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Gaetano Salvemini e Molfetta nel 1911 L'inchiesta repubblicana, il “fascio democratico” e il sindaco De Nichilo “1080”
15 luglio 2006

Nel marzo 1911, per incarico della Direzione del Partito repubblicano Italiano in Roma, l'avv. Manlio D'Eramo compì a Molfetta una inchiesta riguardante il dissidio insorto tra la sezione repubblicana della città, presieduta dal sindaco dott. Mauro De Nichilo, e il Circolo “Pensiero ed Azione”, fondato nel febbraio 1910 da alcuni repubblicani contrari al De Nichilo (“Corriere delle Puglie”, 20 febbraio 1910). Gran parte dei componenti il Circolo andò poi contro il deputato repubblicano Pietro Pansini, amico del Sindaco, al quale si imputava di sostenere l'Amministrazione comunale denichiliana, e ideò quindi di presentare a Molfetta Gaetano Salvemini, amico tra l'altro del presidente del Circolo Giamberardino Tattoli, per il quale si raccolsero persino denari per la candidatura nella elezione di Albano di due mesi dopo. Questo dissenso nel partito portò inoltre i repubblicani di Molfetta a presentarsi come avversari nelle elezioni amministrative del 10 luglio successivo (v. “Quindici” di lug.-ago. 2004), in cui prevalse la “repubblica”capitanata dal De Nichilo. Questi poi venne accusato dalla parte avversa di essersi alleato coi clericali per quelle elezioni e di aver usato “male arti” per farsi eleggere Sindaco in occasione della votazione al Consiglio comunale. L'inchiesta che fu fatta su questi e altri fatti dall'avv. D'Eramo, essendo di carattere interno, non fu pubblicata. Alcune sue conclusioni furono rese note nella “Relazione della Commissione incaricata dal Comitato centrale del P.R.I. di una inchiesta sulla elezione di Molfetta del 26 ottobre 1913”, pubblicata ne “L'Iniziativa” di Roma, del 31 gennaio 1914 (ora in “Corrispondenze pugliesi” di G. Salvemini, Molfetta, Mezzina, 1989). L'avv. D'Eramo, comunque, tornato a Roma, mandò le copie dell'inchiesta a Molfetta, e di ciò dette notizia a Salvemini, allora Professore a Pisa, il consigliere comunale socialista e compagno dei repubblicani dissidenti Alessandro Guidati, che così scrive il primo aprile a Salvemini: “Carissimo, l'avv. D'Eramo ci ha mandato le copie dell'inchiesta: da sole bastano a liquidare qualunque partito. Da molti repubblicani poca fiducia si ha dell'inchiesta; ed io ho piacere che tutto finisca in una bolla di sapone, e tanto perchè una buona volta dai dissidenti si abbia la prova lampante della malafede dei repubblicani di Roma. Così soltanto si andrà alla demarcazione completa dei partiti. E bisogna lottare ed aver fiducia. A me interessa però aver con te un abboccamento a Roma, per concretare tutto un piano di lavoro, onde assicurare nelle prossime lotte la piena libertà dei cittadini. Rispondimi subito e disponiti a fare una buona volta qualche cosa per noi. Possibilmente di far […] i risultati dell'inchiesta” (G. Salvemini, “Carteggio 1911”, Manduria, Lacaita, 2004). Il punto mutilo nell'originale della lettera non consente di interpretare bene la richiesta del Guidati, dopo la quale, sul periodico politico-amministrativo “Fascio democratico”, stampato allora a Molfetta dalla Tipografia Guglielmo Panunzio, fu pubblicato, il 28 aprile, un avviso commerciale satirico: “Ricerca offerte di lavoro”, in cui si tira in ballo il deputato Pansini come “commesso viaggiatore residente a Napoli, dove tratta tutti i generi. Ottiene agevolazioni ed esami in tutti gli istituti del regno, promuove distribuzioni di licenze, assicura la riuscita in qualunque concorso, consegue grazie, condoni, libertà provvisorie, scarcerazioni, esoneri da tasse, distribuisce commende e titoli onorifici, assicura l'immunità, si occupa di promozioni, destituzioni, traslochi. Nessuno - si dice infine - ricorse invano al suo ausilio”. La “succursale” del Pansini a Molfetta – continua a dire l'avviso - era “il rappresentante locale Mauretto” il Sindaco, al quale bisognava appunto rivolgersi per schiarimenti. Il 30 aprile seguente, prendeva le difese dell'on. deputato il giornaletto repubblicano “Il Popolo”, che sfidava ad uno ad uno gli ultimi arrivati nel miserabile campo antipansiniano a smentire di non essere ricorsi non una volta ma cento volte all'opera disinteressata del Pansini, al quale “la dirittura della coscienza, l'adamantinità del carattere avevano fruttato la estimazione di tutti i colleghi, per cui Egli poteva maggiormente senza nulla concedere, rendere benefici anche ai suoi avversari, e seguitare la sua opera indefessa in favore del popolo molfettese, senza curare i vecchi ed i nuovi avversari”. Ritornando all'assalto del numero del 14 maggio, il “Fascio democratico” evidenziava che se i signori del “Popolo” asserivano che molti erano i benefici del “deputato” Pansini verso amici ed avversari, voleva dire che egli non disdegnava trattare con i poteri costituiti sotto la dinastia sabauda e che non rifuggiva di ricorrere, usufruendo dell'influenza che gli derivava dalla carica di deputato, alle costituite autorità del “Regno Italico”. E perciò si chiedeva: “E' questo decoroso per un deputato indipendente, repubblicano, e per conseguenza sostenitore della pregiudiziale antidinastica?”. A questa domanda i “repubblicani” risposero il 21 maggio con un foglio volante (“Per Pietro Pansini”) in cui accusavano gli avversari di essere colpevoli della più nera ingratitudine, perché “inveite – si dice - contro un Uomo che vi ha beneficato”. “Se così pensano e parlano i repubblicani, cosa penseranno mai i monarchici?” commenta Salvemini pubblicando ne “La Voce” del 20 luglio 1911 (“Le fatiche di un deputato repubblicano”, ristampato in “Scritti sulla questione meridionale” Torino, Einaudi, 1955) questo frammento di vita pubblica molfettese, della quale mostrò di essere rappresentante di tutt'altro tipo Francesco Picca, che alla proposta fattagli da Salvemini, di far parte di una commissione pubblica, rispose il 23 luglio 1911: “Carissimo Gaetano, grazie del pensiero che hai di me. Credo però di non poter accettare perché credo che un repubblicano per quanto socialista non possa accettare nessun incarico da un governo monarchico, e perché se la carica è a pagamento quel denaro mi ripugnerebbe” (lettera inedita in “Archivio Salvemini”, Istituto storico della resistenza in Toscana, Firenze). Curatore di “Frammenti di vita politica italiana” sulla Rivista di Giuseppe Prezzolino, Gaetano Salvemini gli mandò il 26 agosto 1911 da Boscolungo Pistoiese, dov'era in vacanza, “alcuni frammenti da tenere in serbo per tappare qualche buco. Ce n'è però uno sul colera a Molfetta – egli scrive - che documenta il mio articolo dell'anno scorso: il sindaco nominò se stesso medico del colera e si assegnò 1080 lire” (“Carteggio” cit.). Il frammento, che “non risulta sia stato pubblicato”, annota Sergio Bucchi, riguardava un fatto denunziato dal “Fascio democratico” il 20 agosto con l'articolo “Il colera fonte di lucro per il Sindaco De Nichilo. (90 giornate a lire 12: complessive lire 1080)”. Dopo aver già criticato sul numero del 30 aprile l'opposizione accanita del sindaco De Nichilo a non volere una inchiesta sul carrozzone delle spese del colera, il “Fascio democratico” accusava ora lo stesso Sindaco di aver disposto ed eletto se stesso impiegato del comune per 90 giorni ed ordinato ed assegnato a se stesso il compenso appunto di lire 12 giornaliere, assegnandosi complessivamente lire 1080 per l'opera svolta durante il colera. Per questa opera poi egli aveva accettato anche i tributi della riconoscenza popolare, gli onori, le feste, le medaglie e l'appellativo, pomposamente lusinghiero, di “Padre del popolo”. Che l'Amministrazione comunale e per essa il suo duce onnipossente, il sindaco De Nichilo, - commenta il giornale - avesse occupato, durante il luttuoso periodo epidemico che afflisse Molfetta, la banda dei suoi galoppini elettorali, e la facinorosa ragazzaglia della Sezione Repubblicana, era cosa che, pur suscitando indignazione e protesta, poteva a lungo andare passare liscia ed essere sopportata, a causa dello spesso succedersi di cotali esempi di spudorata partigianeria, accompagnati quasi sempre da sperpero inconsiderato di pubblico denaro”. Lo stesso Salvemini, del resto, nel suo articolo “I tumulti di Molfetta” apparso su “La Voce” del 20 ottobre 1910 (ripubblicato anche in “Movimento socialista e questione meridionale”, edito da Feltrinelli), aveva scritto che “per l'amministrazione comunale il colera era stato una specie di manna miracolosa”, in quanto “si potevano avere molti quattrini dal governo per combattere la epidemia, e con questi quattrini si potevano contentare molti amici con uffici straordinari, indennità, sussidi, ecc. ecc.” (v. anche “Quindici”, gennaio 2006). “Ma che il Sindaco De Nichilo, proclamato padre del popolo e medagliato per l'opera prestata, calpestando ogni elementare norma di decenza amministrativa, arrivasse ad impiegare se stesso, e ad assegnarsi per 90 giorni la diaria di lire dodici – scrive ancora il “Fascio democratico” - è cosa che rivolta lo stomaco, e che per la sua gravità rifugge a qualunque più vibrato commento”. E concludendo l'articolo, “Voi, Sindaco De Nichilo, - scrive il redattore - e d'ora innanzi vi chiamerò “Sindaco 1080”, a somiglianza degli altri medici privati, voleste assegnarvi un compenso materiale in denaro, ed il popolo pagandovi null'altro vi doveva. Se gratitudine ed ammirazione vi si dovesse, questa dovrebbe esservi data dall'istituto, che affermate di volere beneficare e non dal popolo, che vi ha pagato ed a profusione”. Dopo, infatti, l'atto indecente denunziato dal “Fascio democratico” si corse al riparo adducendo a discolpa che il “Sindaco 1080” avesse destinato la somma a pro di un istituto di beneficenza. Ma la trovata edificante non ha la virtù di commuoverci – scrive il giornale, che, astenendosi da commenti ulteriori, lascia giudicare al pubblico della serietà di certe giustificazioni dell'ultima ora, propalate dai soliti turiferari, tanto per gettare un po' di polvere negli occhi ai gonzi e agli asserviti” (v. fotoriproduzione dell'articolo in “Il Giornale dei Giornali. Molfetta 125 anni di informazione”, a cura della Scuola Media “Pascoli”, Molfetta 2000).
Autore: Pasquale Minervini
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