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Festa della matricola e ricordi di gioventù
15 dicembre 2005

Fino agli anni '60 gli universitari molfettesi aderenti al Circolo Goliardico con sede presso il Palazzo Cappelluti esternavano la loro goliardia con varie manifestazioni. Queste duravano tre giorni e si concludevano con la sfilata di carri allegorici. Il Circolo curava anche un ciclostilato dal titolo “Clerici vagantes”. Dopo c'è stato un declino della goliardia ed oggi i giovani sono attratti da hobbies e divertimenti diversi, sicché il solenne ingresso nell'Università ha perso il significato di un tempo. Il Devoto spiega “goliardo” (francese goliard) con il nome Golia, dato ad uno o a tutti i rappresentanti della cultura opposta a quella della Chiesa (come Golia fu l'avversario biblico di David, capostipite di Cristo). E ricorda l'uso medievale di raffigurare il diavolo con la gigantesca figura di Golia. La cultura della Chiesa era stata nell'alto medioevo sostanzialmente unitaria, ma poi in essa gl'indirizzi di pensiero si differenziarono e forse si deve ai clerici vagantes l'elaborazione d'un modo di pensare e scrivere contrastante con essa e celebrante l'eros e i godimenti di taverna Clerici erano detti nel medioevo tutti coloro che sapessero leggere e scrivere e farsi mediatori tra i testi, specie i sacri, e la società incolta. Vagantes furono quei clerici che per una ragione o un'altra uscirono dai palazzi degli ecclesiastici e percorsero le regioni d'Europa in cerca di sistemazione presso corti religiose o laiche. Erano musici, cantori, compositori, insomma professionisti non manuali, che volevano vivere dei prodotti della loro mente e fantasia e ai quali, compresi i giocolieri, si dava il nome di giullari. Ometto altre spiegazioni e salto alla seconda metà del 19° secolo (1888), quando in occasione dei festeggiamenti per l'ottavo centenario della fondazione dell'Università di Bologna (la più antica d'Italia) nacque la goliardia in senso moderno, ossia quella baldoria tipicamente studentesca e universitaria, nutrita di scherzi, provocazioni, bevute, mangiate e doppi sensi. Come simbolo venne introdotto l'uso della “feluca”, una sorta di cappello a punta che simboleggiava l'identità di studente universitario. Tutti i goliardi, dalla matricola al fuoricorso, si differenziavano dal colore della feluca, tipico della facoltà universitaria (rosso per Medicina, Chirurgia e Veterinaria; blu per Giurisprudenza e Scienze Politiche; verde per tutte le facoltà scientifiche; amaranto per Magistero; bianco per Lettere e Filosofia; nero per Architettura e Ingegneria; giallo per Economia e Commercio, bordeaux per Lingue straniere). In questo contesto storico nasce la festa della matricola, intendendo per “matricola”(phoetens, cioè fetente, per definizione goliardica) gli universitari iscritti al primo anno di corso, i quali dovevano sottostare a precise regole goliardiche, dette per lo più in latino maccheronico ed imposte dagli anziani, tra cui: Ubi maior minor cessat (dove è il maggiore, il minore cessa, cioè non ha titolo), Pagat semper minus bolli (paga sempre chi ha meno bolli, cioè il più giovane; il riferimento è ai timbri delle segreteria universitaria, apposti sui libretti di anno in anno), Quia stolidus semper matricula est (chi è stupido è sempre matricola). La festa si articolava in tre momenti diversi: processo alla matricola, battesimo della matricola, sfilata di carri allegorici Il processo veniva celebrato sul podio orchestrale della villa comunale dagli studenti di Giurisprudenza in omaggio alla perizia nel linguaggio giuridico, acquisita con gli studi. Essi potevano calarsi senza alcuna difficoltà nei panni di pubblico difensore o accusatore. Lo scopo del processo era non solo quello di “purificare” la matricola dalla sua indegnità, ma anche di stimolarla a rispondere a tono alle domande dei “giudici”, facendo leva sulle sue qualità dialettiche, sull'arguzia e sull'ironia. La matricola, dopo aver subito il processo e le prove ad esso connesse, veniva battezzata, perché fosse ammessa al mondo goliardico. Le si imponeva d'inginocchiarsi avanti all'officiante e, mentre si pronunciavano formule maccheroniche, subire questo rito: introduzione in bocca del sale (Accipe salis sapientiae...) e poi del pepe (et pepis argutiae...); infine aspersione del capo con vino (et vinum veritatis). Il battesimo veniva poi ufficializzato con la consegna alla matricola del Papiro Matricolare, una sorta di lasciapassare all'interno dell'Università, che serviva da difesa dagli assalti di altri goliardi, i quali, per estorcere nuove offerte alla malcapitata matricola, erano pronti a trovare cavilli di ogni tipo. Osservare la caduta, per esempio, del papiro e giudicarla con queste parole: “planat” o ”non planat”. Il papiro che conservo è così strutturato nelle parole: Atheneo Barense. In nomine Bacchi, Tabacchi Venerisque bonae. Anno millesimo nongentesimo sexagesimo primo. Rectore Pascale de Delpretiana gente regnante. Nos divinissimi laureandi, venerabili antiani et famelicissimi phaseoli post magnam sbafationem te Cosmum de Tridentiana gente cacata Matriculam minus quam immonditiam consideratam baptizamus. Il retro del papiro porta un disegno hard del peccato originale, nonché una serie di “bolli” (firme) di universitari anziani. Nel gergo goliardico i phaseoli (fagioli) erano gli studenti iscritti al secondo anno dell'Università, detti famelicissimi, perché, finito l'anno di soggezione alla persecuzione degli antiani, volevano rifarsi sulle nuove matricole. La cerimonia descritta solitamente seguiva la sfilata di carri allegorici, modestamente costruiti ma espressivi di comicità, con cui la festa veniva chiusa. Ogni facoltà aveva il proprio carro. Su quello di Medicina operavano s'un paziente medici “scorciaciucci”, lanciando sul pubblico pezzi di budella (salsicce), prelevati dallo sfortunato. Il carro di Giurisprudenza nella sfilata del '63 mostrava un aguzzino che infieriva s'un reo, messo alla gogna in una gabbia. Nello stesso anno il carro di “Lettere e cartoline” rappresentava lo sportello d'un ufficio postale, i cui impiegati, studenti di lettere appunto, apponevano timbri a ciò che capitava nelle loro mani, mentre sull'epistìlio si leggeva una frase imprecativa: “Ah Cicero, li mortaci tua”. Durante le Feriae Matricularum vigevano tre consuetudini: fare una questua, liberare gli studenti delle scuole medie superiori e gustare gratis bevande e caffè nei bar cittadini. I goliardi, infatti, girovagavano per le vie della città, muniti di feluca addobbata di ciondoli vari, per chiedere denaro con divertenti espedienti in chiunque si imbattessero. Il denaro raccolto veniva poi utilizzato per l'organizzazione della festa. Ecco nel ricordo d'uno studente d'allora l'esito della questua nel borgo antico nel dicembre '63: accoglienza generalmente sospettosa e perfino sgarbata, ma anche qualche eccezione. Il gen. Amato, già sindaco di Molfetta, accolse con simpatia e trattò cordialmente i questuanti, accomiatandoli infine con l'offerta di 500 lire. Anche i negozi erano ovviamente mete diversamente fruttuose. Dà un'idea compiuta d'una festa della matricola il programma delle Feriae del 1963, ciclostilato per conto del Circolo Goliardico. Il 20 dicembre alle ore 18.00: fiaccolata fino al municipio, per rilevare la simbolica chiave della città dal sindaco cav. Luigi Massari, e corteo per le vie con proclama d'apertura delle Feriae per mezzo di banditore. Mattina del 21 dicembre: suono di sirene, poi visite di delegazioni del Circolo ai presidi delle scuole, per ottenere la sospensione delle lezioni e l'uscita degli studenti (specie le studentesse da corteggiare). Dalle 10 circa nella villa comunale tornei di corse a coppie legate (ai piedi), gare di “zùmbe é mìtte sòtte”, corsa in sacchi, gimkana con tricicli e biciclettine, giostra di tozze. Nel primo pomeriggio concerto lirico-sinfonico itinerante con strumentazione d'accatto, alle 19 circa “show goliardico”, il cui ricavato sarebbe stato devoluto come premio di studio a favore d'uno studente universitario disagiato e meglio classificato al suo primo anno nelle tre sessioni d'esami del 63/64. Il 22 dicembre serenata per la città e sfilata di carri allegorici lungo un percorso cittadino terminante a corso Umberto e piazza Garibaldi. In quell'anno le matricole da processare, incatenate l'una all'altra, precedettero i carri nel loro percorso. Tale consuetudine durò pochi anni e in una delle ultime manifestazioni il Circolo Goliardico affisse un manifesto dal linguaggio così licenzioso, da causare una protesta ed un ricorso, ma più che quest'atto estinsero la festa della matricola e segnarono la fine del Circolo Goliardico questi eventi, il secondo più del primo: 1) l'uscita (per lo più per laurea) dall'Università dei fondatori ed animatori del Circolo, 2) l'inizio d'una seria protesta giovanile, che si definì Movimento Studentesco e che ancora prende nome dall'anno d'inizio, il “sessantotto”. Vennero tempi più impegnativi, quelli generati dal fermento del centrosinistra e del Concilio Vaticano II. In questi tempi la festa della matricola sarebbe stata un'irrisione all'esigenza di crescita espressa dalla società giovanile o una stravaganza negli “anni di piombo”, il Circolo Goliardico sarebbe risultato un'arcaica ed edonistica o “scapigliata” forma d'opposizione. Ma nel ricordo esso resta espressione d'una giovanile volontà di laicità da opporre alla Fuci (associazione universitaria cattolica) nell'ambito della capillare organizzazione cattolica. Nella redazione di questa memoria mi sono giovato della collaborazione degli amici Antonio Balsamo, Pinuccio Palumbo e Lia Massimo. A questi due devo documenti, fotografie e ricordi diretti. Un grazie davvero di cuore. Forsan et haec olim meminisse iuvabit (Virgilio, Aen.I, 203). Cosmo Tridente
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