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Cultura della legalità e lotta alla mafia: l'ITGC Molfetta incontra il procuratore antimafia Laudati Laudati: la legalità di un popolo dipende soprattutto dai comportamenti che la collettività assume. L'impegno scolastico nella formazione degli alunni: le proposte dell'ITGC. I “colletti bianchi” e il rispetto delle regole
19 dicembre 2012

MOLFETTA - Si chiamano mafie, pizzo, racket. Colpiscono la vita delle persone e le distruggono. Minano le regole economiche e sociali. La storia dell'illegalità in Italia è lunga e lastricata di drammi collettivi, perché coinvolge intere comunità. La mafia è forte e radicata, senza che ci sia un'adeguata consapevolezza diffusa. Per questo, l'importante è conoscerla, perché è dalla conoscenza che possono nascere idee più forti e azioni mirate ad affermare il diritto di tutti alla legalità.

È stato questo l'obiettivo dell’incontro promosso dai ragazzi e dalle ragazze del ITCGT “G. Salvemini” di Molfetta con l'iniziativa «Le(g)ali a scuola … e fuori». Nella Sala Finocchiaro della Fabbrica di San Domenico gli studenti hanno avuto l’occasione per riflettere e sensibilizzare su temi che molto spesso sono poco menzionati nella società, come la cultura della legalità, il rispetto delle libertà individuali e collettive, il problema dell'osservanza delle regole liberamente scelte dalle persone, i diritti e i doveri dei cittadini. Il tutto si è svolto alla presenza del procuratore capo della direzione distrettuale Antimafia di Bari, Antonio Laudati.

 

Se si parla di legalità e di lotta alla mafia non si può non partire dal tragico 23 maggio del 1992 quando l’auto su cui viaggiava Giovanni Falcone esplose distrutta da un ordigno alle porte di Capaci, nei pressi Palermo. Meno di un mese dopo Paolo Borsellino seguiva il suo “amico e collega” morendo di morte violenta. Questa è anche storia d’Italia. E proprio da qui parte l’analisi del dirigente scolastico l’ITCGT, prof. Sabino Lafasciano: «penso e credo fermamente che per la scuola sia un dovere far conoscere i nomi, le storie e le battaglie di coloro che per anni hanno difeso e lottato per la legalità».

Le vicende di Falcone e Borsellino e della lotta alla mafia sono state raccontate in tutta Italia, più o meno a bassa voce a seconda dei luoghi, perché sono storie di persone che per la loro altezza e per il fascino hanno saputo catturare (e catturano tutt’ora) la maggior parte degli italiani. Tutto ciò non rappresenta solo una questione di giustizia o lotta locale alla mafia. Le vicende degli anni novanta riguardavano uomini di tutto il Paese, riguardavano la mafia, lo Stato, la Chiesa e tantissime altre organizzazioni legali e non.

 

E proprio partendo dalla concezione di collettività che Arianna Cantatore e Samarelli Viviana (nella foto con Laudati e Lafasciano) studentesse dell’ITCGT, hanno analizzato le problematiche odierne relative alla legalità attraverso i dati ottenuti da un sondaggio posto alle classi 2^ e 4^, poi sottoposti all’analisi accurata del procuratore capo della direzione distrettuale Antimafia di Bari.

«La legalità di un popolo dipende soprattutto dai comportamenti che la collettività assume. Quello che chiamiamo legalità alcune volte viene mortificato da situazioni inique - ha spiegato il procuratore Laudati -. La legalità non è fatta di omicidi o spaccio di droghe. Legalità è anche fermarsi al semaforo, non gettare la carta per terra».

Falcone e Borsellino furono assassinati perché con il loro lavoro di integerrimi magistrati, culminato nelle condanne inflitte con il maxiprocesso, erano il simbolo di uno Stato che aveva sferrato un colpo mortale a “cosa nostra”, frantumando il mito della sua invincibilità. I carnefici sono stati identificati e condannati. Hanno i volti noti di coloro che l’immaginario collettivo ha già elevato a icone assolute e totalizzanti della mafia: Totò Riina, Bernardo Provenzano e altri personaggi di tal fatta.

«Nella nostra società non c’è bisogno di essere eroi come Falcone e Borsellino. Dobbiamo cominciare a capire che la legalità è un modo di interpretare la vita. Dobbiamo imparare a separare i contesti tra buono e cattivo - ha aggiunto Laudati -.. Ed inoltre dobbiamo rifarci ai primi 12 articoli della nostra Costituzione ovvero ai principi fondamentali in essa menzionati tra cui la legalità».

 

La realtà di Falcone e Borsellino racconta che, diversamente da quanto si ripete nelle cerimonie ufficiali, la mafia non è affatto solo fuori di noi, è anche «tra noi». Gli assassini e i loro complici non hanno solo i volti truci e crudeli di coloro che sulla scena dei delitti si sono sporcati le mani di sangue, ma anche i volti di tanti, di troppi sepolcri imbiancati. Un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole e che affollano i migliori salotti: presidenti, ministri, parlamentari, vertici dei servizi segreti e della polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi apicali dell’economia e della finanza.

L’Italia è il Paese di Machiavelli e Guicciardini, le cui filosofie, se superficialmente assimilate, possono indurre all'esaltazione dell'astuzia e alla cura dell’interesse particolare. In una congiuntura economica particolarmente difficile come quella attuale, in cui l’Italia arranca nella competizione globalizzata dei mercati ed incapace di sviluppare quella coesione e unità di intenti, necessarie a risollevare le sorti nazionali, la legalità acquisisce un'inevitabile centralità nel dibattito politico e culturale.

Si descrive ormai l'Italia come un Paese ingessato in caste arroccate nella difesa dei propri privilegi e sorde alle istanze dettate dall'interesse generale, con un sistema economico e sociale nazionale ormai al collasso.

 

Ecco perché una cultura della legalità si sviluppa attraverso l'educazione. Un ruolo di primo piano spetta alla scuola che, oberata da tanti compiti, deve assumersi anche la responsabilità di formare cittadini consapevoli, sviluppando il senso civico dei giovani e facendo loro comprendere come solo il rispetto delle regole permette di esercitare la libertà individuale e che soltanto il rispetto della cosa pubblica e dell'interesse generale possono garantirci un'elevata qualità di vita.

I potenti e i "furbi" approfittano della nebulosità dei regolamenti e delle leggi per avvantaggiarsene e farla franca. Va ripristinata, invece, la chiarezza delle regole e la certezza della pena.

Occorre più trasparenza. È necessario sconfiggere la criminalità organizzata. Il perseguimento di una maggiore legalità e di un maggiore rispetto delle regole è un compito arduo che richiede in Italia una mutazione culturale e antropologica.

È bene, intanto, che ogni singolo cittadino partecipi alla vita pubblica con maggiore impegno, che reclami i propri diritti e che assolva, in prima persona, ai propri doveri. Lo sviluppo di una cittadinanza più matura, consapevole e partecipativa, che non faccia più riferimento all’omertà forse può ancora salvarci.

 

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Autore: Andrea Saverio Teofrasto
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