Da Molfetta al Kenya per assistere i bambini di un orfanotrofio. La missione di Lidia Raguseo
Joseph ha sette anni, un viso che irradia contentezza e due occhi lampeggianti tutti curiosità e stupore. Un pomeriggio viene a sapere che Lidia, la ragazza bianca che da settimane si prende cura di lui nell’orfanotrofio che lo ospita, sa suonare una pianola. E allora perché non farsi spiegare come fare? Quando gli spiegano che non si può perché la presa della corrente elettrica è guasta da mesi, lui non si scoraggia prende carta e pennarelli e fabbrica la sua pianola di carta. I pennarelli al posto della corrente, la fantasia ad allungare le limitate possibilità della sua terra, la sua voce viva e spensierata al posto delle note musicali. “E’ così che abbiamo suonato tutto il pomeriggio tanti auguri a te. E’ stato bellissimo”. Joseph è uno dei tanti folletti che scorrazzano scalzi e magri, tra nugoli di polvere, magari inseguendo per svago una ruota di alluminio da far girare con dei bastoni, per le vie di Nanyuki, 31.000 abitanti, Kenya centrale, strade sterrate e case basse, 200 km da Nairobi la capitale. E’ questa l’Africa che ha conosciuto Lidia Raguseo, molfettese, 23 anni, studentessa di medicina e per un mese (quello di ottobre) impegnata in un progetto umanitario che l’ha vista prestare assistenza in un orfanotrofio della zona. “Ho aderito all’iniziativa di Medicina Incontra Africa un progetto creato da studenti di medicina dell’università di Torino per altri studenti di medicina, infermieristica, professioni sanitarie che vogliono fare un’esperienza di volontariato in Kenya. Per tre settimane abbiamo collaborato con un orfanotrofio fondato e gestito da un imprenditore di Vicenza, Egidio Grego che ha investito tutti i suoi risparmi per dare qualcosa agli altri e strappare i bambini dalla strada” spiega Lidia che ha ancora negli occhi quei bambini: “vispi, svegli, affettuosissimi. Sempre curiosi e con una grande voglia di imparare cose nuove. Bimbi poverissimi e fragili. L’orfanotrofio di Egidio è una salvezza per tantissimi di loro. Tanti non sanno dare un volto alla madre e quindi non sanno nemmeno quanti anni hanno. Alcuni vengono abbandonati perché la madre va in cerca di lavoro in città vicine, altri ancora perché abbandonati. Il padre spesso è ignoto”. Se ci si allontana da Nanyky e ci si avventura per il deserto keniano si tocca con mano la povertà endemica della zona: “con noi abbiamo portato farina, riso, caramelle ma là tra capanne, polvere e strade ridotte a piste di sabbia manca davvero tutto. I bambini si avvicinavano e ci chiedevano qualunque cosa: dalle infradito agli asciugamani, roba di lusso per loro. Dietro giovani donne si vedevano arrancare comitive di ragazzini, tutti figli loro: solo il più grande può indossare una maglietta, gli altri sono completamente nudi”. Lidia e gli altri studenti che hanno aderito al progetto, hanno affiancato i medici del posto in una sorta di tirocinio formativo. Nelle corsie dell’ospedale cittadino la morte è una compagna silenziosa e costante. La sanità kenyana è per lo più privata e a pagamento, quindi fuori dalla portata della stragrande maggioranza della popolazione. Non è inusuale incrociare nel reparto di ginecologia tre donne incinta riposare nello stesso letto, oppure vedere morire qualcuno per la mancanza di antibiotici o defibrillatori. Laggiù anche una tac mancata può essere letale: “nei reparti abbiamo avuto a disposizione solo raggi, ecografia ed esami di laboratorio. Per la tac bisogna rivolgersi in un’altra struttura e pagare 20 dollari: un immensità per gli standard keniani. E così una mattina è arrivata una bambina di 9 anni accompagnata dalla madre. Aveva i bulbi oculari quasi completamente fuori, era impressionante. Due mesi prima era caduta e il trauma cranico aveva provocato un’emorragia. Con una banale tac effettuata al momento della caduta si sarebbe scoperta l’emorragia e potuto intervenire all’istante salvandola e invece è morta poco dopo. Quella mamma come tutti i keniani aveva una fiducia incondizionata per la medicina e quando ha appreso che non c’era più niente da fare è crollata in un dolore inconsolabile. E’ stato qualcosa di durissimo da digerire”. L’Africa scoperto da Lidia è una terra povera e crudele ma anche stupenda e incantevole: “paesaggi mozzafiato di una bellezza inimmaginabile. Il cielo si confonde con i laghi e gli animali col deserto e la notte il cielo stellato è di un luminoso incredibile”. Ma quello che porterà per sempre nel cuore sono i bambini e la loro gioia di vivere al netto di tante difficoltà: “grazie a loro ho riscoperto che basta un sorriso, una carezza, un abbraccio per essere felici e per capire il valore delle cose, il valore dei sentimenti”. Come successo con Solomon 6 anni: “gli ho chiesto: cosa vuoi fare da grande? Il dottore. Perché? Perché così aiuterò i bambini poveri come me”.
Autore: Onofrio Bellifemine