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Di Gioia contro il sindaco: una città in ginocchio Pesanti accuse dell'esponente dell'Udc per le varianti al piano regolatore
15 luglio 2003

Vecchi seguaci, curiosi, osservatori di diversi partiti, transfughi da altre formazioni politiche, c'era un vasto campionario di cittadini a riempire l'Odeon, giovedì 26 giugno, per il ritorno sulla scena politica di Lillino Di Gioia (nella foto), sotto il simbolo della sua vecchia lista civica “Il riscatto della città”, tirata fuori per l'occasione, non dell'Udc, quindi, formazione cui ha pure recentemente annunciato di aderire. L'attacco a Tommaso Minervini Presentato da Paolo Minervini e preceduto dagli interventi di Mauro de Robertis, Giovanni Ventrella ed Annalisa Altomare, l'ing. Di Gioia ha lanciato un pesante attacco all'amministrazione di Tommaso Minervini, chiamando a raccolta tutte le forze moderate della città, anche se poi è difficile capire fino a dove si estenda e quale sfumature semantiche assuma questa “moderazione”, affinché mettano in campo un progetto politico alternativo a quello che governa attualmente Molfetta. Attacco a tutto campo, ma focalizzato infine su due grosse questioni, che a sua volta si riconducono ad una, la mancanza di programmazione politica, non si sa quanto voluta o subita, che rischia di marginalizzare Molfetta. Quale sviluppo per Molfetta? Di Gioia è partito dalla recente approvazione della Legge n.31 che fa registrare un passo in avanti verso la realizzazione dell'aree metropolitane. Quella di Bari è una delle 12 previste in Italia, comprende 22 comuni e il suo perimetro si ferma a Giovinazzo, escludendo Molfetta, fuori anche dalla costituenda provincia di Barletta. L'ing. Di Gioia si è chiesto se sia solo un caso che proprio i comuni che si trovano nella stessa situazione, Terlizzi e Ruvo ad esempio, siano fra i penalizzati dal Piano di riordino ospedaliero regionale. E comunque quale futuro si prospetti per la nostra città, stretta fra due i blocchi. Solo che di tutto questo non si parla, né l'amministrazione si attiva a prendere provvedimenti: un accordo fra comuni, la richiesta di costituzione di un'altra provincia o quanto altro possa fare chiarezza sulle future direttive di sviluppo. “Il sindaco afferma di lavorare anche 12 ore al giorno - ha detto l'ing. Di Gioia - gliene diamo atto, anche perché gli tocca far le veci della giunta, del presidente dell'Amnu, anche degli uscieri, ma sappia che di ordinaria amministrazione si muore”. Un Piano regolatore ignorato Sul palco dell'Odeon, accanto al simbolo del “Il riscatto della città”, campeggiava una mappa di Molfetta, con segnate le varie aree di espansione previste dal PRG. Tutti lì a chiedersi quale uso ne volesse fare. Quello di portare un altro attacco al sindaco e al ricorso che questo ha fatto e intende fare delle “conferenze di servizi”, strumento con il quale si concede la possibilità di costruire in deroga a quando stabilito dal PRG. Così, chi ha un terreno che, essendo per il PRG a destinazione agricola vale “un'insalata”, definizione dialettale sfuggita a Di Gioia nella foga del dire, pensa bene di farci un albergo, una casa di riposo, una struttura turistica. Ovunque, ma non nelle aree appositamente destinate a quell'uso, ad es. la zona ad espansione turistica fra Molfetta e Giovinazzo. Tutto questo, a parte il rischio di speculazioni e di pressioni, comporterebbe uno sviluppo disordinato della città e il mancato controllo del territorio. Oltre a porre la questione di ordine più generale su cosa serva impiegare anni e denaro dei contribuenti a varare un Piano regolatore generale per poi ignorarlo. Ci sarebbe una contromisura da prendere, non gradita, secondo Di Gioia, al sindaco Minervini, quella dell'adozione di piani particolareggiati dei servizi, che stabilirebbero gli standard necessari per ogni zona e la loro collocazione. In assenza di questi piani particolareggiati e a fronte di un Piano regolatore generale ancora tutto da realizzare, si da il via ad operazioni che, ha ricordato Di Gioia, “valgono ognuna decine di miliardi”. L'appello a una nuova coalizione Questa ed altre questioni, la società che dovrebbe gestire il mega finanziamento per il porto, l'inesistente difesa dell'ospedale pur con lo sbandierato “governo a rete”, i conflitti di interesse che coinvolgerebbero assessori e consiglieri, richiedono, per l'ing. Di Gioia “la messa in moto di un meccanismo che faccia da blocco, che superi anche gli schemi inusuali, a 360 gradi”. Ed è sembrato a tutti che sottintendesse: e chi ci sta si faccia avanti. L'uscita pubblica di Lillino di Gioia non ha toccato, infatti, solo questioni puramente amministrative, ma è sembrata il lancio di un nuovo progetto politico, di cui allo stato attuale si intravedono appena i contorni. Un progetto che parte da una acritica rivalutazione del passato, quello della “prima repubblica molfettese,” si potrebbe sbrigativamente dire, e da una condanna, dei due Minervini, Guglielmo prima e Tommaso ora, che pur riconoscendone la diversità, a Di Gioia piacerebbe assai racchiudere in un'unica parentesi, quella di chi ha ritenuto di poter, come dire, fare a meno della politica, della paziente attività di mediazione fra partiti, pensando che la loro persona bastasse a fare sintesi. L'ex sindaco e l'attuale colpevoli di aver cancellato il passato, intendendone gli uomini e le idee, senza riuscirci, senza produrre una nuova classe dirigente e un progetto di città che non sia quello che Di Gioia rivendica a sé e agli altri esponenti della vecchia Democrazia Cristiana, quelli spazzati via dall'effimero vento del '94,. evidentemente non in modo definitivo, almeno questo pensa Di Gioia. Nella platea dell'Odeon erano in molti ad ascoltare, davvero a “360 gradi”, resta da vedere chi sarà disposto a raccogliere: la lettura del passato e la proposta per il futuro. Lella Salvemini CORSIVI Un vecchio abito sdrucito Ricorda un vecchio gioco di bambine povere. Bambole stampate su fogli di riviste, giusto la sagoma del corpo, e sulla stessa pagina un intero corredo, vestitini da ritagliare e sovrapporre. Pochi colpi di forbice e si poteva avere la principessa e la mamma, la sportiva o la fata. Certi politici molfettesi, di quelli nazionali preferiamo tacere, sembrano davvero così, hanno tanti abitini, politicamente diventano sigle e simboli di partito, da indossare secondo le situazioni o i momenti. E si finisce per non capire più chi siano davvero. Lillino Di Gioia, per esempio, nella manifestazione del 26 giugno, ha preferito tirar fuori dal cassetto un abituccio vecchio e nemmeno fra i più appariscenti fra quelli indossati negli anni di militanza politica, si è presentato infatti sul palco dell'Odeon sotto il simbolo de “Il riscatto della città”, sua lista civica venuta buona in più di un'occasione e che si riteneva del tutto superata a favore dell'ultima mutazione, quella dell'Udc, cui ha aderito con clamore solo qualche mese fa. Il mistero è stato spiegato dal consigliere De Robertis, dissidente della giunta Minervini, anch'egli esponente di questa formazione politica, assieme ad altri consiglieri che invece l'appoggio al sindaco attuale continuano a darlo. Impossibile quindi presentarsi come Udc sul palco a chiamare a raccolta tutte le opposizioni della città, cercando di indirizzarle verso un nuovo progetto politico. Sembrerebbe un po' cattivo andare a spulciare nel fondo dell'armadio di Di Gioia a cercare tutti gli altri abitini dimessi, frugare anche fra quelli che non s'indossano più, ma che per ragioni affettive non si ha il coraggio di dare alla Caritas, quelli di cui si dice “chissà, potrei ancora metterlo”. Come il fugace passaggio per “Democrazia europea” delle ultime elezioni politiche, seguito, se la memoria non c'inganna, da un transito per l'Udeur. Lillino Di Gioia, con qualunque simbolo si presenti, rimane in fondo un democristiano, di quelli che purtroppo stiamo imparando a rimpiangere in quest'epoca berlusconiana, con una certa fiducia nella politica, intesa come capacità di far sintesi degli interessi della città, fra i quali, perché no, anche i propri, nella mediazione, nella convinzione che una via d'uscita e per esser d'accordo si può sempre trovare, con l'odio per gli estremismi, di quelli che qualche anno fa si chiamava komeinisti. Infatti a ben vedere, al di là delle singole questioni affrontate da Di Gioia - il Prg, l'area metropolitana, il porto - il senso politico dell'incontro dell'Odeon era quello di celebrare, o tentare di farlo, la fine di una fase della vita pubblica della città che per Di Gioia ha tenuto fuori proprio quella che per lui è politica, prima con il personalismo catartico di Guglielmo Minervini, poi con il personalismo, lui lo definirebbe “affaristico”, di Tommaso Minervini, entrambi incapaci di creare partecipazione e senso di cittadinanza e di pensare la città, di delinearne un progetto di sviluppo che non sia quello che fa leva sulla Zona Asi e sul porto e che si deve ascrivere allo stesso Lillino Di Gioia. Il quale risolve tutto dicendo: chiudiamo la parentesi e ritorniamo al passato. Senza chiedersi cosa ci fosse sbagliato in quel passato, nei suoi uomini, nei suoi metodi, nella maniera di intendere il ruolo dei partiti, addirittura nella concezione del fare politica, se poi si è rivelato perdente. Qualunque sia l'abitino che Lillino Di Gioia intenda indossare, qualsivoglia ruolo intenda ritagliarsi, dovrà esprimere qualcosa di più di una condanna, per quanto circostanziata, di chi governa, e di un appello a tutti quanti non condividano l'attuale stato di cose, altrimenti non si riuscirà a intravedere un reale cambiamento, rispetto ad una città lontana dalla politica e ad un Consiglio Comunale muto, se non decisamente indecoroso. Lel. Salv.
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