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Di sanità si può morire
15 febbraio 2005

È vero, di sanità si può morire. Accade in Puglia, accade a Molfetta. Pubblichiamo in esclusiva su questo numero una lettera che ci è pervenuta da una signorina, Nicole De Vincenzo, che ha visto morire il padre sotto i suoi occhi forse per la scarsa efficienza del 118. E' un atto di accusa di chi ha sperimentato sulla propria pelle l'«efficienza» del cosiddetto riordino sanitario regionale, vanto del governatore Fitto nella sua campagna elettorale. La lettera è arrivata mentre stavamo per andare in stampa: abbiamo deciso di pubblicarla, ritardando perfino l'uscita del giornale in edicola. Ma di fronte a queste cose non c'è puntualità che tenga: il ruolo di un giornale al servizio dei lettori e del territorio si vede soprattutto in queste scelte. La figlia di quest'uomo che forse non sarebbe morto se si fosse riusciti a soccorrerlo adeguatamente, oggi non chiede risarcimenti, non vuole denunciare nessuno, né tantomeno vendetta. «Perché nessuno e niente potrà restituirmi mio padre», ci ha detto al telefono. Vuole giustizia e soprattutto spiegazioni: «non mi sembra giusto non dare agli ammalati la possibilità di ricevere un primo soccorso degno di questo nome, non mi sembra corretto che mio padre non abbia avuto diritto di essere stato assistito tempestivamente da un medico, o con delle attrezzature moderne e addirittura doveva attendere pazientemente il suo arrivo a casa dal paese vicino... per chi sa quale regolamento!». Nicole difende anche gli operatori del 118, riconosce il loro impegno, ma sa che non possono fare di più e magari sono vittime anch'essi della scarsa efficienza del servizio. È questo il riordino sanitario regionale «ragioniere» Fitto, un riordino fatto solo di tagli di spesa, senza una valida razionalizzazione degli interventi. Non si può governare la salute della gente con i numeri, come fosse un'azienda qualsiasi. Non siamo di fronte al taglio di produzione di automobili, qui si sono tagliati i bisogni, si è tagliato il diritto alla salute della gente. Per governare occorre partire dai bisogni, non dai numeri. Né ci servono le statistiche che dimostrino quanto siamo bravi a risanare i conti pubblici, prof. De Cosmo, occorre, come lei stesso scrive, sulla «Gazzetta» di qualche giorno fa in un articolo sulla sanità in Puglia, «adottare modelli efficienti di offerta in grado di meglio rispondere ai fabbisogni dei cittadini». E come si risponde ai bisogni dei cittadini, chiudendo un reparto qui e uno lì? E ciò con un criterio discutibile (vedi la chiusura di ginecologia a Terlizzi) forse per accontentare qualche sindaco della propria parte? Oppure abbandonando a se stesso l'ospedale di Molfetta per soddisfare le richieste del collega parlamentare del collegio, caro sen. Azzollini? Che la riorganizzazione andasse fatta non c'è dubbio: non si può lasciare un ospedale in ogni Comune, con duplicazioni di reparti specialistici. Ma un minimo di assistenza occorre garantirlo. Avviene? I cittadini non l'hanno visto e soprattutto non hanno capito questa «razionalizzazione», come non l'ha capita la nostra Nicole. Ma la salute, i bisogni, la vita della gente non si governano solo con i numeri e le statistiche. Chi si candida per amministrare, per gestire la cosa pubblica deve dimostrare capacità ed efficienza non soltanto sulla carta. Gli effetti dei progetti sulla carta si devono verificare nella realtà concreta e quando la gente muore per la scarsa efficienza del 118, vuol dire che qualcosa non va, che i calcoli dei «ragionieri» sono sbagliati, che occorre rivedere quei conti e quei tagli e non perseverare nella convinzione di aver operato bene, di «aver avuto il riconoscimento della Corte dei Conti» e sperare che la gente si rassegni non solo a non avere più il proprio ospedale, ma, magari a rivolgersi alle strutture private in nome di un'efficienza privatistica «che il pubblico non è in grado di garantire», come piace ai fanatici del modello americano e delle teorie tatcheriane di Berlusconi e dell'amico Bush. Occorre la qualità, primo fattore di efficienza, come sanno bene gli economisti. E invece, quello che sembra mancare, è proprio la qualità, una qualità fatta soprattutto della ridefinizione del rapporto tra profitto ed etica. A tal proposito potremmo consigliare a Fitto, De Cosmo e Azzollini, di leggersi il bellissimo libro «Perché ce la faremo» (Ed. Ponte alle Grazie, 2004) di Marco Roveda, un imprenditore ambientalista ante-litteram, il guru dell'«ecosofia», che parla della necessità di conciliare le tre «P»: people, planet, profit. «People», la gente non è il mezzo, è il fine. La soddisfazione dei bisogni della gente – dice Roveda -, il rispetto dei singoli esseri umani, l'attenzione alla qualità dell'esistenza devono essere il fulcro di qualsiasi ragionamento e iniziativa. La gente siamo noi. «Planet», il pianeta, è il teatro di questa nostra esistenza. Se non prendiamo in considerazione i bisogni del pianeta, miniamo la base stessa della nostra esistenza. Oggi non possiamo più vivere alle spalle dell'ecosistema. «Profit», il profitto, è quanto permette di soddisfare i bisogni primari legati alla sopravvivenza, è indispensabile per vivere nella società contemporanea. «Ma è arrivato il momento di renderci conto che il profitto da solo non basta - aggiunge Roveda -. Senza le altre due P, senza prendere in considerazione sia la gente che il pianeta, non c'è armonia di vita. Non c'è neanche vita». È così difficile comprendere tutto ciò e puntare a rendere efficiente il 118, razionalizzare veramente la sanità sul territorio, cominciando col ridurre le vergognose liste di attesa? Il papà di Nicole aveva prenotato un elettrocardiogramma dinamico l'11 novembre 2004 e gli era stata assegnata la data del 31 marzo di quest'anno. Ma è morto il 27 gennaio. Governare vuol dire soprattutto usare insieme cuore e cervello.
Autore: Felice de Sanctis
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