di Pasquale Minervini
(Centro Studi Molfettesi)
Nel maggio 1898 Gaetano Salvemini, insegnante allora a Faenza, dopo aver letto sui giornali le prime notizie dei moti successi il 1° del mese a Molfetta, ricevette due lettere dalla stessa sua città, che gli dettero particolari notizie sui fatti avvenuti quella domenica pomeriggio “innanzi al marciapiede del giardino Garibaldi” e della “triste fine avvenuta dopo lo sfracello successo”, come gli scrisse la madre il 5 di quel mese.
Abitante da qualche anno con la sua famiglia proprio in piazza Garibaldi (già Porticella), come risulta dagli Stati delle anime della parrocchia Cattedrale (consultabili nell'Archivio Diocesano di Molfetta), Emmanuella Turtur potè osservare probabilmente dalla sua abitazione ciò che accadde in quella piazza, alberata a villa comunale, dov'era il casotto daziario, nei cui pressi vide cadere “come tanti uccellini” i morti che vi furono in quei tumulti, causati dalla protesta contro l'aumento del costo del pane, provando “orrore” per “il sangue di tanti innocenti”.
Oltre a questa della madre, Salvemini ricevette in quei giorni un'altra lettera, pubblicata anch'essa nel suo Carteggio 1894-1902 (edito da Laterza, Bari 1988), senza il nome del corrispondente, il quale se non è identificato dal curatore del volume, non è individuabile però in Francesco Picca, come proposto da Giovanni de Gennaro (La città di Molfetta, Mezzina, Molfetta 2000).
In questa lettera, che espone a Salvemini i “particolari avvenuti costà il 1° maggio”, il corrispondente specifica anche che egli passeggiava quel giorno con un amico per la via Cappuccini (ora Margherita di Savoia) e tornando a casa per “la via Fasanelli” (forse Fosanelli, dal nome della villa che si trovava allora all'altezza dell'incrocio di corso Umberto con via Muscati - via Respa e via Cavallotti) sopraggiunse alla cinta daziaria di Giovinazzo(in piazza Garibaldi), dove vide un mucchio di rovine e sentì “proiettili che volavano sulle nostre teste” - egli dice - e aggiunge che “ebbe fortuna a ritirarsi" (sicuramente in casa sua, lì vicino). Nel comunicare, inoltre, l'arresto, che successe in seguito, di alcuni socialisti, incolpati, di quanto era accaduto, il corrispondente si dice "fortunato di non essere socio” anche lui, e menziona “fra gli arrestati (...) Mariangelo De Gioia e un mio collega - egli scrive - Arturo Chiarappa barese, per aver tenuto scuola di socialismo per 9 mesi”.
I nomi di questi due arrestati sono menzionati anche dalla madre di Salvemini, come “Maurangelo” l'uno e “Chiarappa studente di Bari” l'altro, il quale ultimo è citato anche (senza il nome però) tra gli arrestati dei tumulti pel pane resi noti dal “Corriere delle Puglie” del 5 maggio 1898 (consultabile nella civica Biblioteca “Giovanni Panunzio”).
Nello stesso quotidiano barese, del 16 e 17 giugno 1898, apparvero anche
i resoconti delle due udienze del processo, che si tenne in quel mese
presso il Tribunale di Trani, a carico degli imputati per i disordini del
1° maggio. Da quelle cronache si apprende che Maurangelo De (o Di) Gioia era “studente a 20 anni” ed era stato arrestato per una distribuzione di giornali(socialisti), da lui fatta perché - come egli stesso si giustificò - "li credeva ispirati a giustizia”.
Arturo Chiarappa invece era uno studente di 17 anni, che l'anno prima era stato affidato dalla sua famiglia all'avv.Giuseppe Picca di Molfetta. Qui, dopo aver superato gli esami di ammissione al liceo nel Seminario vescovile(di fronte a piazza Garibaldi), continuò a frequentare gli studi nell'anno scolastico 1897-98, riscuotendo lodevoli apprezzamenti dal preside Giovanni Panunzio e dai professori Porcelli, Marzocca , Altamura e dal cav. Epifani. Un suo condiscepolo era un certo Azzollini, col quale studiava per prepararsi agli esami di licenza liceale.
Assolto nel processo assieme a tutti gli altri imputati socialisti, in aiuto dei quali Salvemini - scrive Alessandro Guidati in una lettera del 16 agosto 1898 - inviò un “obolo” di L.20.00, il giovane Chiarappa sostenne nel seguente mese di luglio gli esami di licenza liceale, avendo come Commissario regio il rinomato prof.Giacinto Romano, dell'Università di Messina, al quale subentrerà Gaetano Salvemini (1901) nella cattedra di storia.
La sua opera di Commissario d'esami a Molfetta fu così commentata dal “Corriere delle Puglie” del 30 luglio 1898: “Il prof. Romano nelle sue rigide abitudini portò un soffio di grande severità imparziale sì, ma che pure influì a dare un risultato esiguo di approvazioni. Onde avvenne che su 49 candidati superarono la prova di licenza liceale soltanto 12, cioè:
Privatisti presentati per la prima volta: Azzollini Michele, Chiarappa
M.(ichele) Arturo, Mancini Celestino, Modugno Mauro, Rizzi Giuseppe. Privatisti ripetenti: Binetti Vincenzo, Caradonna Sergio, Minervini Matteo. Del Seminario: D'Ercole Michele. Del Convitto Panunzio: Iacovelli Giuseppe, Solimene Giulio, Palmieri Giustino, quest'ultimo alunno del secondo liceo.
“Notato con compiacimento - continua il giornale barese - il giovane Chiarappa, che ha sanzionato con la riuscita nell'esame quel credito che ha saputo acquistarsi nell'ambiente scolastico, anche dopo le sofferenze e le interruzioni da lui subite. E si nota pure - conclude il “Corriere” - che il Convitto Panunzio si mantiene a quel livello, a cui ha saputo portarlo il suo direttore, cavalier Giovanni Panunzio, che è anche preside del Liceo”.
In questo Convitto, che funzionava in via Vittorio Emanuele (verso la villa Garibaldi), prestava servizio il padre di Salvemini, Ilarione, dal quale sappiamo che fin dal marzo 1894 studiava in seminario il figlio Mauretto, che però non “voleva farsi prete”. Per questo suo fratello, ventenne nel 1898, Gaetano Salvemini si trasferirà, nell'ottobre di quell'anno, a insegnare a Lodi, per fargli frequentare a Milano una scuola universitaria di agraria. Di lui dirà poi (6 agosto 1900) che “ha perduto due anni all'università dandosi bel tempo e sciupando il frutto delle mie fatiche”. Dopo quegli anni Mauretto conseguirà la patente di maestro di scuola e insegnerà a Bisceglie.
E' probabile, quindi, che nel maggio 1898 Mauretto stesse per terminare gli studi nel Seminario di Molfetta, dov'era studente anche il Chiarappa, e perciò potrebbe ben essere lui il suo “collega” che, per paura forse della censura, scrisse a Salvemini senza nominarsi, ma in tono confidenziale, consono solo a un giovane legato a lui da intima conoscenza. Ciò spiegherebbe anche il perché del percorso stradale fatto dal corrispondente nel tornare a casa sua.
Il Chiarappa, studente universitario nel 1901, sarà tra i fondatori de “La
Ragione” a Bari, dove svolgerà anche una relazione sui problemi della stampa periodica al V Congresso interregionale del Partito Socialista. Conseguita la laurea in lettere, insegnerà nelle scuole prima di dedicarsi
completamente al giornalismo. Sarà infatti Redattore Capo del “Corriere della Sera” e Redattore parlamentare del "Mattino". Fondò a Roma la prima Scuola Italiana di Giornalismo e la Agenzia Nazionale della Stampa (A. Violante, Almanacco di Puglia, 1926; P.Sorrenti, I Baresi, 1980). All'avvento al potere del Fascismo fu costretto ad emigrare in Brasile, dove conserverà sentimenti antifascisti (M. Magno, Galantuomini proletari in Puglia, 1984).