Prima intervista in esclusiva per “Quindici” del neo segretario del Partito Democratico di Molfetta Antonio Di Gioia, che molto democraticamente, a differenza del suo predecessore Piero de Nicolo, non si è sottratto anche alle domande più scomode. Un buon inizio che fa ben sperare, un primo passo per unire, anziché dividere, il popolo del centrosinistra Per lui nessuna cambiale in bianco, ma il giudizio verrà dagli atti e dai fatti: ce n’è tanta strada da fare per recuperare le posizioni perdute in questi tre anni. Di Gioia, lei è stato eletto segretario per acclamazione, quale è stato il compromesso con i Giovani democratici, fino al giorno prima molto critici? «Nessun compromesso, c’è stato bisogno di dialogo per rasserenare gli animi e superare vecchie ruggini non legate alla mia persona. Anzi ho interpretato la posizione dei giovani come tesa a tutelare l’autonomia del futuro segretario mettendo alle spalle il passato». C’è un accordo sulla sua elezione? Dare la segreteria alla minoranza (Annalisa Altomare) per lasciare libera la candidatura a sindaco per De Nicolo? «Nessun accordo da manuale Cencelli, ringrazio anzi tutte le anime del partito per aver ragionato in una logica diversa». Per la scelta del candidato sindaco, al di là del programma che è prioritario, ritiene utile fare le primarie (facendo scegliere ai cittadini) oppure punta a una scelta condivisa tra le forze di una nuova maggioranza? Una lezione in tal senso è venuta dal referendum. «Personalmente credo che le primarie siamo uno strumento importante di partecipazione e lo proporrò alla coalizione, ma non sono la soluzione dei problemi politici, non possono essere una “resa dei conti” per rimediare alle nostre mancanze. Prima l’idea, il progetto, dettagliato. Poi lo strumento di selezione di chi lo deve incarnare». Lei eredita un partito diviso e pieno di contraddizioni, almeno a livello della vecchia segreteria. Nel suo discorso dopo l’elezione ha parlato di errori del passato. Quali? Il vecchio segretario Piero de Nicolo non ha fatto alcuna autocritica, lei ritiene che il Pd non abbia sbagliato nulla? «Il PD è stato per 3 anni combattuto tra la necessità di correggere quello che non andava in amministrazione e il dover preservare questa esperienza che più di tutti aveva contribuito a far nascere. Il nostro errore principale il non essere stati chiari, netti in alcuni passaggi». Non ritiene che il comportamento di alcuni consiglieri comunali del Pd abbia contribuito alla caduta della propria amministrazione di centrosinistra, al punto che sono stati deferiti ai probiviri? Non ritiene che De Nicolo si sia fatto troppo condizionare dal gruppo di minoranza? «Ricordo a tutti che mai un voto contrario è stato espresso da un consigliere Pd, mai un provvedimento dell’amministrazione bocciato. Nessuna violazione riscontrata dai probiviri. Secondo me la politica è sintesi delle differenze, questo è mancato in un contraddittorio che ritengo normale in una maggioranza. Questo è mancato verso alcuni consiglieri Pd, ma anche verso altri consiglieri di maggioranza che se ne sono lamentati in maniera meno “evidente”. De Nicolo ha gestito con grande sacrificio un momento delicato del partito e tutta la comunità glie ne è grata come è grata ad Erika Cormio per la sua candidatura alle regionali». Cosa pensa dell’esperienza del sindaco Natalicchio? «Penso che nonostante la pesante eredità, avesse una grande occasione. Ha superato lo scoglio del passaggio elettorale, ma ha dimenticato di essere il leader di tutti. Oltre a governare la macchina amministrativa avrebbe dovuto coinvolgere e valorizzare la sua maggioranza. Ho avuto l’impressione, invece, che più le scelte fossero ardue più si chiudesse in se stessa». Ha parlato di voler fare un incontro con la città per far conoscere le cose buone fatte dall’amministrazione Natalicchio. Quali? «Il merito che riconosco è di aver cominciato ad affrontare problemi annosi come la gestione dei rifiuti o l’impiantistica sportiva, discorsi purtroppo incompiuti e che per questo hanno creato disagi, ma penso anche al centro antiviolenza, al progetto di città europea dello sport. Le idee non mancavano, andavano gestite forse meglio e soprattutto completate». Cosa ha determinato la caduta dell’amministrazione? I dissensi sull’urbanistica? Quelli sull’ospedale? «L’amministrazione è caduta quando Paola si è dimessa. Una scelta solitaria, la sconfitta della politica». Sull’ospedale votare un ordine del giorno diverso da quello proposto dall’amministrazione comunale per non criticare il piano di Emiliano, non è stato il primo passo per la crisi? Quanto ha pesato l’influenza del governatore? «In un momento così delicato per il diritto alla salute dei molfettesi il Pd compatto (anche chi non fa riferimento ad Emiliano) sosteneva una linea di dialogo perché più efficace e più naturale. Ricordo che Il governatore della Regione Puglia è di centrosinistra e, tranne Rifondazione, tutta la vecchia maggioranza ha contribuito alla sua elezione». Cosa ha fatto il Pd per l’ospedale? Perché non ha condiviso la battaglia del sindaco? Ora quale soluzione condivide? Quella del nuovo ospedale del nord barese, oppure la proposta Emiliano di creare il nuovo ospedale ad Andria? «Il primo problema che ho affrontato da segretario, a 3 giorni dalla mia elezione, è stato l’ospedale. Ho parlato a lungo con ildott. Felice Spaccavento per dare un supporto all’iniziativa di questi medici e cittadini che ritengo responsabile. Ho incontrato il Presidente Emiliano con il segretario provinciale del Pd, Pagano. Il Presidente ha mantenuto la parola di inserire nel piano di riordino un ospedale di primo livello in una delle strutture esistenti tra Molfetta, Terlizzi e Corato. Inoltre ha garantito che nessun reparto chiuderà finché questo non sarà fatto. E’ un’importante notizia che placa inutili allarmismi. Ora comincia, da parte nostra, un approfondimento sui criteri di scelta di quale sede ospiterà questa struttura. I tagli vanno avanti da 15 anni e sono inevitabili, cercheremo di gestire il più possibile gli impatti negativi per i cittadini». Come pensa di recuperare quella parte di Pd che ha lasciato il partito? E soprattutto gli elettori che lo hanno abbandonato? «Non ho condiviso la scelta di alcuni di lasciare il partito, il Pd è l’unico partito nazionale rimasto, a maggior ragione quando la linea che prevale è lontana dalla nostra si rimane, si critica e si controlla l’operato della maggioranza. Renzi ed Emiliano hanno vinto democraticamente congressi e primarie. Questa è la casa dei riformisti e dei democratici, se problemi ci sono rendiamola migliore, ma dall’esterno è una lotta sterile che non incide sulla vita delle persone che è il nostro fine ultimo». Il referendum costituzionale a Molfetta ha visto la netta vittoria del NO, è una sconfitta anche del Pd che sosteneva il SI. Un dato preoccupante di quanto consenso abbia perso il partito in questi anni. «Renzi aveva il mandato chiaro di fare le riforme, ha responsabilmente assolto questo compito. Un risultato così netto deve farci riflettere sui nostri errori, anche di governo: penso alla Buona Scuola prima di tutto, sono state investite risorse importanti ottenendo invece malcontento, è stato un errore grave. Un maggiore ascolto avrebbe evitato spaccature nel Paese e permesso una valutazione più serena sulla riforma costituzionale. Non avrebbe dovuto essere un voto su Renzi. Ora cerchiamo di migliorare dai nostri errori». Come mai si è scelto di sostenere il SI di Renzi e non il NO di Emiliano? «Emiliano fino a pochi giorni dal voto è stato critico verso la riforma lasciando libertà di voto, non abbiamo vissuto questa contrapposizione netta nel partito. Alcuni democratici molfettesi hanno votato no per cui è difficile individuare un dato del “PD”, ma il risultato del SI è tra i migliori della provincia e della Puglia. Una magra consolazione di buon auspicio per le future amministrative. A quel 37,56% vogliamo parlare». L’edilizia o urbanistica sarà ancora una volta argomento di campagna elettorale. Non condividere l’ipotesi del consumo zero di suolo? Non pensate di invertire la tendenza rispetto al passato, magari dimostrando una discontinuità? Quale sarà la discontinuità con Azzollini (anche se qualcuno parla di accordo anche con lui per la prossima amministrazione). «Il territorio è uno dei temi più importanti che dovremo affrontare e su cui marcare le differenze con Azzollini. In verità, nella vecchia maggioranza, c’è sempre stata unità di intenti sul futuro urbanistico, è sul presente che bisogna parlar chiaro, sul piano vigente. Il domani non può che essere consumo di suolo zero, riqualificazione ed efficientamento. La linea del Partito democratico è di responsabilità e di tutela dei diritti acquisiti, nell’urbanistica io vedo diritto all’abitare, edilizia popolare e cooperativa, piccoli proprietari, lavoratori di un comparto importante, tutto questo prima dell’incubo “dei palazzinari” che peraltro non ho mai visto nel PD. Per me le priorità saranno gli adeguamenti al Putt e Pptr, i piani attuativi (servizi, agro, coste), da lì nasce la qualità della vita che sogniamo per le nostra città. Ma su questo chiederò una posizione inequivocabile alla futura coalizione». Qual è la vostra posizione sul porto? Come fare a sbloccare i lavori, di fronte all’ostacolo della magistratura? Andare avanti, comunque, come avrebbe fatto Azzollini, col rischio di ritrovarsi problemi giudiziari? «La vicenda del porto è una delle pagine più tristi e complicate nella storia di Molfetta. Un’opera generata dal denaro più che da una visione o da un’identità. Ogni volta si parla di denaro, di milioni e si dimenticano le vite che ci sono dietro. La vita di Enzo Tangari sulla cui scomparsa spero si faccia chiarezza, la vita di tanti operatori dell’economia del mare che gravita attorno a quell’opera, ma non dipende solo da esse. Purtroppo la giustizia segue i suoi tempi e possiamo solo aver fiducia che siano brevi, ma in questo frangente alla politica restano dei margini operativi, dei doveri da assolvere. Penso al progetto dei Sailors che trovo molto interessante e concreto. Credo che le forze politiche debbano approfondirlo, allargare il dibattito sul quei progetti e tramutarli in proposte amministrative». Cosa pensa della raccolta differenziata “porta a porta” dei rifiuti: va difesa, oppure il Pd ha cambiato idea? «Il porta a porta, come ho detto, è una necessità, le dimissioni del sindaco non ci hanno permesso gli aggiustamenti necessari a ridurre i disagi, ma tornare indietro non si può». Lei ha detto che il luogo deputato a fare politica sarà il partito (anche se il Pd è rimasto sempre chiuso e la politica il segretario De Nicolo l’ha fatta su Facebook, chiedendo anche consigli su come agire), ma poi ha parlato di apertura a ex esponenti di centrodestra che si sono schierati con Emiliano alle regionali (Tammacco & Co.). Non è una contraddizione, soprattutto perché lei ha criticato le liste civiche e Tammacco ne ha già proposta una con altri ex del centrodestra? Gli chiederà di rinunciare alla lista civica per iscriversi nel Pd? «Il civismo è una risorsa ma non è la soluzione, ogni luogo di impegno dei cittadini è prezioso perché li avvicina alla politica, ma il partito è lo strumento costituzionalmente preposto a questa attività, imprescindibile garanzia di democraticità, stabilità e selezione delle classi dirigenti. Con chi condividerà i nostri programmi abbiamo il dovere di dialogare, l’iscrizione al partito, la militanza è un’altra scelta, più seria, che dovrebbe prescindere dall’orizzonte di una consigliatura». Con questa imbarazzante alleanza non crede che sarà difficile ricomporre il centrosinistra? «Il centro sinistra della passata amministrazione si sta re-incontrando, in tutti i sensi, dipenderà da quanto abbiamo a cuore Molfetta riuscire ad elaborare gli errori e superare le divisioni, dopo verrà la questione alleanze se, spero, si condivida la necessità di ripresentare lo schieramento delle ultime regionali». Qual è l’identità del centrosinistra quella del SI o quella del NO fatta di giovani disoccupati, di una classe media impoverita e di una fascia di popolazione che vive un profondo disagio sociale? Non basta dire: mettiamoci in ascolto, occorre fare di più. «L’identità del centrosinistra che io immagino è quella delle risposte: ai disagi sociali, alla disoccupazione, ai più deboli, non è quella delle battaglie di testimonianza o meramente identitarie, noi sappiamo dove andare, ma dobbiamo arrivarci!». Infine, non ritiene che ci voglia molto coraggio oggi (anche dopo la batosta del referendum) a fare il segretario del Pd? E’ una bella sfida. «Sì. Ma non si può scegliere quando è più comodo impegnarsi, si può solo decidere di tirarsi indietro e io non ho voluto farlo».
Autore: Felice de Sanctis