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Conoscere, per evitare i pericoli della rete
15 febbraio 2020

L’esigenza di consapevolezza nella gioventù sull’utilizzo corretto di internet e dei social networks ha portato l’avv. Annalisa Nanna, tra le prime vittime di cyber-diffamazione in Italia nel 1998 quando era appena studentessa universitaria, a promuovere nelle istituzioni scolastiche molfettesi degli incontri di formazione inerenti ai pericoli legati all’uso inappropriato della rete. La vicenda personale, che l’ha vista trionfante sia in sede penale che civile, si è trasformata nell’input che ha dato vita al progetto favorevolmente accolto e promosso dall’Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Molfetta, avv. Angela Panunzio. Qual è il pericolo principale che riguarda la fruizione della rete da parte dei giovani? Nanna «Molto spesso i ragazzi sono portati a credere che tutto ciò che può essere fatto sul web con estrema facilità sia per ciò stesso consentito in termini di legalità, pur non essendo così. La divulgazione di una foto o di un video su Internet o un social network, potenzialmente destinati ad un numero indefinito di soggetti, può comportare conseguenze nocive per il protagonista del contenuto, laddove questo presenti elementi di offensività. I giovani non sono consapevoli della potenza e della pervasività degli strumenti che hanno tra le mani o, se lo sono, talvolta li utilizzano in maniera distorta, ritenendo che il web sia una sorta di zona franca dove tutto è consentito. È necessario far capire loro quali sono i limiti di fruibilità di internet e dei social networks, spiegando cosa può essere e cosa non può essere fatto e precisando che la loro libertà d’azione finisce dove iniziano i diritti altrui. In relazione a questo, se da una parte è necessario lavorare sul bullo, dall’altra è indispensabile dare consigli alle vittime sulle vie immediate da percorrere per tutelarsi. Così, in questo tipo di formazione, viene indirettamente coinvolto anche il corpo docenti, che ha delle responsabilità scaturenti dalla L. 71/2017 in tema di cyberbullismo». È difficile trasmettere i messaggi legati al cyber-crime ai ragazzi di oggi? Quanta consapevolezza pregressa è stata riscontrata durante le giornate di formazione? Nanna: «La consapevolezza pregressa è solitamente poca o nulla. Naturalmente i ragazzi hanno bisogno di qualcuno che fornisca loro delle informazioni adeguate che arrivino laddove non arriva il loro buonsenso. La famiglia non sempre riesce a sopperire a questa necessità, anche perché capita che siano i genitori stessi a conservare, per motivi diversi, dei gap di informazione o perché, se ben informati sul tema, non sostengono un dialogo adeguato con i propri figli». Negli ultimi anni si sono registrati miglioramenti o peggioramenti circa la quantità di episodi di cyber-crime che si verificano? Ass. Panunzio e Avv. Nanna: «L’aumento del numero di ragazzi in possesso di smartphone ha sicuramente contribuito ad un aumento dei casi di cyber-bullismo. Rilevante, poi, anche l’abbassamento dell’età a partire dalla quale si può usufruire di questi strumenti». Secondo voi, qual è l’arma vincente per combattere l’hate speech in rete? Panunzio e Nanna: «Sarà banale ma una corretta informazione ed una buona educazione, a più livelli, sono alla base di tutto. Oltre questo, è fondamentale inculcare, già nei più piccoli, il valore dell’amicizia. Molto spesso la dinamica che si viene a creare è quella del gruppo che prende di mira un individuo più debole fino a bullizzarlo. All’interno del branco, poi, c’è chi si fa promotore di ideali sbagliati e chi, impotente e incapace di opporsi, ne diventa complice silente. Sicché è necessario intercettare i vari ruoli all’interno del gruppo “bullizzante””. Bisogna intervenire responsabilizzando i vari componenti del gruppo e incoraggiando le vittime alla denuncia». Ci saranno altre occasioni per approfondire l’iniziativa che ha visto protagoniste classi dell’istituto professionale “Mons. A. Bello”? Avete intenzione di estendere gli incontri di formazione anche agli adulti? Nanna: «Le occasioni saranno strettamente legate alla domanda: se dovessero esserci istituti scolastici che avranno voglia di approfondire la tematica saremo sicuramente a disposizione. Per il momento la buona semina che stiamo facendo è circoscritta alle scuole, ma se ce ne sarà richiesta, in un contesto per la verità non ancora preso in considerazione, non è escluso che potremmo organizzare giornate di formazione destinate agli adulti». Panunzio: «Se, più avanti, riusciremo ad ideare una forma di incontro mirata agli adulti, estenderemo sicuramente l’iniziativa a fasce di età diverse. Per ora gli incontri formativi sono strutturati per le scolaresche, in quanto maggiormente interessate da queste tematiche». Qual è l’atteggiamento assunto dagli studenti al termine degli incontri? Nanna: «Gli studenti rivolgono molte domande di natura pratica, proprio perché gli incontri riportano diversi esempi concreti tratti anche dalle mie esperienze professionali. Si riesce dunque a parlare di reati e di procedura penale in un linguaggio semplificato ovviamente ai massimi termini, promuovendo non solo una campagna di informazione ma anche di responsabilizzazione. Si spiega loro che essere giovanissimi non li esime da responsabilità e che le loro azioni possono ripercuotersi anche sui genitori, che ne possono rispondere a titolo risarcitorio. I giovani riescono dunque a sentirsi protagonisti di questo genere di argomenti, proprio perché ormai parte integrante della loro quotidianità». Panunzio: «Molti ragazzi hanno fatto emergere una sorta di autodenuncia, dichiarando, talvolta in forma anonima, di essere stati protagonisti di atti di bullismo, in prevalenza come vittime e non come perpetratori». © Riproduzione riservata

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