La rottura col Pd, l’impegno con “Noi a Sinistra per la Puglia” al fianco di Nichi Vendola e Dario Stefano col quale si candiderà al prossimo consiglio regionale, il caso Tammacco e una campagna elettorale i cui toni sembrano destinati ad alzarsi sempre di più. Sono giorni di fuoco per Guglielmo Minervini, assessore regionale uscente, ex sindaco di Molfetta e adesso protagonista di una nuova avventura politica alla sinistra del Partito democratico. Mentre il telefonino non dà tregua, tra riunioni e conferenze stampa, accetta di fare il punto della situazione con “Quindici”, ospitandoci nella sua casa. Ovunque, scaffalature piene di libri, fasci di quotidiani e riviste e Fidel, che scodinzola festante saltando da un angolo all’altro del soggiorno. «Era un randagio, l’ho trovato in campagna, un giorno per caso e l’ho preso con me. Non me la sentivo di lasciarlo lì da solo» spiega Minervini, mentre ci porge una copia della Gazzetta del Mezzogiorno: «ecco, Emiliano in questa intervista dice testualmente che “esiste un problema Pd. Perché il Pd è diventata una grande arca nella quale negli ultimi tempi si sono rifugiati personaggi di tutti i tipi e una delle componenti è quella industrialista, cioè affaristica. Lo dice lui stesso, che è il segretario del partito». E’ questo il motivo delle sua rottura? Il segretario provinciale ha deciso di non rinnovarle la tessera, ai sensi dello statuto, proprio a poche settimane dalla presentazione delle liste... «E’ una vicenda che rispecchia il degrado e la confusione del Pd. Molti iscritti del partito stanno facendo la scelta di impegnarsi in altre liste, ma nel mio caso veniva posto un problema politico. Il Pd in realtà sta manifestando una crescente intolleranza ai problemi politici reali. Il partito sta degenerando, sta mutando geneticamente. Politica ed economia devono restare distinte. La mutazione genetica ha uno sfondo generale. E in Puglia si sta trasferendo sulla composizione della coalizione, nella proposta di governo, visto che il segretario del partito è anche il candidato. C’è il rischio concreto di una deriva trasformistica della coalizione di centrosinistra, complice anche la crisi del centrodestra». Sta alludendo al caso Tammacco? «Il Pd non sta svolgendo una funzione dialettica rispetto a quello che dice il suo segretario e rispetto a queste larghissime intese non c’è un argine e così ci ritroviamo Tammacco a Molfetta moltiplicato per 258 Comuni pugliesi, perché in ogni Comune c’è almeno una situazione imbarazzante. Il trasformismo fa saltare le differenze delle idee e delle persone e che porta alla fine della buona politica. Il trasformismo è l’anticamera dell’illegalità e l’illegalità è l’anticamera della corruzione. Emiliano negli ultimi giorni ha mostrato il segno di questo rischio, ma deve fare di più». Lui dice di non conoscere Tammacco... «Il profilo di Saverio Tammacco non è solo quello del trasformismo, di transumanza di pezzi del ceto politico, ma racconta altro. Sono diventato amico di Emiliano nel ‘95 quando io ero sindaco di Molfetta e lui il Pm che gestì l’operazione Reset. Ci sentivamo in continuazione e prendemmo un caffè insieme mentre i carabinieri con un’operazione spettacolare arrestarono quasi 200 persone. Era il simbolo della magistratura di trincea, quella dell’antimafia. Michele era un eroe civile, negli anni di Falcone e Borsellino. Lui non può dire che Tammacco non lo conosce, perché la storia politica di Tammacco nasce in quegli anni. Tammacco è di più di una paginetta del trasformismo politico che sta caratterizzando la vicenda pugliese in questa campagna elettorale. E’ molto di più. Ha sullo sfondo una storia molto più inquietante ed Emiliano non può fare lo struzzo di fronte a tutti i Tammacco che stanno penetrando nel tessuto politico e amministrativo, perché altrimenti le sue prese di distanza possono sembrare ipocrite e non possiamo permettercelo». Quindi la mancata candidatura col Pd è dettata dal cambio di rotta di Emiliano? Cioè dalla bocciatura dell’esperienza Vendola? «Il tema non è difendere gli ultimi dieci anni, ma come difendere i prossimi cinque, come mantenere quella stessa spinta al cambiamento che impedisca una regressione verso una logica di potere, perché ci sono tutte le condizioni perché questa accozzaglia vada lì semplicemente per prendersi pezzi di potere e spartirseli. Non dobbiamo permettere che quello che è stato costruito venga travolto. L’idea invece è: mettiamo le energie migliori al centro del nostro progetto». E questo non è più possibile nel Pd... «Io non sto buttando a mare un sogno, una speranza, un’utopia. Sto cercando di capire soltanto se la barriera che si oppone al cammino del Pd non sta generando il bisogno di ricostruire quello stesso progetto da qualche altra parte. Questo perché c’è un disormeggio nel Partito Democratico che porta quote sempre più importanti degli elettori a rifugiarsi da un’altra parte». Con chi resta nel Pd ma condivide con lei idee e progetti, sarà possibile continuare insieme il percorso? «La stella polare del nostro impegno è il cambiamento e questo può tracciare le strade anche in forma diversa e può in questo momento caratterizzare alcuni candidati del Pd e noi lavoriamo perché caratterizzi tutti i candidati della nostra lista. Mi auguro di poter dialogare anche con gli altri candidati del centrosinistra mossi dalla stessa voglia di cambiamento già a partire dal 1 giugno». Durissime sono state le critiche mosse dai renziani molfettesi di Cambia Verso. Riguardo al suo impegno politico hanno parlato di “squallida storia”... «Sono rimasto profondamente amareggiato sul piano personale. Ho posto un problema politico e ottengo come risposta un linciaggio. E’ la dimostrazione di quanto sia ancora incivile il dibattito pubblico locale. Tende più alla rissa che al confronto. La cosa che colpisce di più è che l’attitudine alla rissa è più radicata e sviluppata nei soggetti che hanno storie politiche transumanti. Quelli più dediti al linciaggio sono coloro che hanno un curriculum di sigle cambiate infinito». L’hanno accusata di aver provocato la sconfitta di Boccia nel 2005 contro Vendola e quella di Lillino Di Gioia nel 2006 contro Azzollini, oltre che di pilotare l’attuale sindaco Paola Natalicchio. «E’ rumore di fondo. Questi pezzi di ceto politico sono stati già bocciati dalla città, appartengono al passato. E’ il rantolo di una generazione che non vuole rendersi conto che un ciclo è finito, che il loro tempo si è chiuso e che stanno sbagliando ancora una volta tutto. Invece di mettere a disposizione la loro esperienza per cambiare la politica, per rigenerarla, preferiscono mettersi di traverso, preferiscono ancora una volta mettere dinanzi se stessi, impedendo che energie fresche siano liberate. E’ il crepuscolo infausto di una generazione che sta chiudendo la sua vicenda sbarrando la strada ai propri figli». Molti però si sono chiesti se dopo due legislature come assessore, non fosse il caso di tornare all’insegnamento, alla società civile... «Vorrei ricordare a questi smemorati che io a scuola ci sono tornato nel 2001 convinto che la stagione del mio impegno pubblico fosse finita. La grande sfida e la grande speranza di Vendola nel 2005, mi ha portato, dietro sollecitazione molto diffusa di tanti, a impegnarmi nuovamente. Parliamoci chiaro: io il lavoro ce l’ho e mi piace tanto e ci tengo moltissimo perché è quello che mi mette a contatto con i giovani. Anche questa volta ritenevo concluso il mio impegno diretto ma non potevo permettere che il patrimonio di questi anni venisse dissipato. Più vado avanti e più mi rendo conto che questo è il problema». Tammacco a parte, quasi tutto il centrodestra da Mariano Caputo a Ninnì Camporeale voterà Emiliano. «Si configurano dinamiche da cavallo di Troia. Il centrodestra tramite le elezioni regionali vuole entrare nel centrosinistra e vuole farsi legittimare, magari attraverso il risultato elettorale affermando un’egemonia. E ancora una volta vuole mettere sotto scacco l’amministrazione di centrosinistra che ha vinto nel 2013 e ha espresso Paola Natalicchio sindaco. Un candidato di rottura che viene vissuto con una certa insofferenza dal sistema di potere molfettese. Ancora una volta siamo sotto assedio. Il cambiamento contro la conservazione. Il rinnovamento contro il potere parassitario. E’ la solita storia. Il partito del mattone vuole riprendersi la città e questa volta la strategia cambia, prova ad espugnare il centrosinistra». Le regionali determineranno il futuro dell’amministrazione? «Le elezioni regionali saranno un test, un braccio di ferro tra chi ha più legittimazione sociale nella città. Un risultato politico forte del centrosinistra puro sarebbe una diga solida per andare avanti, spingere ancora più avanti questo processo di innovazione, di rottura. Che abbiamo avviato con Paola». La sua candidatura alla sinistra del Pd, dunque, non destabilizzerà l’amministrazione? «E’ un amministrazione che non vuole vivacchiare, fare accordi di potere con nessuno. Se tutte le anime del Pd terranno conto di questo ragionamento si andrà avanti speditamente ». Si sente il tutor di Paola Natalicchio? «No, solo un semplice compagno di strada, al massimo un fratello maggiore. Quella che mi vede come nume tutelare dell’amministrazione è una caricatura che può sostenere solo chi non conosce la statura, la robustezza di questi giovani amministratori. Non sono figli di nessuno, sono dei protagonisti e hanno grande autonomia e si stanno caratterizzando per una bella autorevolezza che non ha bisogno né di tutori né di protettori». Non sembra un momento felice per la sinistra italiana... «In Italia in questo momento c’è una domanda di cambiamento largamente inevasa che aveva visto in Renzi un interlocutore. Ora però Renzi sta mostrando debolezze di progetto, sembra non capire dove bisogna portare l’Italia, incapace di tradurre domanda di cambiamento in disegno di cambiamento. La crisi economica italiana è ancora forte e la ripartenza ferma al palo esattamente come due anni fa. Il nuovo progetto politico cerca di rispondere proprio a queste domande, a queste esigenze. E’ sta succedendo in Liguria, Campania, Sicilia: c’è una domanda di cambiamento che non trova ancora un soggetto. Il Pd non riesce più a rispondere proprio a causa di una mutazione genetica come detto. Renzi ha funzionato da grimaldello, ha sbloccato un sistema, ha scardinato la porta ma adesso non sa indicare la strada da percorrere». Landini potrebbe rappresentare la nuova via? «Potrebbe essere, lo vedremo. Saranno le prossime settimane a dirci se possiede le parole e le categorie giuste per interpretare un bisogno di cambiamento molto forte. Secondo me non lo è ancora, ma molti ripongono speranze, vedremo. Credo comunque che la leadership nuova nascerà da un’altra generazione, non ce l’abbiamo ancora sotto gli occhi». Lei ha dato vita a “Noi a sinistra per la Puglia” insieme a Nichi Vendola e Dario Stefano. Quali sono gli orizzonti? «L’orizzonte è da costruire. E’ una lista civica che ha una chiara prospettiva politica, che si colloca dentro un’esperienza di governo, dentro un bisogno politico anche regionale ma non solo, attorno al quale va costruito il senso di una nuova politica. E’ un progetto tutto da costruire che seguirà la stella polare del cambiamento». Perché è uscito dal Pd solo ora. Alcuni l’accusano di tatticismo. «Non dipendeva solo da me ma dalle condizioni politiche generali che spesso non dipendono solo dalla nostra volontà». Cosa è cambiato dalle primarie? Lei e Stefano eravate contrapposti e oggi invece... «Non è stata una scelta unilaterale. Ma è stata presa con Dario e con Nichi. Ora erano maturi i tempi. Ora la consapevolezza del rischio politico che corre la Puglia è raggiunta a maturazione. E’ il momento nel quale ci siamo detti: se non facciamo nulla finisce male». Non era possibile un accordo in estate, per poter saldare quest’offerta politica in modo differente? «Da parte mia sì, era un’ipotesi che ho sempre auspicato e caldeggiato, ma ci siamo arrivati tutti insieme ora, perché prima c’era una lettura diversa, la convinzione che la partita fosse chiusa. Invece con un’offerta politica forte, la sfida si poteva giocare alla pari. In quel momento c’era la convinzione che il risultato fosse già scritto e questo ha forgiato gran parte dell’immaginario. Adesso invece stiamo arrivando alla fine della campagna elettorale con un forte logoramento di questa convinzione. Se il centrodestra si mette insieme e non siamo capaci di trasmettere agli elettori più maturi del centrosinistra la voglia di impegnarsi e scommettere nella prossima stagione di governo, la partita diventa rischiosa. Emiliano non ha già vinto». Nessun problema con Tommaso Minervini? L’ex sindaco aveva già annunciato la sua candidatura... «Con Tommaso si è ragionato di progettualità e idee per fare andare avanti questa stagione politica e continuare a batterci per quello in cui crediamo, non si è discusso di candidature. Non era questa la priorità e nemmeno il punto cruciale della questione». La campagna elettorale sta assumendo toni molto duri… «Questa non è una bella campagna elettorale e comunque è profondamente diversa da quella del 2010, segnata da un grande entusiasmo una grande speranza, che la politica potesse tornare a essere cambiamento e non potere. Adesso invece il dibattito politico è molto basso e c’è il rischio concreto che l’astensionismo diventi un fenomeno pericolosamente rilevante. Servono subito parole chiare e credibili, dire con chiarezza cosa si vuol fare e che della Puglia si vuol fare una cosa e non tutto. Invece ho la sensazione che prevalga l’equivoco, le parole dubbie». Una volta vinto come si potrà mettere insieme gli elettori di Tammacco e quelli che hanno creduto in lei? «La politica si fa in due modi possibili: o per gestire il potere o per agire il cambiamento. Se non sei chiaro che sei lì per cambiare le cose vuol dire, anche implicitamente, che stai generando un’accozzaglia interessata solo a gestire frammenti, pezzi, segmenti di potere. Noi in questi 10 anni ci siamo misurati con la sfida di cambiare la Puglia che oggi è una terra diversa malgrado ritardi, errori, contraddizioni. Il mio timore è che quest’animo del cambiamento si perda. Se non c’è chiarezza sul progetto, se non ci sono chiarezze sulle regole, può accadere». Lei va particolarmente orgoglioso di Bollenti spiriti, delle sue politiche giovanili, ma l’accusa è che queste non abbiano sedimentato effetti concreti tangibili. Anche Emiliano parlandone disse: “ok Bollenti Spiriti, ma noi faremo sul serio”. «Spero che fare sul serio non voglia dire promettere 200.000 posti di lavoro come è accaduto nel passato e come una certa politica tradizionale vuole fare. Mi batterò contro questo rischio. Bollenti Spiriti è l’esperimento più avanzato in Europa di attivazione delle energie giovanili. E’ una creatura fragile e delicata proprio come lo sono le energie dei giovani che bisogna liberare e con delicatezza accompagnare. I frutti maturano col tempo. Ci vogliono anni prima che una start up diventi impresa, conquisti un mercato, produca innovazione, generi lavoro. E’ una strada lunga, l’unica possibile, scorciatoie non ce ne sono. Chi vende illusioni, truffa. In Puglia abbiamo intrapreso questa strada mentre l’Italia fa fatica. Siamo in controtendenza. Siamo nelle regioni di testa con Lombardia e Toscana per numero delle start up che stanno crescendo. I contadini sanno che prima di raccogliere i frutti da un albero bisogna saper impiantare un seme e accompagnare la crescita con cura e premura e per far ciò ci vogliono anni. Noi abbiamo appena iniziato, ora dobbiamo evitare che passi un bulldozer e porti via tutti i germogli». Quali dovrebbero essere le priorità della prossima esperienza di governo regionale? «Il tema è come si risponde alla crisi. Il futuro ormai sono le piccole medie imprese. Scommessa innovazione e sistema imprese diffuso sono temi che si incrociano. Il fattore di innovazione vero è il capitale umano, sono i giovani. Più investi su quello, più alzi il capitale umano e più ti inserisci nel sistema interno delle imprese. Una frontiera sulla quale c’è da lavorare è sistema piccole imprese e giovani. Di recente abbiamo lanciato un progetto “giovani innovatori entrano in imprese” che parte dai problemi. Abbiamo lanciato l’appello alle imprese perché ci segnalassero criticità e molti giovani hanno avanzato proposte di soluzioni. Su 143 proposte di imprese, sono arrivati diversi progetti interessanti, buttati giù dai nostri giovani. La Regione passa un piccolo contributo di 5.000 euro per tre mesi affinché un prototipo venga sperimentato. Ecco, bisogna creare un corto circuito tra economia reale esistente e potenziale di innovazione. Oggi l’edificio industriale sta implodendo. La Puglia rischia di essere travolto a meno che non si costruisca il futuro da altre parti».
Autore: Onofrio Bellifemine