A Zurigo studiano il dialetto molfettese
È notizia recente il fatto che il dialetto molfettese sia al centro di una ricerca condotta da due studiosi dell’Università di Zurigo, Giovanni Manzari e Federica Breimaier. L’ultima ricerca scientifica sul dialetto molfettese risale al 1917 ed era stata condotta da Clemente Merlo: l’obiettivo dei due ricercatori, oggi, è quello di analizzare come il molfettese è cambiato in questi 100 anni. La prima fase della ricerca ha visto la somministrazione di un questionario ad un certo numero di molfettesi, la seconda prevede probabilmente una indagine sul campo, con i due ricercatori pronti a venire dalle nostre parti. Secondo i due studiosi, i cambiamenti più evidenti del dialetto sono legati al suo disuso e alla sua progressiva “italianizzazione”. Essi non hanno mancato di evidenziare l’importanza di preservare l’uso del dialetto, che costituisce un legame forte con le proprie radici culturali e storiche. Sicuramente la lettura dei risultati scientifici dello studio ci permetterà di fare delle osservazioni più approfondite: le considerazioni che qui possiamo fare non possono che peccare di approssimazione e opinabilità al massimo grado. La ricerca dei due studiosi ha il merito di poggiare lo sguardo sulla dimensione vivente del dialetto, che poggia sulle relazioni effettive in cui esso si evolve, oltre un approccio “oggettivo”, o se vogliamo “antiquario” alla lingua, che tende insomma ad analizzare il dialetto come un oggetto nelle sue specificità linguistiche, storiche etc. Quest’ultimo approccio ha indiscutibilmente uguale dignità scientifica, non è di questo che vogliamo – né possiamo, non avendone le competenze scientifiche – discutere. Ci preme piuttosto badare all’utilità della ricerca in corso. Ciò che sarà interessante osservare, insomma, è come italiano e dialetto si relazionino vicendevolmente. I due ricercatori parlano di integrazione del dialetto all’italiano, frutto di una “neutralizzazione” di esso e di una sua espulsione - anche entro le mura familiari - dalla comunicazione orale. In realtà sarà interessante notare come anche l’italiano subisca processi di “volgarizzazione” o di contaminazione ad opera del dialetto. Ciò è forse dato dal fatto che all’ “espulsione” del dialetto non si affianca la volontà di valorizzare un italiano corretto: piuttosto, dialetto e italiano si confondono in una neolingua che può apparire un dialetto italianizzato o un italiano volgarizzato, a seconda dei punti di vista. Tale fenomeno può essere letto come una semplice evoluzione della lingua, entro la dimensione vivente che la lega al suo uso, alla prassi. Ma si potrebbe anche porre l’accento sull’assenza di una cultura della lingua, che punti a valorizzare il legame del dialetto con la propria storia, disvelatrice di orizzonti di senso e di comunità, e al contempo ne preservi la specificità rispetto all’italiano, che ha invece i propri canoni, da ricercare e raffinare. Ma non vogliamo anticipare osservazioni che potremo sviluppare – nel nostro piccolo – soltanto quando la ricerca sarà portata a termine. Di certo si tratta di un’iniziativa interessante, che ci costringe a fare i conti con quella contraddizione – fra impoverimento del dialetto e “dialettizzazione” dell’italiano – a cui accennavamo. © Riproduzione riservata
Autore: Giacomo Pisani