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Echi di racconti e leggende cristiane nel dialetto di Molfetta I nostri detti memorabili
15 aprile 2007

Tra i modi di dire pullulanti nel dialetto molfettese ancora alcuni decenni addietro, è possibile rintracciare qualche eco o frammento di leggende e racconti cristiani un tempo diffusi anche a Molfetta, ma appartenenti di solito ad aree geografiche molto vaste. Un vecchio aneddoto è legato a donna Bëssódjë, madre di Dio. A una parrocchiana molto petulante, che chiedeva insistentemente chi fosse lê mêmmë du Patrëtèrnë (la mamma del Padre eterno), il parroco, per togliersela dai piedi, raccontò che si chiamava donna Bëssódjë. E, a dimostrazione di tale verità, recitò le parole del “Pater noster”: panem nostrum cotidianum da nobis hodie. Il raccontino in passato era molto diffuso in Europa: dalla Spagna, dove la pretesa genitrice divina si chiamava doña Bisodia, alla Sardegna, alla Puglia e alla Calabria, dove la stessa era detta donna Bisòdia o donna Pissòdia. Il personaggio immaginario è antico, plurisecolare: se ne trova cenno già nel XIV secolo nelle Trecento novelle di Franco Sacchetti, precisamente nella scherzosa undicesima novella. Anche detti più comuni e longevi a volte hanno radici assai remote. È il caso dell'espressione Téënë la faccë dë la bbrutta bbéstjë sòttë a lë pìëtë dë Sêndë Mëchéëlë (Ha la faccia della brutta bestia sotto i piedi di San Michele). A parte l'eufemismo bbrutta bbéstjë per dëmónjë “demonio, diavolo”, il detto deriva da una evidente trafila cristiana, che trova le sue radici nel Nuovo Testamento, esattamente nell'Apocalisse di San Giovanni (12, 1-9). Ecco i passi salienti: «Poi un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita del sole, con una luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle; ed essendo incinta, gridava per le doglie del parto e le angosce nel dare alla luce. Intanto apparve un altro segno nel cielo: un gran dragone, dal colore del fuoco, con sette teste e dieci corna; e sette diademi sulle teste. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo, e le precipitò sulla terra. Poi il dragone si pose davanti alla donna che stava per dare alla luce, onde divorare il figlio, appena fosse nato. […] Allora avvenne una guerra nel cielo. Michele e i suoi Angeli combattevano contro il dragone. Il dragone e i suoi angeli ingaggiarono battaglia, ma non poterono prevalere e nel cielo non vi fu più posto per loro. E il gran dragone fu precipitato, l'antico serpente, che si chiamava Diavolo e Satana, il seduttore del mondo intero; fu precipitato sulla terra, e i suoi angeli furono precipitati con lui». Indipendente dalla Bibbia e di matrice medievale è invece il detto Ngë vólënë tuttë lë séttë pëccatë (Ci vogliono tutti e sette i peccati capitali), per dire “occorre provvedere a tutto”. I sette vizi o peccati capitali sono stati introdotti da Tommaso d'Aquino nel XIII secolo e sono: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia. Tra le leggende cristiane passate dalla tradizione dotta e semidotta nei racconti popolari in dialetto, bisogna ricordare u sùënnë dë lë séttë dòrméndë (il sonno dei sette dormienti), invocato per un assopimento immemore e prolungato. Come narrano Gregorio di Tours nella Passio sanctorum martyrum septem dormentium apud Ephesum, Jacopo da Varazze nella Legenda aurea e Paolo Diacono nella Historia Langobardorum (I, 4), i Sette dormienti sono i fanciulli di Efeso che rispondevano ai nomi di Massimiano, Malco, Marciano (o Martiniano), Dionisio, Giovanni, Serapione e Costantino. Rifugiatisi sul monte Celion con un cane in una caverna fatta poi murare dall'imperatore Decio perché non volevano abiurare, si addormentarono profondamente, svegliandosi solo dopo due secoli, ai tempi di Teodosio il Giovane, per dare testimonianza di fede e poi richiudere gli occhi per sempre. I Sette dormienti sono ricordati nel Martirologio Romano sotto la data del 27 luglio, ma c'è ampia menzione di loro nella “Sura della caverna” riportata nel Corano (XVIII, 8-25). Eccone qualche passo: «Quando i giovanetti si ritirarono nella caverna, essi dissero: “O Signor nostro, concedici, da parte tua, misericordia e disponi per noi, riguardo al nostro affare, nel modo migliore”. Perciò noi colpimmo le loro orecchie di sordità, perché dormissero indisturbati nella caverna, per un certo numero di anni. […] E raffermammo i loro cuori, quando essi si levarono avanti al tiranno, e dissero: “Il nostro Signore è il Signore dei cieli e della terra, e noi non invocheremo altro dio all'infuori di lui”; che se ciò facessimo, diremmo allora, certamente, una grave menzogna. […] E avresti creduto che essi fossero svegli, mentre, invece, erano addormentati, e noi li voltavamo a destra e a sinistra, mentre il loro cane se ne stava, con le sue zampe distese, sulla soglia della caverna. [...] Alcuni diranno: “Essi erano tre e il quarto di essi era il loro cane”; altri diranno: “Erano cinque e il sesto di essi era il loro cane”, facendo congetture intorno all'ignoto; altri ancora diranno: “Erano sette e l'ottavo di essi era il loro cane”». Se molte sono le differenze tra Cristianesimo e Islam, in queste due grandi religioni monoteiste non mancano i punti di contatto, e la storia dei Sette dormienti è uno di essi.
Autore: Marco I. De Santis
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