Antichi mestieri ambulanti scomparsi
Fra i tanti mestieri ambulanti ormai scomparsi, i nostri padri, e ancora di più i nostri nonni, ricordano che, fino agli anni '50, andavano in giro per il paese (atturne la tèrre) gridando ad ogni crocevia, per richiamare l'attenzione degli abitanti.
Le famiglie molfettesi dei tempi passati erano dotate di due tipi di sedie: quelle di lusso, dette “re sìegge de fenecchiétte” (il fondo era coperto da fibre di bambù) che ammobiliavano la camera da letto, e “re sìegge de pagghie” (il fondo era coperto da paglia colorata) che normalmente erano in cucina. Quando l'impagliatura di dette sedie cominciava a deteriorarsi, non c'era l'abitudine di buttarle via, ma di farle riparare da artigiani ambulanti dietro corresponsione di un modesto compenso. Il riparatore di sedie (o impagliatore) era un uomo che si guadagnava il pane applicando l'arte tramandata di padre in figlio. Portava un fascio di “sala” sotto il braccio con alcune traverse. Non aveva una bottega: quando lo si chiamava per riparare sedie sdrucìte, gettava per terra il suo fardello di arnesi, si sdraiava accanto ad esso sull'uscio di casa o in cortile e subito cominciava a lavorare, magari fischiettando le sue vecchie melodie, vecchio scarpone, pino solitario, la strada nel bosco, un bacio a mezzanotte, rose e gardenie, senza bisogno di assistenti.
Finito il lavoro, lo presentava a chi l'aveva proposto, prendeva il modico compenso che conservava in un lògoro portafogli, chiedeva un po' di acqua per dissetarsi e rinfrescare le sue corde vocali, raccoglieva gli avanzi della sua roba, dava una sommaria spolverata al suo abbigliamento e, soddisfatto ma con un velo di malinconia, riprendeva il suo cammino intonando la sua cantilena: “u conzasìegge!... u conzasìegge!...”, consapevole che “la vita - come ha scritto Salvatore Quasimodo - non è un sogno”.
Questo umile lavoratore ha l'onore di aver dato il suo appellativo ad una marcia funebre molfettese, detta appunto “Conzasìegge”, di pregevole fattura melodica, composta nel 1857 dal Maestro Vincenzo Valente (1830-1908) ed eseguita all'uscita di Cristo Morto dalla Chiesa di Santo Stefano.
Che legame c'è tra la marcia del Valente e l'antico mestiere? Si dice che il Valente, dopo aver terminato di comporre la marcia, fosse insoddisfatto per non essere riuscito a trovare un adeguato finale alla composizione. Fortuna volle che nelle vicinanze della propria abitazione passasse un riparatore di sedie, il quale, con la sua cantilena, ispirò il maestro compositore a dare un soddisfacente finale alla marcia che da allora chiamò “Conzasìegge”, in luogo di “Pianto antico” (titolo originale della marcia).
Il lustrascarpe (aplizzascarpe), prima che inventasse la sua “sedia” da lavoro, andava in giro con una cassetta contenente gli arnesi del mestiere: vari tipi di spazzole, lucidi, anilina nera e marrone, stracci. Preferiva lavorare nelle vicinanze di un “caffè” dove c'era la maggior parte dei suoi clienti. Poneva il piede del cliente sullo zoccolo di legno rialzato sulla cassetta e, dopo aver tolto il fango e la polvere dalla scarpa, la ungeva con la sua mistura, procedendo subito dopo allo strofinio. Terminata la prima scarpa, passava alla seconda scarpa con il medesimo procedimento. A lavoro ultimato riceveva il compenso dal cliente le cui scarpe finalmente luccicavano di umano splendore.
L'arrotino (ammelafùerce) è un'altra figura tanto cara alle passate generazioni. Andava in giro con un marchingegno al quale era attaccata una secchia di latta, mezza logora e sudicia, dalla quale lasciava cadere un filo di acqua sull'orlo di una ruota di pietra, azionata premendo col piede su un'asta di legno. Con abili gesti di mani passava poi l'oggetto da affilare sulla girante mola fino a quando (il suo occhio non sbagliava mai) il filo della lama non fosse netto e tagliente come quello di un rasoio. Con il suo antico e nobile lavoro era in grado di affilare coltelli, rasoi dei barbieri, forbici, forbicine, attrezzi dei contadini. Infatti, la parola “arrotino” vuol dire proprio “chi per mestiere arrota strumenti da taglio (De Mauro).
Sono questi tre esempi di antichi mestieri, scomparsi insieme a tanti altri (spazzacamino, banditore, maniscalco, funaio ecc.) che fanno parte di un'epoca piena di vita, di sapori e di musica. Oggi non si ripara più niente. Tutto ciò che è rotto si butta, sicché dalla civiltà del risparmio si è passati alla civiltà del consumo. Indubbiamente non si può fermare il progresso tecnologico, ma il ricordo, la memoria quello sì è importante: raccontiamola alle nuove generazioni.
Cosmo Tridente