Inutile negare una certa difficoltà per il cronista cui vien chiesto di fare il punto della situazione politica a Molfetta.
Volendo liquidare velocemente la faccenda, basterebbe invitare il curioso lettore a trasportare a livello locale le dinamiche nazionali, che non vi sono grandi differenze. Purtroppo.
A voler aggiungere qualche particolare, si potrebbe cominciare dalla fine del 2001, anno della svolta in questa città, quando si è chiusa un'epoca, forse qualcuno direbbe solo una parentesi, quella del governo di centro sinistra.
Il governo a rete
A segnare la fine dell'anno solare e politico l'incontro pubblico voluto da Tommaso Minervini per comunicare alla città quanto fatto nei primi mesi d'amministrazione e per ribadire un concetto speso già in campagna elettorale, quello del “governo a rete”.
Un'idea, come dire, un po' privatistica della politica, per cui, se al sindaco serve uno stanziamento miliardario, supponiamo per la costruzione della nuova sede della pretura, il suo riferimento non è l'istituzione in sé, che sia la Provincia, la Regione o il Parlamento, ma i parlamentari o consiglieri di centro destra, preferibilmente molfettesi o tutt'al più del collegio, uniti appunto in una rete, chiamiamola così, di reciproco supporto.
Per cui il sen. Azzollini ha potuto vantare di essere riuscito ad ottenere questo o quel finanziamento per provvedimenti che riguardano Molfetta, riscuotendo applausi e s'immagina consenso. Visto questo suo grande potere, gli insegnanti, tanti in questa città, avrebbero potuto unirsi e rivolgersi a lui, chiedendogli di bloccare l'obbrobriosa norma della finanziaria che stabilisce tutti docenti interni per le commissioni d'esame. Avere certe fortune e sprecarle.
Il centro destra
Che si condivida o no questa idea di politica e di lavoro a rete, un dato risalta, il centro destra si è presentato alla città come un tutto, un blocco compatto. Una “nuova classe dirigente” l'ha definita il sindaco, blandendo uno per uno i suoi assessori, cercando con caparbietà un motivo, almeno uno, per poter dire loro “sei stato bravo”, “fai parte di una squadra” e farli sentire parti integranti di un progetto. Un prototipo di coalizione tanto riuscito da volerlo esportare nelle città vicine dove si voterà a primavera, e speriamo non ce ne vogliano per questo regalo.
Una “nuova classe dirigente” che dovrebbe però sbrigarsi ad uscire dal suo incantamento o almeno imparare a parlare, non nel senso del rispetto della grammatica, che pure non sarebbe superfluo ripassare, ma nel senso della partecipazione. Dalla seduta inaugurale dell'assise comunale le cose non sono molto cambiate, alcuni consiglieri di maggioranza si presentano a palazzo Giovene con lo sguardo fiducioso e incantato della “bella addormentata nel bosco”, aspettando che qualcuno spieghi loro chi sono, cosa fanno lì o almeno di cosa si discute. Si capisce che poi si innervosiscano se qualche consigliere di opposizione pretende di intervenire, di analizzare le faccende all'ordine del giorno, nessuno ha messo in chiaro che è esattamente quello che anche loro dovrebbero fare nell'aula Carnicella.
Opposizione senza leader
Cosa si contrappone a questa rete? Non molto.
Non un leader. Nella sala c'è stato un sussulto di sorpresa quando il sen. Azzollini ha attaccato le scelte politiche ed amministrative di Guglielmo Minervini. Come se avesse pescato in un passato remoto nel quale è inutile rimestare, tanto non produce più effetti, è appunto passato, chiuso, finito.
Colui che per anni è stato il perno attorno cui ha ruotato la politica cittadina non riveste più un ruolo, se non quello di coordinatore regionale dei “i Democratici”. Per anni la politica in questa città è stata condotta all'insegna del “Guglielmo vuole”, ” Guglielmo ha detto”, moloc ingombrante a volte, oltre il quale o contro il quale era difficile andare. Molto amato, eppure presto dimenticato. In una sola notte. Chi c'era, nella sua sede elettorale fra il 13 e 14 maggio scorso, non si aspettava che lasciando quella stanza, sconfitto, lasciasse anche la scena politica. Non si capisce a chi.
Un altro leader non c'è. Difficile crescere orbitando attorno alla sua stella all'apogeo. Non pare esserlo Nino Sallustio, sconfitto nella corsa alla poltrona di sindaco e solo nominalmente riconosciuto capo dell'opposizione. Ruolo contesogli, almeno in Consiglio, da Pietro Centrone e dalla sua lingua tagliente, e in generale messo in discussione dalla scarsa inclinazione dello sparuto gruppo di minoranza a volersi pensare e comportare come un tutto.
Infatti, dopo le prime dichiarazioni di circostanza, l'opposizione si è presto sfilacciata.
Le divisioni
Chiara la posizione di Rifondazione Comunista, tutta giocata sui distinguo, sull'esigenza di marcare la propria differenza, il proprio essere “sinistra antagonista” e non confondersi, nemmeno fosse il peggiore dei mali, con il centro sinistra. Pesano su questo atteggiamento posizioni nazionali e strascichi di vicende passate, a volerle sbrigativamente riassumere per il lettore distratto: l'esclusione dalla giunta della seconda amministrazione Minervini, dopo la scissione con i Comunisti italiani, e la tormentata vicenda dell'individuazione del candidato sindaco, con la decisione sofferta e probabilmente mai davvero digerita, di rinunciare ad un proprio candidato per Nino Sallustio. Al di fuori dell'attività consigliare questo partito appare impegnato piuttostoche a costruire un nuovo progetto di governo, a porsi come punto di riferimento per i delusi dell'epoca Guglielmo, oltre che, rispecchiando le solite logiche nazionali, per il movimento degli antiglobalizzatori. Infatti è molto attivo nel “Molfetta social forum”.
Grande coesione non vi è nemmeno nello stesso Ulivo. È accaduto almeno in un paio di occasioni, l'ultima il voto sul complesso alberghiero da costruire vicino al Nettuno, che i consiglieri abbiano votato in ordine sparso. I Democratici decisi a difendere provvedimenti avviati dalla precedente amministrazione di cui hanno fatto parte, i diessini, anzi il diessino Corrado Minervini, a rappresentare la posizione di un partito sulla strada di un difficile rinnovamento.
E questo ci riconduce al di fuori del Consiglio comunale, che riflette quel che accade nei luoghi della politica.
Le tre p
Alle spalle dei consiglieri di minoranza vi sono partiti pronti a rilevare le reciproche debolezze e contraddizioni, che fanno fatica a riconoscere la reciproca militanza dalla stessa parte della barricata e ad individuare il comune avversario in Tommaso Minervini o, senza personalizzazioni, in una coalizione di centro destra priva per di più di un vero progetto per la città, impegnata soprattutto a governare per governare, per soddisfare ambizioni personali o esigenze di privata sistemazione.
Partiti e politica, due p, cui forse aggiungerne una terza, quella di partecipazione.
Da questo punto di vista segnali contraddittori, scarsa nei partiti, ce ne sono alcuni che potremmo chiamare partiti-individuo, visto che il simbolo si può identificare con una sola persona o, ad esser generosi, con una famiglia allargata. Molti esponenti della società civile, che negli anni passati hanno sentito l'esigenza di dare il loro contributo, hanno scelto di tornarsene a casa, stanchi o delusi o presi dalle loro private faccende. Eppure, manifestazioni come quelle organizzate dal “Molfetta social forum” sono affollate, a dimostrare che la voglia di capire, di esserci, di dire la propria non è spenta in questa città. Una scintilla di civismo che guarda con diffidenza alla politica ufficiale e ai suoi luoghi, che la giudica ancora troppo presa dai suoi rituali, dalle sue riunioni e dalle sue divisioni.
Tempo di ripartire
Vero è che qualcosa si muove in questa direzione. A cominciare dalla volontà di Ds, Comunisti italiani, Socialisti, Democratici e Verdi di mettere assieme una casa comune, un luogo fisico che possa diventare l'incubatore di un pensiero comune. Volontà di cui comunque si parla da mesi, senza che si sia arrivati ancora ad alcun atto concreto.
A Molfetta non c'è da sperare nemmeno in un Nanni Moretti, in grado di scrollare gli animi e ricordare che il momento di ripartire è arrivato da un pezzo. Del resto, anche ci fosse, non saprebbe da dove parlare, su quale palco salire, risalendo l'ultima manifestazione comune alla chiusura della campagna elettorale nello scorso maggio.
E sì, non è inutile ricordarlo, la politica ufficiale si è mostrata incapace di una seria autocritica sulle ragioni di una sconfitta che forse solo ora sta mostrando i suoi reali contorni, ora che, quello che per molti è stato un momento di rivoluzione pacifica, di innovazione dei metodi e degli uomini della politica, viene liquidato appunto come una parentesi, una bizzarria della storia che non ha lasciato semi e segni. Questo senza che nessuno trovi la forza di porre chiaramente la domanda: è stato davvero così?
E' mancato un momento di riflessione pubblica e partecipata, se ne è avuto paura, perché le ferite inferte sono state troppo profonde. Eppure non sarebbe inutile, capire gli errori, che ce ne devono essere stati, e chissà, assieme, riuscire a trovare la forza per ricominciare.
Lella Salvemini