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Biotecnologie per la bioraffineria. Progetto “Messaggeri della Conoscenza” al Liceo Scientifico di Molfetta
22 gennaio 2015
MOLFETTA
- Continua il progetto di orientamento rivolto alle classi quinte del Liceo Scientifico “Albert Einstein” che nella giornata del 13 gennaio 2015 ha visto coinvolti due studenti dell’Università “Aldo Moro” di Bari frequentanti la facoltà di Biotecnologie industriali ed ambientali.
Ciò che ne è risultato si è rivelato essere ben più di un comune orientamento universitario: il tutto è infatti parte, a sua volta, di un progetto di didattica integrativa, denominato Messaggeri della Conoscenza, portato avanti dal Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca. Questo consente ai Dipartimenti universitari delle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia di svolgere attività di studio integrative dei propri corsi con centri di ricerca ed università estere. L’iter è sostanzialmente suddiviso in tre fasi: durante la prima, che si svolge nell’università stessa, i candidati partecipanti al progetto prendono parte a lezioni ed esercitazioni tenute da esperti e ricercatori provenienti dall’estero; a questo segue lo sviluppo, da parte dei diversi gruppi di studenti, di un progetto attinente, il migliore dei quali viene premiato con l’esperienza all’estero. In particolare i due laureandi Vincenzo Magarelli e Maria Pisano hanno trascorso un periodo di studi in Svezia, dove hanno potuto allargare le proprie conoscenze in materia di biotecnologie per la bioraffineria presso la
Chalmers University of Technology
di Göteborg, secondo il metodo di studio della didattica svedese. Segue, come terza ed ultima fase, la diffusione in Italia delle conoscenze acquisite. Entrando maggiormente nell’ambito scientifico, l’esperienza svedese si è basata sullo studio della produzione di carburanti e prodotti chimici da materie prime sostenibili. Ruolo fondamentale in questo processo lo assumono le bioraffinerie, stabilimenti che hanno l’intento di sostituirsi alle tradizionali raffinerie e diminuire l’impatto ambientale attraverso l’utilizzo di materiali biodegradabili e recuperabili, detti biomasse. Le biomasse sono in pratica i nostri scarti, cioè che rimane, per fare un esempio, dell’utilizzo di una pannocchia di mais. Ma come è possibile produrre energia dai rifiuti? Forse sarebbe il caso di rivedere il concetto che abbiamo della parola rifiuti, termine che indica un qualcosa di inutile da un certo punto di vista, il nostro, quello più diretto e superficiale, ma che rappresenta il punto di principale attenzione dei ricercatori in questo campo, dato che nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Entrano allora in gioco particolare processi chimici che sfruttano le capacità di enzimi e batteri per portare a nuova vita quelli che abbiamo chiamato scarti, trasformandoli in biocombustibili ed altri prodotti di alto utilizzo. Il termine del periodo di studi in Svezia ed il ritorno in Puglia induce, però, ad una riflessione: come poter applicare tutto ciò nel proprio territorio? La biotecnologia, e la bioraffineria più nello specifico, significa amore per l’ambiente, ma ciò dovrebbe significare anche amore per il proprio ambiente; è così che la bioraffineria si configura come validissima espressione dell’interesse per la terra a cui si appartiene. Essa dev’essere integrata nel proprio territorio, e non risulta snaturata solo nel caso in cui si verifichi questa condizione: andare all’estero, da questo punto di vista, diventa inutile se non per raccogliere nuove idee da applicare al proprio ambiente. Il compito del biotecnologo non è quello di cercare un paese in cui applicare il suo progetto, ma l’esatto contrario: lasciar perdere quel materialistico concetto di “rifiuto”, che porta allo sfruttamento di una cosa e poi all’abbandono della stessa all’insegna dei propri interessi, per cercare un’idea che si adatti alla propria terra e riesca a valorizzarla fino in fondo, in ogni singolo aspetto.
Sergio Mazzola, 5a C
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