a gestire ulteriormente. E si arriva al 2009, con il rimpasto, con la Puglia che fatica a completare il ciclo delle grandi riforme e con il tentativo di Vendola di svolgere una leadership nazionale. È evidente che il fallimento di Nichi va imputato a diversi fattori, a cominciare dai nuovi equilibri di potere che erano in gestazione, sottratti alla percezione pubblica e che si possono riassumere nelle trame dell’establishment italiano volte ad assicurare una successione “gradita” e indolore al ventennio berlusconiano, nel bel mezzo di una grave crisi economica di dimensioni planetarie. Guglielmo insiste nel sottolineare che lo scacco di Vendola è da addebitare ad un tardivo arroccamento sui valori identitari della sinistra storica ed anche ad una sottovalutazione delle potenzialità che la primavera pugliese avrebbe da sola potuto giocare sullo scacchiere nazionale. Si dilunga anche nell’enumerare i settori nei quali il governo regionale, quando “carburava” bene, raggiungeva i risultati più qualificanti: turismo di qualità, governo e tutela del territorio, innovazione industriale, investimenti nell’alta tecnologia, razionalizzazione e valorizzazione di molte filiere agricole, politiche giovanili di sostegno alla imprenditorialità, diffusa fruibilità di cultura e arti. Un patrimonio straordinario, ma non consolidato una volta per tutte e non uniformemente distribuito su tutta la regione. È con altrettanta onestà, enumera alcuni tra i principali nodi irrisolti: l’Ilva di Taranto, la disoccupazione giovanile, il caporalato. Questa lunga intervista va letta, a mio parere, per due motivi fondamentali. Innanzitutto, perché costituisce un’intensa e articolata rivendicazione di una grande sfida politica e sociale, che ha visto lo sforzo quotidiano di un manipolo di amministratori onesti e di una moltitudine di collaboratori oscuri quanto disinteressati. È un grande patrimonio che, come tutte le cose umane, è soggetto inesorabilmente al cambiamento, quale che ne sia la direzione, anche se ha sedimentato in moltissimi pugliesi, soprattutto giovani, la convinzione che il cambiamento è possibile, a patto di mettersi in gioco e di avere la consapevolezza che, al netto di un’eventuale sconfitta e magari con una valigia in mano, rimane comunque l’orgoglio di non aver bussato a porte sospette. Il secondo motivo è schiettamente teorico, attiene alle modalità dell’agire politico che sono tipiche di Guglielmo e che sottendono tutto lo scritto, il quale, per lo spessore e la lucidità delle idee messe in campo, va oltre l’episodicità occasionale di una mera intervista. Con l’evidente e stimolante complicità di Leogrande, il Nostro traccia una sorta di “discorso sul metodo” che meriterebbe un’ampia discussione critica, ma del quale mi preme solo accennare un aspetto che ritengo rilevante. Più volte, nel corso dell’intervista, Minervini afferma che il comportamento di Vendola e il suo tentativo di conquistarsi una leadership nazionale, arroccandosi su progetti minoritari e ideologicamente obsoleti, abbia concorso in maniera determinante a “rompere il legame di fiducia che in politica, ormai, è il fondamento di reputazione”, e che da quel momento “la Puglia ha cominciato a sentirsi tradita”. Ebbene, personalmente ritengo che in politica il conseguimento o la perdita della “fiducia” sia indipendente dal livello di eticità praticato da chi detiene il potere, ammesso che un tale livello sia definibile e posto che spesso quel termine costituisce soltanto la nobilitazione dell’interesse personale e del proprio “particulare”. Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che ad ottenere la “fiducia” (magari in grandissima quantità) sia sovente un ceto dirigente che molto eufemisticamente potrebbe definire poco cristallino. La fiducia o, nel nostro caso, la dislocazione del consenso elettorale, prescinde da quella che si definisce genericamente una buona e onesta gestione della cosa pubblica e dipende, in larga parte, dalle decisioni dei poteri forti, più o meno legali (e oggi globalizzati), dalla scarsa coscienza civile, dalla influenza deimedia opportunamente pilotati, dalla persuasione diffusa nelle classi più basse dell’immutabilità delle proprie condizioni, indipendentemente dal gradiente “etico” del potere di turno. La fiducia può anche ottenersi con l’adozione di una politica giacobina adottata da una minoranza agguerrita e decisa che in qualche maniera si impadronisce delle leve del potere e vara, in brevissimo tempo, misure radicali. Il Novecento è cosparso di questi tentativi, quasi tutti finiti molto male per il sabotaggio, armato e non, delle destre. Il problema fiduciario, chiamiamolo così, non riguarda il popolo che vuole il proprio bene individualmente inteso e molto meno quello generale della “polis”, ma chi e come governa. Guglielmo ha recentemente dichiarato che il Partito Democratico ha subito una “mutazione genetica”. Se, come sembra, riferiva a quel partito una tipizzazione irreversibile e devastante di quel fenomeno biologico, è evidente che si apre per lui e per le centinaia di migliaia di italiani che come lui la pensano, uno scenario nuovo e non ben definito. Per il momento si naviga per “terre incognite”. Vorrei solo ricordare, concludendo, che Tsipras in Grecia ha dovuto piegarsi ai diktat delle banche centrali. E se non l’avesse fatto e avesse spinto a sinistra? Esiste in Europa il pericolo di una soluzione “cilena” a fronte di un Paese che insorge seriamente contro l’impoverimento progressivo e non si lascia intimidire dai tentativi più o meno violenti di ristabilire l’ “ordine” dei più forti? Questa è una bella domanda che noi, insieme a tutta l’Europa autenticamente democratica, dovremmo porci, mentre contempliamo tristemente il signor Renzi Matteo, gongolante per gli applausi deliranti che riceve dalla Confindustria, da Marchionne e dalla finanza europea

Autore: Ignazio Pansini
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